La barca fatta con infradito e bottiglie di plastica

Si chiama FlipFlopi Dhow. Costruita in Kenya con diecimila tonnellate di plastica dura. Ricavata dai rifiuti

barca fatta con le infradito

Una barca fatta di infradito. Quelle di plastica, multicolor, da spiaggia, in inglese flip-flop. E infatti con una buona dose d’ironia il progetto keniota di costruire un’imbarcazione interamente fatta di ciabattine in plastica e bottiglie recuperate nell’oceano si chiama proprio FlipFlopi. Non è un caso che questo progetto si realizzi in Kenya, uno dei paesi africani che dal 2024 ha messo al bando sacchetti, buste e bidoni di plastica.L’obiettivo è ridurre i rifiuti a base di plastica, partendo dall’eliminazione di alcuni prodotti e dal riuso della plastica avanzata. Anche delle semplici infradito.

Uno scafo allegro e colorato che nasce dall’amore per la tradizione e dalla voglia di lottare contro il marine litter e l’inquinamento intensivo del Kenya: le bottiglie e le infradito in plastica che compongono la struttura dell’imbarcazione arrivano da ben tre anni di passeggiate lungo le strade di Nairobi, Mombasa e Malindi e altrettante sulle spiagge di Lamu. Circa dieci tonnellate di plastica dura, trentamila tra bottiglie in PET e infradito gettate dalla popolazione locale e da turisti poco consapevoli e noncuranti che vanno a comporre il corpo del veliero, modellato sulle linee delle tradizionali barche a vela triangolare, tipiche dell’Africa orientale, i dhow.

L’idea di costruire una barca con la plastica raccolta in strada e sulle battigie viene a tre ragazzi accomunati dalla passione per le barche, il mare, l’ecologia e il loro paese: Ben Morison, Ali Skanda, attualmente capo-costruttore degli scafi, e Dipesh Pabari. Ben, dei tre, ha sempre lavorato nell’industria turistica keniana in quanto titolare di un’agenzia di escursioni in barca sull’oceano a Lamu, uno dei primi insediamenti swahili nonché quello più antico e meglio conservato dell’Africa orientale. Ed è proprio grazie al suo lavoro che, negli anni, si è accorto di quanto l’inquinamento da plastica sia un problema dai contorni preoccupanti, accendendo la lampadina dell’idea alla base di FlipFlopi.

Fonte immagine; Twitter

Per costruire l’imbarcazione, lunga circa nove metri e omologata per il trasporto delle persone,  Ben, Ali e Dipesh ci hanno messo 3 anni, lavorando con pazienza, con amore e con un team di volontari locali e internazionali disposti a dare una mano allo sviluppo del progetto.

Che ha una missione nobile e importante: navigare nell’oceano tra il Kenya e Zanzibar, in una sorta di tour a tappe lungo 500 chilometri,  per sensibilizzare le persone sul peso dell’inquinamento da plastica in termini ecologici e al riciclo dei rifiuti. Lo sforzo per ripulire l’oceano dalla plastica è stato riconosciuto persino dall’ONU:  il team, infatti, è stato voluto nel programma per l’ambiente #CleanSeas delle Nazioni Unite  lanciato a febbraio 2017 per coinvolgere governi, amministrazioni, società civile e privati nella lotta contro il marine litter.

Nella conferenza stampa di presentazione dell’ambizioso progetto, il product manager di FlipFlopi, Dipesh Pabari, ha sottolineato il tema, scottante, della plastica che soffoca spiagge e mari: «L’obiettivo principale è costruire sulla storia di questa rivoluzione della plastica e continuare a evidenziare al mondo che gli oggetti di plastica monouso sono terribili», ha detto. Occorre, quindi, un vero e proprio percorso educativo per poter compiere una sorta di rivoluzione della plastica: mostrando alle comunità locali i danni della plastica monouso e insegnando loro come riciclarla.

barca fatta con le infradito
Fonte immagine: Twitter

La barca arcobaleno è stata varata e battezzata col nome di FlipFlopi Dhow, ed è solo il prototipo del progetto principale, quello di una barca lunga venti metri, fatto per testarne caratteristiche ingegneristiche e aspetti tecnici. Ultima nota positiva del progetto: la vela, fatta interamente da cartelloni pubblicitari riciclati dalla cartellonistica del Kenya, è stata realizzata da una start-up di un giovane ticinese. 

(Immagine in evidenza tratta dal profilo Facebook di United Nations)

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