Colonialismo dei rifiuti: le conseguenze dello smaltimento dell’e-waste

Le discariche avvelenano l'aria e le persone. E tra le montagne di spazzatura tossica lavorano i bambini a mani nude.

Colonialismo dei rifiuti scaled

Il colonialismo dei rifiuti è un fenomeno globale che consiste nel trasferimento sistematico di rifiuti – spesso pericolosi – verso aree dei Paesi del Sud del Mondo non adeguatamente attrezzate per gestirli. 

Questo processo non è nuovo, ma ha assunto nuove forme e proporzioni allarmanti negli ultimi anni, a causa degli effetti del consumismo tecnologico. Ogni anno, infatti, a livello globale vengono prodotti oltre 60 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e solo una piccola percentuale viene smaltita in modo corretto o riciclata. 

Il resto finisce invece in discariche a cielo aperto, andando a trasformare intere aree in zone contaminate e pericolose.

L’impatto ambientale del colonialismo dei rifiuti

Le discariche nate dal colonialismo dei rifiuti sono motori di degrado ambientale profondo e duraturo

Nei territori colpiti, le sostanze tossiche contenute nei materiali di scarto – metalli pesanti, idrocarburi, composti chimici persistenti – penetrano nel suolo e nelle falde acquifere, contaminando in modo irreversibile l’ambiente circostante.

La combustione di plastica, circuiti e cavi avviene spesso senza alcun controllo, rilasciando nell’aria fumi densi carichi di diossine e particolati sottili. Queste sostanze si diffondono rapidamente, abbassando la qualità dell’aria e colpendo la vegetazione, gli animali e le risorse agricole. I corsi d’acqua vicini alle discariche diventano veicoli di diffusione dell’inquinamento, trasformandosi in bacini contaminati.

Nel tempo, queste alterazioni compromettono interi ecosistemi. I terreni perdono fertilità, la biodiversità si riduce, e gli effetti non si limitano all’area immediatamente coinvolta: le sostanze tossiche possono entrare nella catena alimentare, con conseguenze che si trasmettono anche alle generazioni future.

In questi luoghi, la natura viene avvelenata in silenzio. E dove l’ambiente si ammala, anche le comunità perdono i mezzi per vivere in modo sano e sostenibile.

Le micro-economie frutto del colonialismo dei rifiuti

Oltre alla devastazione ambientale, il colonialismo dei rifiuti alimenta intere economie che si reggono sulla gestione degli scarti

In molte aree dei Paesi del Sud del Mondo, infatti, le discariche non sono solo luoghi di accumulo, ma veri e propri centri di attività economica, dove migliaia di persone trovano lavoro – precario, insalubre e privo di qualunque tutela – raccogliendo, selezionando e rivendendo ciò che resta del consumo altrui.

Queste micro-economie nascono in assenza di alternative. Senza accesso a impieghi sicuri, a istruzione o a servizi sociali, molte famiglie guardano alle discariche come all’unico spazio possibile di sussistenza. Si sviluppano mercati secondari di componenti recuperatibotteghe di riparazione, commercio di materiali metallici e plastici, sistemi rudimentali di selezione e fusione: tutte attività che non generano emancipazione economica.

Il recupero dei materiali non segue criteri industriali né è accompagnato da misure di sicurezza. Il lavoro si svolge con le mani nude, spesso a cielo aperto, in mezzo a fumi tossici, lamiere taglienti, fili elettrici e sostanze chimiche pericolose. Le conseguenze sanitarie sono gravi e diffuse, e colpiscono soprattutto donne e bambini, che rappresentano una parte significativa di questa forza lavoro.

La discarica di Agbogbloshie tra i simboli del colonialismo dei rifiuti

Tra i luoghi che hanno subìto maggiormente le conseguenze del colonialismo dei rifiuti, Agbogbloshie – alla periferia di Accra, in Ghana – è senza dubbio uno dei più emblematici. 

In quella che è la discarica di rifiuti elettronici più grande del mondo, arrivano ogni anno container carichi di dispositivi rotti: computer, stampanti, cellulari, frigoriferi, monitor. Più della metà delle spedizioni elettroniche destinate all’Africa occidentale contiene apparecchi guasti e inutilizzabili, spesso introdotti illegalmente come “materiale funzionante”. Una volta sbarcati, questi prodotti finiscono nelle mani di migliaia di persone che vivono e lavorano nella discarica, che li smontano a mano per recuperarne i materiali rivendibili.

