EMIGRAZIONE DEI GIOVANI ITALIANI
Piano piano, con il solito ritardo da pigrizia degli intellettuali della Magna Grecia, stiamo arrivando al punto: la più grande ingiustizia italiana, abbinata e integrata alla povertà, è la disuguaglianza tra giovani e anziani. Su tutto: formazione (e quindi studi), lavoro, stipendio e pensione. A loro ex giovani, a noi, tutto (o quasi), ai nuovi giovani nulla (o quasi). Uno spreco per intere generazioni e per tutto il Paese.
Dopo avere messo in fila alcuni numeri-chiave (per esempio: 33 per cento dei giovani sono senza lavoro; 8 italiani su 10 sono convinti che i giovani avranno pensioni con le quali sarà difficile vivere; degli oltre 100mila giovani che emigrano, 9 su 10 sono giovani laureati), Ilvo Diamanti, che invece appartiene al ristretto club di intellettuali rigorosi e attivissimi a cogliere l’aria che tira, lancia il suo disperato appello ai giovani: «Andate via, e non tornate!».
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EMIGRAZIONE DEI GIOVANI
Qualcosa in più di una provocazione, qualcosa più vicina a un anatema, che a me, emigrato meridionale di lunghissimo corso, mi ha ricordato un altro appello disperato, firmato dal genio di Eduardo, e indirizzato, stiamo parlando di oltre quarant’anni fa, ai giovani napoletani: «Fujtevenne». Tradotto: Fuggite, sinonimo dell’Andate via di Diamanti, e non tornate a Napoli. Ieri Napoli, oggi l’Italia: la sintesi è la stessa.
E per dirla tutta in chiave eduardiana, aggiungo che questo appello, questo urlo disperato, ieri come oggi, non mi convince. Anzi: lo considero inaccettabile. Ho lasciato Napoli per necessità quasi respiratoria, mi mancava l’ossigeno nello sfarinamento di una straordinaria metropoli, e sogno sempre, prima o poi, di tornarci. Ma la mia singola esperienza conta e vale meno di zero. Piuttosto agli oltre 100mila giovani in fuga, oggi, dall’Italia, vorrei dire: Alcuni di voi, non tutti evidentemente, mettetecela tutta, davvero tutta, per restare. E pensate, piuttosto che arrendervi, a un obiettivo che manca, e non può mancare, in ogni generazione di figli e di nipoti che si rispetti: prendere a calci nel sedere (in senso metaforico, ovviamente, e compreso me) genitori e nonni. Tanto più se godono di privilegi e di rendite, abbinate anche a una militare e inossidabile occupazione del potere, che in qualche modo bisogna demolire e\o ridurre se vogliamo davvero sperare di fermare il Grande Spreco della Grande Fuga dei giovani all’estero.
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Aggiungo: a fronte di un esodo che continua impetuoso, dobbiamo anche registrare quanti giovani sono e restano in campo, inventano e creano nuovi percorsi e nuovi spazi. Mi ha colpito in proposito, è solo un esempio, l’articolo sul web di un giovane giornalista, Francesco Francio Mazza, che ha raccontato la sua storia, tipica, di chi viene respinto in Italia e riconosciuto all’estero. In estrema sintesi: un suo articolo, un vero scoop, è stato respinto da fior di direttori e capi di giornali italiani (solo perché Francesco ne aveva chiesto la pubblicazione senza rivolgersi ad alcun parente o amico degli amici) per poi finire, al contrario, sulla prima pagina di una grande quotidiano francese, prima di essere poi tradotto in diverse lingue.
Non posso neanche immaginare quale sarà il futuro professionale di Francesco (per il momento gli dico solo una parola: Auguri), ma intanto vedo con piacere che con un gruppo molto nutrito di giovani, e non solo, lui fa la sua battaglia per la vita e nella vita, per il lavoro e con il lavoro, per il futuro e nel futuro-presente, compreso l’inevitabile confitto generazionale, attraverso una brillante testata giornalistica online che vi invito a visitare, Gli Stati Generali. Una testata che incorpora una piattaforma digitale e una società di giovani, e non solo, liberi professionisti, legati da questa battaglia. Giovani, e non solo, che con le loro mani, la loro fatica, la loro visione, e il loro conflitto generazionale, hanno creato ciò che serve per restare, e per non fuggire, in Italia: opportunità. Di lavoro, di guadagno, di riconoscimento del proprio talento e delle proprie passioni, di pensioni.
