Scavi di Ercolano: chiusi perché un custode ha la febbre

Lo spreco di un’area archeologica unica al mondo. Turisti bloccati ai cancelli e spediti a casa. Se manca personale non è il caso ricollocare negli scavi il personale della Provincia ormai chiusa?

SCAVI DI ERCOLANO –

Un’intera area archeologica, un gioiello del patrimonio culturale italiano, si può chiudere anche se un custode ha la febbre. Uno solo. È accaduto ieri a Ercolano, dove la Soprintendenza speciale per gli scavi (che comprende anche le aree di Pompei e di Stabia) ha deciso di sbarrare i cancelli all’una per «carenze di personale di custodia». In realtà mancava all’appello uno dei 36 addetti alla sicurezza, di solito spalmati in cinque turni,  e si è preferito non rischiare, bloccando così l’accesso al sito. Inutile dire lo sgomento e la rabbia di centinaia di turisti, in gran parte provenienti dalle navi da crociera ormeggiate a Napoli, che si sono visti, improvvisamente, respinti ai cancelli con un temperatura attorno ai 40 gradi.

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SCAVI DI ERCOLANO CHIUSI PER MANCANZA DI PERSONALE –

L’episodio è tanto più grave se si considera che gli scavi di Ercolano, a differenza di quelli di Pompei, rappresentano da tempo un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato. Con un forte e generoso investimento da parte di una multinazionale straniera, la Hewlett Packard, che condivide con lo Stato la gestione dei circa quattro ettari della splendida area archeologica, tutta da non sprecare. I custodi qui, come a Pompei, sono diventati pochi in seguito al blocco del turn over per ragioni di spending review ed è difficile immaginare come, nel breve periodo, si possano riprendere le assunzioni in un settore del pubblico impiego ancora sovradimensionato. Si potrebbero fare, in emergenza, accordi temporanei, ma in questo caso c’è da superare il muro delle trattative e delle liturgie sindacali: troppo tempo rispetto a un caso da risolvere ad horas come bisognava fare ieri a Ercolano. E allora? Ci si arrende al fato e alle linee di febbre di un custode? Una soluzione ci sarebbe, e non avrebbe alcun impatto con la spesa pubblica. Come sappiamo le Province sono state chiuse, anche se il processo di smantellamento di questi enti, da anni classificati inutili, resta lungo, e il personale, giustamente, non dovrà essere licenziato, ma piuttosto ricollocato in altri ambiti. Intanto nessuno è in grado di dire che cosa faccia oggi, in termini concreti, un dipendente della Provincia liquidata, possiamo solo immaginare che sia, a braccia conserte, in attesa di una nuova destinazione. E allora: prendiamo qualcuno dei lavoratori di un ente ormai scomparso per legge, e mandiamolo a coprire i buchi di organico nella vigilanza delle aree archeologiche della Campania. Si tratta di un’operazione semplice ed utile sotto due punti di vista. Gli scavi non sarebbero più a rischio chiusura per la mancanza di un singolo addetto alla sicurezza, e diversi lavoratori della Provincia avrebbero la sicurezza di un posto dignitoso e stabile. Il tutto, sindacati e burocrazia permettendo, si potrebbe fare in poche ore, senza infilarsi nel tunnel degli infiniti negoziati per il ricollocamento del personale in esubero o in attesa di una nuova funzione.

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