A denunciare le gravi condizioni in cui verte chi lavora ad Agbogbloshie, oggi, arriva il reportage che Progetto Happiness ha realizzato in collaborazione con ActionAid, l’organizzazione internazionale indipendente da sempre impegnata nella tutela dei diritti dei bambini e nel contrasto alle disuguaglianze.

Grazie agli sforzi congiunti di ActionAid e Giuseppe Bertuccio d’Angelo, fondatore del Progetto Happiness, emerge con chiarezza la situazione che caratterizza Agbogbloshie: l’aria è densa di fumi tossici e il suolo è saturo di metalli pesanti come il piombo, con concentrazioni che raggiungono i 18.000 ppm, ben al di sopra dei 400 ppm ritenuti sicuri. 

La discarica è divisa in due aree: Gomorra, dove si bruciano i cavi e si lavora tra i rottami, e Sodoma, dove si vive e si vendono beni di seconda mano. Non esistono servizi igienici adeguati, impianti di smaltimento, né alcuna infrastruttura in grado di garantire condizioni di vita dignitose.

Il lavoro minorile tra le conseguenze del colonialismo dei rifiuti

Uno degli aspetti più critici del colonialismo dei rifiuti riguarda il coinvolgimento massiccio dei bambini nei processi di raccolta e recupero dei materiali nelle discariche. Nelle discariche come Agbogbloshie, i minori vengono infatti drammaticamente sfruttati come forza lavoro.

Molti di loro non frequentano la scuola, costretti a lavorare fin da piccoli per contribuire al sostentamento delle proprie famiglie. Si aggregano a piccoli gruppi di lavoro specifici – come la cosiddetta “Polizia dei Metalli” della discarica di Agbogbloshie, che utilizza calamite artigianali per raccogliere frammenti metallici tra i cumuli di rifiuti. Le mani e i piedi nudi sono costantemente a contatto con materiali taglienti e superfici contaminate da sostanze tossiche.

Le condizioni di lavoro sono estreme. I minori smontano a mani nude apparecchiature elettroniche arrugginite, bruciano plastica per estrarre fili di rame e trascorrono ore sotto un sole implacabile, respirando fumi chimici senza alcuna protezione. 

rischi sanitari sono molteplici, tra possibili tagli, infezioni, intossicazioni, problemi respiratori e danni neurologici legati all’esposizione a metalli pesanti. A ciò si aggiungono i traumi psicologici derivanti da una vita in ambienti degradati, privi di sicurezza, affetto e riferimenti educativi.

L’istruzione come via di emancipazione

In contesti in cui il lavoro minorile è ancora ampiamente presente, come le discariche di rifiuti elettronici, l’istruzione rappresenta per i più piccoli uno dei più importanti strumenti di emancipazione. Garantire ai bambini un accesso costante, sicuro e continuativo alla scuola significa sottrarli a una vita segnata dalla fatica, dalla malattia e dall’assenza di prospettive.

L’istruzione non solo offre un’alternativa concreta al lavoro in discarica, ma restituisce dignità e possibilità. Frequentare la scuola significa imparare a leggere, scrivere, comprendere i propri diritti, affrancandosi da ambienti segnati dallo sfruttamento, dalla povertà e dall’abbandono sociale.

In questo scenario, l’azione di organizzazioni come ActionAid assume quindi un ruolo fondamentale. Attraverso l’adozione a distanza, viene infatti garantito un sostegno continuativo ai bambini, alle loro famiglie e alle comunità in cui vivono.

Si tratta di un supporto che non è volto solo a garantire l’accesso all’istruzione ma anche ai beni essenziali e a condizioni igienico-sanitarie dignitose, così da offrire ai bambini la possibilità di apprendere, crescere e guardare con speranza al futuro.

Consumo consapevole e responsabilità condivisa

Il colonialismo dei rifiuti è una conseguenza strutturale di un modello economico che produce senza limiti e consuma senza responsabilità. La situazione di realtà come Agbogbloshie è il frutto di scelte quotidiane che si compiono lontano da quelle discariche.

Il cambiamento, quindi, passa anche dalla consapevolezza individuale dell’impatto delle proprie abitudini di consumo e delle proprie scelte. 

In un contesto globale dove ambiente, diritti e futuro sono strettamente intrecciati, decidere di agire è un gesto di responsabilità.

Nell’immagine di copertina: la discarica di Agbogbloshie in Africa (Fonte: Wikipedia)

Leggi anche: 

Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
Torna in alto