
Da quanto tempo non rinunciate a qualcosa? Ovviamente non parlo della rinuncia che nasce dalla privazione, dalla necessità, da una vita che si è impoverita nei mezzi e nelle aspettative. No, mi riferisco alla rinuncia come libera, responsabile e lucida scelta, che porta forza, potere, energia, nei nostri stili di vita.
IMPORTANZA DELLA RINUNCIA
Una sterminata letteratura, e non solo di fonte religiosa o filosofica, ci narra la felicità, perfino l’estasi, che arriva grazie alla scelta di rinunciare, per esempio di non possedere una cosa che magari non serve o è inutile, di non scagliarsi contro i deboli ma semmai di attrezzarsi contro i forti, di non arrampicare la vita sempre e comunque alla ricerca della conquista del potere. Il grande Gandhi arrivava fino a dire che “il segreto della felicità, nella vita di tutti i giorni, sta proprio nella rinuncia”. Quanto al cristianesimo, basta ricordare quanto potere e quanti segni ha lasciato nella storia dell’uomo la profezia di Francesco d’Assisi, e la sua testimonianza di vita, sotto il segno della rinuncia.
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POTERE DELLA RINUNCIA
Tornando alla nostra vita, all’idea di non sprecarla e semmai di viverla con la massima gioia, la rinuncia oggi ha un potere, e quindi un’importanza, perfino superiore rispetto ai tempi di Gandhi e di Francesco. È infatti il migliore antidoto all’io e al super-io che ci circonda, ci assedia, e tenta costantemente di orientare la nostra vita, di macchiarla come un virus. Se volete abbassare il vostro livello di narcisismo, non dovrete fare altro che imparare a rinunciare a qualcosa. Con leggerezza, con gradualità: ma con assoluta convinzione.
Inoltre la rinuncia non è una perdita, una resa. Al contrario è la vostra vittoria, è il primato che state affermando dell’essere sull’apparire. È la capacità, con la quale misurate innanzitutto le vostre forze, di dare alle cose il giusto peso, di non esserne schiacciati. Cose, ma anche comportamenti.
IMPORTANZA DI SAPER RINUNCIARE
Pensate a chi ha un ruolo nella vita pubblica, a chi esercita di fatto il potere. Se non riesce a rinunciare, a distaccarsi dalla febbre compulsiva di conquistarlo, afferrarlo ed esercitarlo, sempre e comunque, si auto-condanna a una vita prigioniera di questa compulsiva aspettativa. Non solo. Deforma la natura stessa del potere, che rappresenta una necessità per governare e per migliorare le condizioni degli uomini, e lo riduce, impoverendolo in modo vuoto e meschino, a un posto da occupare, uno status da mostrare, un privilegio da difendere. Un potere che così diventa senz’anima, senza identità, senza progetto: e rende, come avviene oggi, i politici impresentabili o indigeribili per l’opinione pubblica. La rinuncia, che significa anche sapere aspettare e quindi avere il senso del tempo e non esserne soffocati, è anche questo gesto di potere che invece rafforza, e rende utile per tutti, l’esercizio del potere stesso. Rendendo, come diceva Gandhi, chi sa rinunciare davvero una persona felice.
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