Università del cibo: boom in Italia. Ma non creiamo fabbriche di disoccupati

Ci sono ormai 34 corsi di laurea attivi in 17 regioni: non ripetiamo il bis dei Corsi in Scienze della comunicazione, fabbriche di giornalisti disoccupati. E non trascuriamo gli istituti alberghieri.

CORSI UNIVERSITARI DI CUCINA –

Il fenomeno è interessante: sono 25 gli atenei italiani dove si studia Enogastronomia, in 17 regioni, con 34 corsi di laurea attivi. Il segno che la cucina non è solo una tendenza, uno stile di vita, una corsa alla ricetta giusta e allo chef di grido, ma anche una buona opportunità di crescita economica e di nuovi lavori.

CORSI DI LAUREA DI CARATTERE ENOGASTRONOMICO –

I corsi di laurea, da Torino a Sassari, da Pollenzo a Messina, sono incardinati nei modi più svariati. A Roma Tre è appena stata inaugurata una laurea triennale in Scienze e cultura gastronomiche, in altre città invece i corsi sono all’interno della facoltà di Agraria, di Scienze. E anche di Medicina e di Chimica, laddove si impara più che a cucinare, che cosa è il cibo e come è composto.

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CORSI UNIVERSITARI DI CUCINA: TRE DUBBI –

Se la cultura dell’alimentazione, con i suoi annessi e connessi, avanza anche nel settore della formazione, questo è un segno dei tempi che va colto in chiave positiva. Con tre dubbi. Il primo è la speranza che non si ripeta quanto già visto con il giornalismo: una proliferazione di corsi e lauree in Scienze della comunicazione, che non ha alcuna attinenza con il mercato. Fabbriche di illusioni e di disoccupati. Il secondo dubbio è quello di non cedere alla moda dilagante dei programmi televisivi, e quindi ridurre la cultura del cibo, e la relativa formazione, a una sorta di Masterchef universitario. Non è quello che serve. Abbiamo bisogno di buone professionalità che possano poi trovare lavoro nel settore alberghiero, nella ristorazione, nell’universo del food. Dove siamo pieni di eccellenze, di storia, di tradizioni e quindi di opportunità. Infine, terza obiezione, sarebbe il caso di non sovrapporre i corsi di laurea triennale con i licei professionali che abbiamo già svuotato e ridimensionato. La linea di demarcazione deve essere netta. E la formazione nel food deve servire, per esempio, a un forte rilancio dei licei alberghieri, da dove si deve uscire con la certezza di trovare un posto di lavoro nel settore. Se invece l’università diventa un liceo bis, si crea un inutile doppione, e la scuola alberghiera si trasforma in un parcheggio per finti studenti.

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