Reddito di cittadinanza: tutto quello che non funziona

C’è un vizio di origine: il sussidio alla povertà va distinto dall’aiuto per trovare lavoro e ricollocare i disoccupati. Lo spreco dei Centri per l’impiego. E come crescono i furbetti del reddito di cittadinanza

CHE COSA NON FUNZIONA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Ogni giorno che passa aumenta la sensazione che il reddito di cittadinanza sia diventato, al momento, un’occasione sprecata. Troppi errori di impostazione, troppa fretta di alzare una bandiera per fini elettorali, poco rigore nell’applicazione di una legge che, in forme diverse, esiste in tutti i paesi europei.

CHE COSA NON FUNZIONA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Cerchiamo di ragionare in modo freddo, analizzando i numeri che abbiamo a disposizione da più fonti, tutte qualificate, e che ci possono aiutare a percepire i problemi di questa legge per il reddito di cittadinanza sulla quale tutti avevamo grandi aspettative. Deluse, purtroppo. I numeri da tenere bene a mente vanno in tre direzioni, e la prima riguarda la platea dei beneficiari di questo sussidio. Siamo arrivati, secondo i dati forniti dall’Inps, a 1,2 milioni di nuclei familiari che ricevono il reddito di cittadinanza e 128mila nuclei che invece incassano la pensione di cittadinanza, per un totale di circa 3,5 milioni di persone coinvolte in questa normativa, delle quali 753mila sono minorenni. L’importo medio erogato è di 581 euro per il reddito di cittadinanza e di 226 euro per la pensione di cittadinanza. Il costo della misura è attorno ai 7 miliardi di euro all’anno, mentre la platea dei beneficiari ha un’evidente differenza geografica. Nella sola città di Napoli incassano il reddito di cittadinanza un numero di persone pari a quelle che ne beneficiano in tutte le regioni dell’Italia settentrionale. La seconda direzione di questi numeri riguarda il rapporto tra chi riceve il reddito di cittadinanza e chi, poi, trova lavoro. Qui il numero che balza all’occhio, sempre di fonte Inps, è il seguente: soltanto un terzo dei beneficiari del reddito di cittadinanza è in grado di lavorare. Questo significa che la successiva impalcatura della legge, rispetto all’erogazione del sussidio, ovvero l’accompagnamento al lavoro, non regge. Ed è solo fonte di sprechi. Da qui un terzo dato che aiuta a capire perché questa legge non può funzionare: abbiamo 550 Centri per l’impiego a corto di personale, competenze e risorse. Luoghi fantasma.

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CHI RICEVE IL REDDITO DI CITTADINANZA

Per ricevere il reddito di cittadinanza, ricordiamo, sono richiesti alcuni requisiti. Il reddito familiare non deve superare la soglia annuale dei 6mila euro, e il valore aumenta se in famigli aumenta se ci sono più figli o persone disabili da assistere, con un tetto comunque a 13mila euro. Serve anche avere la cittadinanza italiana per almeno dieci anni. Una volta chiariti i requisiti di chi riceve il reddito di cittadinanza, e incrociati con i numeri che abbiamo visto, viene fuori in modo evidente il primo buco nero di questa legge. Ovvero l’idea di mettere insieme due cose, il sussidio alla povertà e una politica attiva per il lavoro che aiuti a ridurre la disoccupazione in Italia. Due cose molto diverse, che hanno bisogno di strumenti diversi in termini di politica sociale e non possono essere ricondotti a un unico strumento. Altrimenti, come stiamo vedendo, si rischia il caos. Questo vizio d’origine del reddito di cittadinanza è scolpito nella stessa legge, laddove con una certa enfasi retorica si parla di una misura per «contrastare la povertà, la diseguaglianza e l’esclusione sociale» e per garantire «il diritto al lavoro, alla formazione, all’informazione e all’inserimento nel mondo del lavoro». Troppa roba, e lo spreco di una buona occasione, con il relativo finanziamento, è assicurato.

REDDITO DI CITTADINANZA E POVERTÀ

L’Italia è un paese dove ci sono 5,6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, delle quali 1,2 milioni sono minorenni (dati Istat). Stiamo parlando del 9,4 per cento della popolazione: numeri assurdi che rendono assolutamente necessario uno scudo di protezione, un sussidio da parte dello Stato. E non stiamo a sentire i ciechi, quelli che non vogliono assolutamente vedere l’emergenza sociale e arrivano perfino a negarla. Con argomenti dei più strampalati, come il fatto che poi, in fondo, «tutti questi poveri in strada non si vedono», mentre «ristoranti e locali sono sempre pieni». La verità è che il vero argine alla povertà in Italia è fatto silenziosamente e quotidianamente dalle famiglie e dai volontari del terzo settore: se non ci fossero questi due pilastri dovremmo fare i conti con una situazione ancora più grave.  È chiaro, quindi, che fino a quando ci saranno dati simili sulla povertà in Italia l’intervento dello Stato sarà indispensabile. Ma con uno strumento ad hoc, che accorpi diverse misure anti-povertà, e non si confonda con interventi di politiche attive per il lavoro.

REDDITO DI CITTADINANZA E LAVORO

Reddito di cittadinanza e lavoro: questa è la parte della legge che funziona peggio, il vero nervo scoperto. Abbiamo visto che esiste un problema di fondo, con il quale si rischia di sprecare l’intero impianto del reddito di cittadinanza: la platea di persone che lo percepiscono e sono in grado di lavorare è ristretta a un terzo del totale. Ma le cose vanno ancora peggio se guardiamo all’altra gamba della legge, ovvero chi dovrebbe formare e avviare al lavoro i percettori del reddito di cittadinanza.

