Giorgio Diakantonis, 37 anni, di Imola, è un bravo medico di famiglia, che ha ereditato la vocazione per questo complesso ma bellissimo mestiere dalla madre (anche lei dottoressa), che ha gettato la spugna, lasciando senza un punto di riferimento circa 700 pazienti che seguiva, giorno dopo giorno, nell’area della città emiliana.
Con questo gesto, Diakantonis diventa un simbolo di come in Italia, nella palude del Servizio Sanitario nazionale, si possano sprecare la passione e il talento dei bravi medici, a danno innanzitutto della comunità di persone che assistono.
Ma che cosa ha spinto Giorgio a un gesto così clamoroso? Quando ha sentito di non farcela più e ha deciso di mollare? Due cose lo hanno esasperato, una più grave dell’altra. La prima è il fatto di doversi misurare continuamente con la folle concorrenza del Dr. Google: ovvero l’abitudine sempre più diffusa da parte delle persone di rivolgersi a Google per avere la diagnosi e persino la terapia di qualsiasi malattia, anche quelle gravi e difficili da curare. Un’abitudine in continuo aumento, anche per effetto del boom dell’Intelligenza Artificiale, che consente di poter fare domande dirette e specifiche, anche su patologie complesse e delicate, (Come si cura il diabete? Quali sono i trattamenti per l’obesità?) e fa in modo che i pazienti arrivino dal medico di famiglia già con delle risposte pronte. Talvolta completamente sbagliate, al punto che il dottore deve provare, sprecando tempo prezioso che viene sottratto a una normale visita, a smontarle, e non è detto che ci riesca.
Ma Giorgio Diakantonis è crollato anche per il modo con il quale vengono trattati i medici del Servizio sanitario nazionale, anche per colpa della complicità di un sindacato corporativo e incapace di difendere il lavoro dei dottori impegnati sul territorio. Scrive in proposito il Corriere della Sera, a proposito della vicenda di Diakantonis: “Il nuovo accordo collettivo nazionale che ha introdotto il cosiddetto “ruolo unico” per i medici di medicina generale rappresenta l’ultima stangata sulla professione. Questa riforma, entrata in vigore nel 2024, obbliga i nuovi medici di famiglia a svolgere contemporaneamente attività ambulatoriale con i propri pazienti e servizi di continuità assistenziale, come la guardia medica, per un totale di trentotto ore settimanali che possono essere gestite dalle aziende sanitarie locali. Il sistema, concepito per rispondere alle esigenze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e alla creazione delle Case di Comunità, ha di fatto stravolto l’organizzazione tradizionale della medicina territoriale, creando incertezze e resistenze tra i professionisti”.
Molti colleghi e gli stessi abitanti di Imola hanno provato, in coro, a convincere Giorgio a non mollare. Ma è stato inutile. E la sua risposta è stata molto netta: “Fare il medico di base in queste condizioni è diventato completamente inutile”.
Fonte immagine di copertina: Corriere della Sera
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