Assenteismo nel pubblico impiego, colpevoli impuniti. E a Nola un terzo dei dipendenti sono furbetti

Ci sono prove, filmati, e fannulloni colti in flagrante: ma i processi finiscono sempre in prescrizione. Oppure con assoluzioni e multe simboliche. Nessuno paga il conto e i dirigenti chiudono gli occhi. Mentre in un solo comune sono stati accertati 400 episodi di assenteismo.

Assenteismo pubblico impiego

ASSENTEISMO PUBBLICO IMPIEGO –

Si può definire un caso di scuola: a Nola, un comune del napoletano, 63 dipendenti pubblici sono stati denunciati per assenteismo. In pratica, un terzo dell’intera pianta organica. Avevano costituito una vera organizzazione, grazie alla quale i lavoratori dell’amministrazione potevano passare le loro giornate di lavoro al bar, in palestra, in famiglia e con gli amici. Mai comunque sul posto di lavoro. Ogni dipendente coinvolto nel meccanismo della banda, aveva il compito di timbrare cinque cartellini per colleghi a spasso. E finora la polizia ha filmato in tutto 400 episodi di assenteismo. Un disastro. Ma una volta chiarita l’entità del fenomeno, che si traduce in un enorme spreco di soldi e di efficienza della macchina comunale, con enormi danni per i cittadini, restano le domande di fondo: qualcuno pagherà mai per questi reati? E come?

Quando il pubblico ministero Alessandro Liprino ha annunciato il “non darsi a procedere” per 35 dipendenti del comune di Barcellona, in provincia di Messina, arrestati per assenteismo e colti in flagrante, in aula si è sentito il rumore di un applauso. La prescrizione per reati (truffa aggravata e falso in atto pubblico) accertati nel 2010, e arrivati al dibattimento in un processo di primo grado soltanto cinque anni dopo, ha fatto il suo corso. Tutti liberi, tutti pronti a tornare al loro posto di lavoro. Come avviene quasi sempre nel caso del dipendente pubblico infedele (assenteista, imbroglione o fannullone: chiamatelo come vi pare) che, come nel fortunato film di Checco Zalone, Quo Vado, ha un comandamento al quale sa di non dovere rinunciare, per nessun motivo: non mollare mai il posto.

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DECRETO BRUNETTA ASSENTEISMO –

Il finale dell’inchiesta di Barcellona non è un episodio isolato. Anzi. È una delle prassi più diffuse che rendono di fatto impunito in Italia l’assenteismo, anche nei casi più sfacciati. Hanno perfettamente ragione i sindacalisti del settore quando, di fronte a un governo che annuncia nuove norme, ripetono che per stroncare il fenomeno “le leggi già esistono”. E sono perfino severe, come la riforma Brunetta (anno di grazia 2009), dove si prevedono commissioni interne, taglio degli stipendi per i presunti colpevoli e licenziamenti. Peccato però che si tratta di leggi virtuali, rese inefficaci dalla palude dei tempi della giustizia civile e da una serie di scappatoie grazie alle quali l’assenteista, difeso da uno scaltro avvocato, riesce puntualmente a cavarsela. Pensate che nel caso di Barcellona l’amministrazione si era costituita parte civile contro gli imputati, e adesso dovrà pagare le spese processuali per la sua richiesta finita nel vuoto, mentre marito e moglie, che si scambiavano il favore di timbrare entrambi i cartellini, potranno riprendere il loro giochino sempre a carico del comune. Sulla prescrizione puntano, per esempio, i 35 dipendenti del comune di Portici (alcuni arrestati nel lontano 2007) e i 125 indagati (su 170 in organico) a Boscoreale, definito per questo record “il comune dei fannulloni”. O anche i lavoratori dell’amministrazione comunale di Locri dove si è scoperto che ogni mattina non risulta presente un lavoratore su quattro.

