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I privilegi delle corporazioni

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Spesso i turisti che visitano Firenze restano

così affascinati dal duomo e dalla sua cupola

da non notare, proprio lì di fronte, una

delle più grandi meraviglie del rinascimento:

le porte del battistero di Lorenzo

Ghiberti. Decorate da pannelli di bronzo

che rappresentano scene bibliche, lasciarono incantato

anche Fëdor Dostoevskij, che ne teneva appesa una

fotografia a grandezza naturale alla porta del suo studio

di San Pietroburgo. Le porte furono commissionate

dalla corporazione dei mercanti di tessuti, che potevano

 

permettersi opere così grandiose grazie alle cospicue

rendite percepite impedendo la concorrenza di

altri importatori. Questo sistema era molto vantaggioso

per i membri delle corporazioni, ma non per i loro

clienti e per chi avrebbe voluto gestire liberamente i

suoi affari. In molti settori dell’economia italiana la

situazione oggi è ancora la stessa.

L’Italia è una giungla di piccoli privilegi, rendite e

mercati chiusi. Ognuno ha la sua lobby di riferimento,

con cui contribuisce a rendere quasi impossibile qualsiasi

riforma. Il fenomeno è particolarmente evidente

nel settore dei servizi. Il governo ha deciso di ripristinare

le tariffe minime per le prestazioni degli avvocati,

una categoria che in genere non è considerata vittima

di datori di lavoro senza scrupoli. Sull’altro versante

del mercato del lavoro, l’accesso a professioni che potrebbero

attirare lavoratori immigrati è ostacolato da

enormi barriere. In Gran Bretagna il personale delle

farmacie è costituito in buona parte da brillanti giovani

di origini asiatiche. In Italia la legge imponeva ino

a poco tempo fa una distanza minima tra due farmacie,

garantendo un enorme vantaggio a quelle già avviate,

impedendo che se ne aprissero di nuove. Quando

il titolare di una farmacia moriva, i suoi eredi avevano

il diritto di gestire l’attività per dieci anni anche

senza le qualifiche necessarie. Queste leggi hanno subìto

qualche ritocco nel 2006 ma, tre anni dopo, l’auspicata

concorrenza non si era ancora concretizzata e

in tutta Italia solo 64 farmacisti gestivano più di una

farmacia.

Un altro mercato chiuso è il settore dei taxi, in cui

di solito gli immigrati sono la forza lavoro principale.

A New York è difficile trovare un tassista di origine statunitense.

A Milano, la città più dinamica d’Italia, è.

Difficile trovare un taxi. Secondo un sondaggio informale

condotto nell’arco di una settimana nel capoluogo

lombardo, tutti i tassisti della città sono italiani e

hanno sborsato una cifra consistente per entrare in

una corporazione che, limitando il numero di taxi in

circolazione, fa crescere i loro guadagni. Da uno studio

più scientifico risulta che nel 2003 una licenza da tassista

a Milano costava 200mila euro, mentre a Firenze

nel 2006 ne valeva 300mila. Anche a New York le licenze

per il servizio di taxi possono raggiungere cifre

esorbitanti: nel 2007 ne è stata venduta una a 600mila

dollari. Negli Stati Uniti, però, la stessa licenza può essere

usata da più di una persona. Un sistema che danneggerebbe

la corporazione dei tassisti milanesi, per i

quali la licenza è un prodotto da vendere quando vanno

in pensione, intascando una buonuscita. Se ne vengono

rilasciate di più si svalutano, e loro fanno di tutto

per impedirlo.

Il principio secondo cui a pochi individui sono garantiti

dei comodi privilegi a discapito di tutti gli altri

non è circoscritto al mondo del lavoro. In Italia manca

un sistema di sussidi di disoccupazione universale: le

persone che lavorano nella stessa linea di produzione

ma svolgono operazioni differenti possono ricevere

indennità diverse e per periodi diversi quando perdono

il posto. Potrà sembrare un sistema ingiusto, ma

metterlo in discussione è politicamente sconveniente

e nessun partito è seriamente intenzionato a farlo.

