Ogni anno in Italia vengono sequestrati dalla Guardia di Finanza circa 50 milioni di capi di abbigliamento e di accessori contraffatti. Vestiti, ma anche calzature, occhiali, e prodotti che complessivamente hanno un valore di diversi miliardi di euro.
Ma dove finiscono i vestiti contraffatti una volta sequestrati? Prima in qualche deposito, e poi al macero. Uno spreco puro. Al contrario, in molti comuni è scattata la rete della solidarietà e, grazie alla collaborazione di magistrati e finanzieri, si riesce a distribuire i capi sequestrati a chi ne ha bisogno. Poveri, profughi, case di accoglienza, persone anziane e sole.
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ABITI CONTRAFFATTI AI POVERI
Nel mese di ottobre del 2020 l’ultima maxi operazione della Guardia di Finanza ha sequestrato capi contraffatti per un valore di oltre 80mila euro. Merce che, in teoria, va distrutta. Uno spreco di abiti, tessuto e denaro in barba alla povertà crescente della popolazione, in aumento esponenziale anche tra le fasce più giovani.Perché, quindi, non istituzionalizzare il dono di abiti, accessori e calzature contraffatte rendendola pratica virale da esportare in ogni comune?
Non sono poche, infatti, le iniziative in tal senso: l’ultima, in ordine di tempo, è del febbraio 2020, con oltre 600 capi di abbigliamento destinati alla vendita, sequestrati dalla Guardia di finanza di Saluzzo, nell’ambito di un’operazione durata mesi. In quell’occasione, con la collaborazione dell’Istituto di carità della diocesi della cittadina in provincia di Cuneo, sono stati donati alla Caritas, ed è stato possibile distribuire calzini e scarpe altrimenti destinati alla distruzione, a chi ne avesse bisogno con corsie prioritarie.
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CAPI DI ABBIGLIAMENTO SEQUESTRATI AI POVERI
Non solo Piemonte: il Veneto è stata una regione all’avanguardia per quanto riguarda le donazioni di abiti sequestrati. A dicembre del 2019 la Guardia di Finanza di Treviso, infatti, aveva consegnato giubbotti, pantaloni e camicie sequestrati, alla casa di accoglienza Mater Dei di Vittorio Veneto, nonché al Banco Solidale della stessa città che ne aveva previsto e organizzato la distribuzione a chi ne avesse bisogno. Per farlo, le Fiamme Gialle avevano richiesto all’autorità giudiziaria l’apposita autorizzazione per sbloccare il materiale e poterlo devolvere ad associazioni che si occupano dell’assistenza a persone in difficoltà o in condizione di svantaggio sociale. Stessa cosa era accaduta nel febbraio del 2017, quando a Cittadella, in provincia di Padova, 200 capi erano stati donati alla Comunità Papa Giovanni XXIII per essere reimmessi in circolo, dopo aver eliminato con un lavoro congiunto dei volontari, i marchi contraffatti in evidenza. In un’intervista al quotidiano L’Avvenire, Luca Rinaldi, il responsabile di zona del movimento fondato da don Oreste Benzi, aveva spiegato che i capi erano stati distribuiti in egual misura ai senza dimora della stazione di Vicenza, ai migranti dopo gli sbarchi, alle vittime di tratta ai fini della prostituzione e a giovani che lottano contro le dipendenze, “Italiani e stranieri”, aveva precisato, perché «[…]ispirandoci al Vangelo per servire i poveri, non facciamo distinzione per la fede, colore della pelle o passaporto. Azioni come questa ci consentono di vivere la nostra chiamata all’accoglienza. Destinare agli ultimi i beni prodotti illegalmente è una questione di giustizia», aveva concluso.
Nel 2016, a Palermo, invece,dopo una maxi retata anti-contraffazione erano stati regalati 1100 capi di abbigliamento sia alle famiglie indigenti della città sia ai migranti e alle migranti che sbarcano ogni giorno su suolo siciliano, con mezzi di fortuna e storie tragiche alle spalle.La prima notizia di donazioni di beni contraffatti a chi è in difficoltà, comunque, giunge da Como, ed è relativa a un’operazione della GDF del 2015 che per la prima volta aveva donato ai meno abbienti merce per un valore di un milione di euro: la Dda di Milano, su richiesta della Polizia, aveva deciso di consegnare 1700 maglioni, sequestrati nel 2009 dal nucleo di polizia tributaria di Como, all’Opera Don Guanella della città lombarda, che aveva provveduto distribuirli ad anziani, persone senza fissa dimora e a rischio esclusione.
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