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PERCHÈ SI EMIGRA
Noi dai capelli bianchi, invece, dovremmo riflettere, numeri alla mano, sul fatto che la Grande Fuga dall’Italia non è il titolo di un film di fantascienza, ma una storia cruda e vera che ci racconta, come dicevo all’inizio, il fenomeno più grave di impoverimento e di spreco del Paese. I numeri più completi e attendibili sono messi in fila nel «Rapporto Italiani nel mondo» della Fondazione Migrantes, a partire dagli oltre 100mila giovani espatriati, in costante crescita, ogni anno.
E qui dovremmo dare una risposta alla domanda: dove sta la genesi della Grande Fuga, che certo non è nata qualche mese fa? La Fondazione Migrantes parla di immigrazione «desiderante», anche per distinguerla da quella «disperante» del primo Novecento. Ma in questo caso il desiderio nasce dal fatto che i giovani, trasversalmente e senza distinzioni di classi sociali, ormai non sentono più l’Italia come un luogo di opportunità, dai buoni studi (oggi essenziali per competere nella fascia alta del mercato del lavoro) a un buon lavoro.
In pratica: in questo Paese non c’è spazio non solo per una carriera, per un’ambizione di reddito e di professione, ma neanche per il più semplice dei progetti di vita. E quindi o si emigra, o si sta a casa con mamma e papà, o si vivacchia, cercando sponde quotidiane e aspettando l’eredità. Guardando, talvolta anche con disarmata indifferenza o con la rabbia degli esclusi, l’ascensore sociale ormai bloccato da anni.
GIOVANI ITALIANI ALL’ESTERO
Più della metà di questi ragazzi che vanno via (e attenzione: promettono di tornare in Italia «solo per le vacanze»), sono laureati, anche con buoni voti, a spese del nostro welfare. Per l’Italia, e non più solo per l’Italia del Sud, ma innanzitutto per l’Italia del Nord, al danno (un altro spreco) si somma la beffa, e mentre i più importanti organismi sovranazionali ci invitano a investire sul capitale umano, noi lo stiamo bruciando, mandandolo all’estero, con un bel falò.
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ITALIANI ALL’ESTERO: QUANTI SONO
Questa autentica anomalia introduce un’ultima domanda: che cosa sopisce il conflitto generazionale? Diciamo che le premesse ci sono tutte. Un Paese con 1 italiano su 12 ormai espatriato, con interi comuni del Mezzogiorno dove la quota di cittadini residenti all’estero supera il 40 per cento, e dove intanto ogni giorno si contano 30 nuovi ultrasettantenni, non può reggere a lungo in pacifico equilibrio. Specie se alle curve dell’emigrazione e della demografia si somma quella del reddito: nel 1991 la popolazione di età superiore ai 65 anni (allora considerata anziana) controllava il 19,3 per cento della ricchezza nazionale, mentre adesso è a quota 34,2 per cento. Al contrario, i capifamiglia under 35 (sempre loro: la stessa fascia di età di quelli che o emigrano in massa o vivono con mamma e papà) devono fare i conti con uno scivolone in termini di ricchezza, nello stesso periodo, del 25,8 per cento.
Finora la stragrande maggioranza dei giovani si sono accontentati di uno scambio generazionale, più che di un conflitto: milioni di nonni (e altri milioni di genitori) che pagano conti di figli e nipoti; piccoli, medi e grandi patrimoni (a partire dalle case di proprietà) a disposizione di tutti, giovani e anziani, per sbarcare il lunario anche nell’agiatezza di un ombrello familiare. E una dolce, nel senso priva di veleni, attesa dell’eredità. Quanto può durare lo scambio e il tacito patto che lo garantisce? Qui azzardo la mia previsione: non molto a lungo, la resa generazionale dei conti (anche quelli di natura contabile-finanziaria), si avvicina.
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