Inoltre, i gruppi di privilegiati sono da tempo un elemento

distintivo della stessa politica italiana: una conventicola

di sinistra ha governato Napoli per gran parte

degli ultimi vent’anni, mentre l’ala politica del movimento

cattolico Comunione e liberazione controlla

da quindici anni la presidenza della regione Lombardia,

e viene spesso criticata per aver distribuito incarichi

e poltrone ai suoi sostenitori.

In questi sistemi chiusi i perdenti vanno a ingrossare

le fila dei disoccupati, di cui i giovani rappresentano

una percentuale davvero troppo alta. Più di un quinto

degli italiani di età compresa tra i 15 e i 29 anni non studia

né lavora. Dopo una riforma introdotta nel 2003, i

giovani con un lavoro in regola sono spesso costretti ad

accettare condizioni svantaggiose. Per liberalizzare il

mercato del lavoro senza correre il rischio politico di

mettersi contro gli interessi costituiti, il governo ha

introdotto, attraverso la legge Biagi, un nuovo tipo di

contratto a tempo determinato. Marco Biagi, il consulente

del governo che aveva messo a punto la legge, è

stato assassinato nel 2002 da un gruppo di terroristi di

estrema sinistra ostili alla riforma del mercato del lavoro

(gli stessi che nel 1999 avevano ucciso un altro

consulente del governo in questo settore, Massimo

D’Antona). I lavoratori assunti con questo tipo di contratto

possono essere licenziati più facilmente e non

hanno diritto ai sussidi di disoccupazione garantiti ai

loro colleghi più anziani. Di conseguenza la precarietà

nel mercato del lavoro colpisce soprattutto una minoranza

formata da giovani. Come spiega Tito Boeri,

docente all’università Bocconi, gli italiani preferiscono

Molto un posto di lavoro difficile da trovare.

Ma anche difficile da perdere. Per questo motivo il sistema

è bloccato.

Cosche mafiose

Questi cartelli hanno anche un notevole costo nascosto.

In Italia le organizzazioni mafiose cercano di penetrare

in mercati di piccole dimensioni e a carattere

locale, come quello dell’edilizia e della movimentazione

terra, per poi assumere una posizione di dominio

e soffocare la concorrenza. Di solito i clan malavitosi

del sud hanno difficoltà a imporsi nel centro nord.

Ogni volta che ci sono riusciti, però, hanno sfruttato

proprio quei mercati, spiega Federico Varese, docente

di Oxford che ha appena pubblicato Maie in movimento

(Einaudi 2011). In alcuni casi le cosche maliose sono

riuscite a controllare diversi consigli comunali con il

sostegno di poche centinaia di meridionali che si sono

trasferiti al nord e in cambio del loro voto hanno ottenuto

appalti pubblici. Il processo funziona anche al

contrario, con i cartelli che si rivolgono alle organizzazioni

mafiose per tenere alla larga la concorrenza.

L’avversione alla concorrenza non è circoscritta

alle piccole imprese. Nel 2008, quando Air France-

Klm presentò la sua offerta d’acquisto per Alitalia, ormai

In bancarotta, Berlusconi definì la proposta “offensiva”.

Il governo ha deciso invece di scaricare 1,2.

miliardi di euro di debiti di Alitalia sul bilancio dello

stato (oltre ai tre miliardi già versati dai contribuenti)

e di vendere la compagnia a una cordata di imprenditori

italiani, garantendole per tre anni il monopolio

della tratta Roma-Linate (l’aeroporto più comodo per

raggiungere Milano). Se non basterà a generare profitti,

sicuramente saranno adottate altre misure dello

stesso tipo.

Non è facile smantellare sistemi così convenienti.

Dopo il successo delle reti di Berlusconi nel settore

della tv commerciale, in Italia si è creato un duopolio

televisivo formato da Rai (l’emittente di stato) e Mediaset.

Il sistema è stato turbato nel 2003 dall’arrivo di

Sky Italia, la pay tv di proprietà della News Corporation

di Rupert Murdoch. La News Corporation ha

comprato due pay tv in crisi e ha costruito un enorme

quartier generale alle porte di Milano, con studi immensi

per registrare i suoi programmi. Così il gruppo

di Murdoch è diventato uno dei principali investitori

stranieri in Italia. Sky Italia è cresciuta in fretta: nel

2010 ha raggiunto quasi cinque milioni di abbonati. Il

suo successo, tuttavia, gli ha creato dei problemi.