PUBBLICO IMPIEGO: I FANNULLONI –

D’altra parte, sempre in teoria, un dipendente pubblico potrebbe essere licenziato già oggi per giusta causa, in caso di palese assenteismo, senza attendere il giudizio definitivo della magistratura, ma nessuno si azzarda a muovere un dito prima della parola, che arriva fuori tempo, dei tribunali. E il motivo è chiaro: tutti sanno che la magistratura si muove con i guanti di velluto quando si tratta di cause di lavoro, e può perfino ribaltare le posizioni tra vittime e carnefici. L’operazione “Fantasma” all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia era stata considerata esemplare per la sua efficacia e doveva servire di lezione per tutto il personale della sanità pubblica. I carabinieri, dopo lunghe indagini con telecamere nascoste, foto, intercettazioni telefoniche e ambientali, e testimonianze di pentiti, erano riusciti a scardinare una vera organizzazione dell’assenteismo declinato a sistema. Dodici persone, tra medici, tecnici di laboratorio e infermieri, erano finite in carcere e 68 indagate a piede libero, e di fronte alla gravità dello scandalo la regione Umbria per non farsi mancare nulla aveva varato due commissioni di inchiesta. Poi sono arrivati i giudizi dei tribunali, fino alla Cassazione: tutti assolti. E tutti al lavoro, tranne due dipendenti andati intanto in pensione, con una singolare coda giudiziaria: la denuncia contro i vertici dell’ospedale di Perugia per mobbing. Anche la gigantesca indagine all’ospedale salernitano San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, con 850 dipendenti sotto accusa, rischia di evaporare in sede giudiziaria. Il tribunale del Riesame ha annullato perfino le sospensioni dal lavoro, secondo una linea molto diffusa nella giurisprudenza. Applicata, per esempio, a una vigilessa di Massa Carrara che, dopo una sentenza di condanna in primo grado, è stata riammessa al lavoro con una multa di 500 euro da pagare al comune come risarcimento. Ha solo cambiato mansioni, ieri era in strada, oggi è dietro una scrivania a mettere timbri. E a Vibo Valentia, mentre la procura della Repubblica aveva chiesto il giudizio immediato per una ventina di persone, tra medici e personale amministrativo, tutti pizzicati a non lavorare, il tribunale ha deciso di fissare la prima udienza del processo a distanza di un anno. La prescrizione, a questo punto, diventa scontata.

COMPLICITÀ DIRIGENTI PUBBLICO IMPIEGO –

L’altro nervo scoperto che spiega l’impunità degli assenteisti nella pubblica amministrazione riguarda invece la sostanziale complicità dei dirigenti. Sanno e non agiscono, pur avendo gli strumenti che la legge gli affida, il più delle volte coperti dalle protezioni corporative dei sindacati che in questa partita non sono certo spettatori passivi. Abbiamo visto tutti le immagini televisive dei 35 dipendenti del comune di Sanremo arrestati (altri 71 sono stati denunciati e 8 hanno ricevuto l’obbligo di dimora) con accuse che arrivano fino all’associazione a delinquere. Uno timbrava il cartellino in mutande e poi tornava a letto, l’altro arrivava in tuta e poi andava a fare canottaggio e un’altra ancora si infilava nel supermercato e poi a casa a cucinare. Ma di fronte all’evidenza, è passata sotto silenzio una domanda, messa per iscritto, del sostituto procuratore di Imperia, Maria Paola Marrali: “E’ mai possibile che ai vertici dell’ufficio di Sanremo nessuno vedeva quello che era noto a tutti, ogni giorno?”. Non solo è possibile, ma è un’altra prassi consolidata nel sistema dell’impunità. Al Comune di Napoli ci sono volute le telecamere di “Striscia la notizia” per aprire un’inchiesta che ha portato a sette avvisi di garanzia, tre funzionari e quattro impiegati, che invece di andare al lavoro incontravano l’amante, accompagnavano la figlia a scuola, andavano in giro a fare acquisti. E incassavano perfino degli straordinari: chi li copriva? Non a caso, il governo Renzi ha previsto un nuovo giro di vite nella pubblica amministrazione in base al quale i dirigenti che non colpiranno gli assenteisti saranno a loro volta licenziati. Vedremo se questa norma avrà un suo effetto di deterrenza rispetto al circuito delle complicità che coprono, all’interno, l’esercito dei fannulloni.

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