
Riciclare gli scarti provenienti dall’industria dell’energia e dell’alimentazione nei paesi industrializzati e trasformarli in nuove soluzioni alimentari, farmaceutiche, cosmetiche o ancora una volta energetiche.
Una sfida che si propone di colmare il conflitto insanabile tra il serbatoio dell’auto e il piatto attraverso la nascita di un nuovo settore economico la nutri-energetics, tutto dedicato alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie di portata rivoluzionaria – scrive il Corriere della Sera – in grado di convertire i rifiuti in proteine per l’alimentazione umana o animale, in prodotti nutraceuticali dalle caratteristiche curative, ma anche in fertilizzanti biologici e in oli e gas naturali per il consumo energetico. Senza buttare via nulla. Senza disperdere nell’ambiente sostanze pericolose, in un virtuoso scambio reciproco.
Un mondo agli esordi che, tuttavia, secondo un rapporto del Wall Street Journal svolgerà un ruolo trainante nel nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e rinnovabile al quale puntano i paesi avanzati. E a intraprendere questo interessante percorso non sono solo start up, ma anche aziende multinazionali che operano in questi settori. Sono un esempio alcune grandi industrie di biocarburanti che hanno cominciato a produrre acido adipico – composto usato tra l’altro anche per produrre lubrificanti industriali e moquette – dalla fermentazione della biomassa di rifiuto generata producendo etanolo. O anche di estrarre farnesene – un isomero che può essere usato come base per cosmetici biologici e che in natura viene sintetizzato come anti-parassitario da alcune specie di patate – dalla biomassa di scarto dei propri distillati. Nel settore dei biocarburanti ricavati dalle alghe invece – dagli scarti vengono estrapolati nutraceuticali che possono essere usati come principi biologici attivi, integratori dietetici e cibo per l’acquacoltura.
Agli scarti agricoli invece puntano le industrie biofarmaceutiche. Un recente rapporto del bimestrale Pharma, il maggiore periodico scientifico dell’industria farmaceutica mondiale, sosteneva la validità dell’uso dell’idrossitirosolo e delle catechine – due classi di molecole che si possono estrarre dai rifiuti dell’olio d’oliva e dalla lavorazione degli scarti delle pere, delle pesche e delle mele – nella lotta ai superbatteri che stano causando la gran parte delle contaminazioni alimentari del nostro tempo, batteri che sono immuni all’uso dei normali antibiotici a largo spettro che si usano in questi casi – continua il Corriere della Sera.
Ed è un bene, perché il problema del riutilizzo degli scarti nell’industria agricola e alimentare è di primaria importanza. Si pensi alle
quantità crescenti e difficilmente gestibili dei derivati del loro processo produttivo: le acque di scarico per la produzione dell’olio d’oliva, per esempio, solo nel bacino del Mediterraneo, superano i cinque miliardi di litri annuali. Una cifra esorbitante, considerando che l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico ha riversato "solo" 651 milioni di litri di petrolio nell’Atlantico.Per affrontare questo poblema, in California, è stato istituito un consorzio di aziende e istituti accademici che hanno vagliato possibili soluzioni a partire dalla liofilizzazione della biomassa fino alla digestione in una camera di fermentazione. Sistemi che, oltre a creare le condizioni ideali per l’estrazione di molecole utili al sistema cardiovascolare e digerente, permettono anche di produrre gas naturali per il consumo energetico.
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