Nell’ambito di un pacchetto di misure per fronteggiare

la crisi è stata raddoppiata l’iva per le pay tv. Sky è stata

inoltre penalizzata da una legge che abbassa i tetti di

raccolta pubblicitaria per i canali a pagamento e li alza

per i canali in chiaro, che costituiscono la principale

fonte di guadagno di Mediaset. Una nuova proposta di

legge impone una serie di limitazioni al numero di film

che possono essere trasmessi nell’arco della giornata:

se sarà approvata, darà un colpo mortale ai canali di

Sky dedicati al cinema.

Una strana caratteristica dell’economia italiana è il

basso tasso di investimenti diretti esteri, che negli ultimi

vent’anni sono sempre stati (in rapporto al pil)

ben al di sotto della media europea. L’esperienza di

Sky Italia fa pensare che non sia una coincidenza.

Gli italiani di orientamento liberale criticano questo

sistema, ma non sono abbastanza numerosi da

esercitare un’influenza politica. Se sono così pochi è a

causa di un ambiente ostile. Dopo la seconda guerra

mondiale la maggior parte degli elettori italiani ha

scelto per cinquant’anni tra la Democrazia cristiana,

che aveva ereditato dalla chiesa cattolica l’avversione

al libero mercato, e il Partito comunista, che uscì rafforzato

dal conflitto grazie all’impegno dei partigiani

contro Mussolini e, insieme ai suoi alleati, ottenne il 31

per cento dei voti alle elezioni politiche del 1948, diventando

in seguito il partito comunista più forte in

tutto l’occidente durante la guerra fredda.

Con la caduta del muro di Berlino e i processi di

Mani pulite, che all’inizio degli anni novanta hanno

portato alla luce un sistema di tangenti versate da imprenditori

ai principali partiti, il vecchio ordine è stato

spazzato via, per poi essere sostituito da qualcosa di

altrettanto anomalo. I due principali partiti di destra

– il Popolo della libertà di Berlusconi e la Lega nord –

spesso esprimono posizioni ostili alla concorrenza.

Secondo uno studio condotto da Fabiano Schivardi,

del Centro ricerche economiche nord sud (Crenos), ed

Eliana Viviano, della Banca d’Italia, esiste una correlazione

tra gli enti locali (che dal 1998 hanno il potere

di regolamentare il commercio al dettaglio) controllati

da partiti di destra e la scarsa concorrenza. La Lega

nord, in particolare, parla con toni nostalgici di un

mondo fatto di piccoli artigiani e agricoltori che hanno

bisogno di protezione.

In questi ultimi anni la sinistra ha fatto di più per

aprire i mercati. Pier Luigi Bersani, un ex comunista

che oggi guida il Partito democratico, il principale partito

d’opposizione, ha avviato una serie di riforme durante

l’ultimo governo di centrosinistra, tra il 2006 e il

2008. Ma in Italia – caso unico in Europa – c’è ancora

una folta schiera di marxisti vecchio stile, e qualsiasi

governo di sinistra ha bisogno del loro sostegno per

ottenere la maggioranza in parlamento. Sergio Marchionne,

l’amministratore delegato italocanadese di

Fiat e Chrysler, ricorda quando è andato nello stabilimento

Mirafiori di Torino per spiegare agli operai una

serie di cambiamenti nel contratto di lavoro. In quel

periodo negli stabilimenti italiani della Fiat si assentava

ogni giorno, per un motivo o per l’altro, un dipendente

su tre. Marchionne è stato accolto da migliaia di

bandiere rosse, da persone che inneggiavano alla lotta

di classe o evocavano la resistenza contro il fascismo

della fine degli anni quaranta.

Le direttive sul mercato unico europeo hanno stimolato

una maggiore concorrenza in alcuni settori

dell’economia italiana. Come mostra l’esempio della

Fiat, però, anche le aziende più importanti a volte

sembrano formate da tante piccole corporazioni. E

questo ha reso ancora più difficile affrontare i profondi

cambiamenti del decennio appena trascorso.

Fonte: sito dell’Economist

 

 

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