I Centri dell’impiego sono 550, hanno sostituito i vecchi Uffici di collocamento, ma a parte il nome non è cambiato molto rispetto all’andazzo di questi piccoli mostri della spesa pubblica (soldi sprecati) e delle politiche attive per il lavoro. Se guardiamo a una paese dove il collocamento di un lavoratore disoccupato da parte dello Stato funziona, come nel caso della Germania, ci accorgiamo che sono stati fatti enormi investimenti proprio sui Centri per l’impiego. Qui il disoccupato riceve la formazione necessaria per riconvertire la sua competenza e viene accompagnato a un nuovo posto di lavoro. Nulla di tutto questo avviene nei Centri per l’impiego italiani, dove scarseggiano risorse umane, soldi, per farli funzionare e innanzitutto competenze. Attualmente nei Centri per l’impiego lavorano 11.600 persone, bisognava arrivare rapidamente a quota 20mila, ma nelle regioni dove si concentra la maggiore quota di disoccupati (Sicilia, Campania, Campania, Basilicata, Sardegna, Puglia e Molise) le assunzioni in queste strutture vitali per il ricollocamento dei percettori del reddito di cittadinanza, sono pari a zero. In compenso sono stati fatti contratti a termine a 2.486 navigator (in Italia quando non sappiamo bene che cosa fare pensiamo di cavarcela con qualche parola adottata dal vocabolario inglese) sul cui futuro c’è un punto interrogativo grande come una casa. Ma possiamo immaginare il finale: nuove assunzioni a pioggia, una nuova gonfiatina agli organici, senza però andare a puntare sulle giuste professionalità. Il fallimento della legge su questo versante è confermato dal fatto che soltanto un terzo dei percettori del reddito di cittadinanza occupabili sono stati presi in carico dai Centri e hanno sottoscritto un patto per il lavoro. Lavoro che, tranne pochissime eccezioni, non è mai arrivato.

REDDITO DI CITTADINANZA E RECOVERY PLAN

Il reddito di cittadinanza avrà sostanziali cambiamenti anche grazie alla benzina che arriva dai fondi europei del Recovery Plan. La cifra prevista, specificamente per potenziare le fallimentari politiche attive sul lavoro e quindi in primo luogo i Centri per l’impiego, è di 5 miliardi. Soldi già stanziati nel Piano nazionale di riforme (Pnr), con l’obiettivo di riuscire a dare lavoro e ricollocare, in tutto, circa 3 milioni di persone. Le aspettative sono molto alte, e probabilmente assolutamente illusorie. Ma sarebbe già un ottimo risultato riuscire a non sprecare i soldi che si spendono in questo settore, e modificare in modo sostanziale l’impianto di assistenza alle persone che cercano lavoro attraverso i Centri per l’impiego e non sono solo a caccia di un bonus.

I FURBETTI DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Nella maglie di una legge che non funziona, intanto, è cresciuta la tribù dei furbetti del reddito di cittadinanza, persone che non hanno titolo per poterlo ricevere. D’altra parte i controlli, che rientrano nel buco nero dei Centri dell’impiego, sono troppo fragili per funzionare. I furbetti sono di due categorie. Nella prima rientrano coloro i quali si sono infilati tra i percettori della legge approfittando di qualche nervo scoperto. Dentro questo gruppo c’è di tutto: mafiosi in carcere o in libertà vigilata, un centinaio di boss della n’drangheta, tra i quali i figli del Pablo Escobar italiano,  Roberto “Bebè” Pannunzi, falsi indigenti. In questa categoria rientrano anche un migliaio di siciliani  (l’isola dove un cittadino adulto su sette incassa il sussidio del reddito di cittadinanza) che riescono a percepire un doppio reddito di cittadinanza: uno in Italia e l’altro a Bruxelles. Come fanno? Semplicemente sono riusciti a nascondere la loro residenza all’estero. La seconda categoria di furbetti invece comprende quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza, ma lavorano. In nero, ovviamente. In questo caso lo Stato subisce due sprechi: paga un sussidio a chi non dovrebbe riceverlo e non incassa contributi e tasse da lavori non dichiarati. In questo gruppo rientrano anche migliaia di persone che si fanno due conti e preferiscono rifiutare assunzioni, una cosa che, incredibilmente, si verifica più spesso nelle regioni del Sud, ad alto tasso di disoccupazione. A un posto sicuro, però con orario disciplinato, tasse previste, e regolarità di frequenza, preferiscono sommare gli incassi del reddito di cittadinanza e dei lavori svolti in nero.

REDDITO DI CITTADINANZA E TERZO SETTORE

Invece di creare l’ennesima categoria di precari che lavorano per fare lavorare, i famosi navigator, bisognava coinvolgere in modo massiccio e dal primo momento il pilastro del Terzo settore. Per consentire, a chi è in cerca di ricollocazione, di svolgere attività nel servizi sul territorio. La cura dei giardini e degli arredi urbani, la manutenzione di asili e strutture di competenza comunale, pulizia di strade e piazze. La legge sul reddito di cittadinanza ha previsto qualcosa del genere, introducendo i Progetti utili alla collettività (Puc) per le persone che ricevono il sussidio. Possono lavorare dalle 8 alle 16 ore alla settimana. Ma anche questa parte del reddito di cittadinanza è rimasta lettera morta, per un errore di fondo: è stata scaricata sui comuni, che già fanno fatica a fare lavorare i loro dipendenti, figuriamoci se riescono a farsi carico della formazione di altri lavoratori. E invece queste sono competenze tipiche del Terzo settore, dove l’Italia è sicuramente un paese all’avanguardia nel mondo.

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