Finte liberalizzazioni: dai farmaci ai negozi continuano a vincere le solite lobby

«Così liberiamo l’Italia» aveva promesso Renzi, ma la sua riforma è stata stravolta in Parlamento. Farmacisti intoccabili. Assicurazioni sempre più care. Notai che non cedono competenze. Guai a cambiare gestore. E al consumatore chi ci pensa?

FINTE LIBERALIZZAZIONI –

Per il momento hanno vinto loro: le corporazioni. Sono passati otto mesi da quando il premier Matteo Renzi annunciò una legge sulla concorrenza con la solita enfasi («Stiamo liberando l’Italia») e, prima di sbarcare nell’aula Montecitorio, la riforma è stata stravolta in commissione a colpi di emendamenti, integrazioni e cancellazioni. Tutto sotto la pressione incalzante delle lobby che, mentre i partiti sembrano impegnati a discutere solo della riforma del Senato, hanno scavato come delle talpe, categoria per categoria, svuotando un provvedimento che entra nella carne viva del Paese. Ed è fondamentale per il suo cambiamento.

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Farmaci e finanza. I farmacisti, zitti zitti, hanno incassato tutto quello che volevano. A partire dall’eliminazione della vendita dei farmaci di fascia C, con ricetta, anche nei punti della grande distribuzione e nelle parafarmacie. Un mercato che vale il 17 pe cento del totale e, in caso di concorrenza tra i punti vendita, un risparmio per i consumatori di oltre 500 milioni di euro. Allo stesso tempo è stato depotenziato il meccanismo attraverso il quale società di capitale possono acquistare farmacie: sono esclusi da questo percorso azionisti come industriali del settore, informatori del farmaco, e medici. Invece cade il limite delle 4 farmacie, e così i più ricchi potranno approfittare della diminuzione dei prezzi per allargare l’impero. E magari dare un negozio a figli e nipoti. Dalla parte dei farmacisti si è distinta, in prima fila, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

Negozi e orari. Qui si rischia perfino il passo indietro. La possibilità di tenere aperto un negozio nelle 52 domeniche dell’anno e in 12 giorni di festività civili e religiose, dopo 14 mesi di dibattito parlamentare e di audizioni, è messa in discussione dalle pressioni delle associazioni dei commercianti, innanzitutto Confesercenti con la sua sponda nel Pd, e da un partito trasversale che, su sollecitazione del Vaticano, si muove in tutti gli schieramenti. Il risultato del braccio di ferro è un pasticcio, con deroghe e iniziative dei comuni (già bocciate dall’Antitrust) che, se tutto andrà bene, farà slittare al prossimo anno l’entrata in vigore di un nuovo orario nei negozi. C’è da aggiungere che, in un momento di caduta verticale dei consumi, è bastato consentire l’apertura il 1° maggio e il 25 aprile dei negozi di abbigliamento e calzature per aumentare il loro fatturato del 10 per cento.

Assicurazioni e carrozzieri.  Le compagnie di assicurazione hanno chiesto alcune contropartite per abbassare i prezzi delle polizze, a partire dalla possibilità di indicare al cliente la carrozzeria convenzionata presso la quale riparare l’auto. Apriti cielo. I carrozzieri hanno urlato paventando il rischio di chiusura per 17mila piccole imprese, e con la loro protesta sono riusciti a fare un miracolo:  ricompattare il vecchio centrodestra. A proteggerli, infatti, ci hanno pensato, con successo, Angelino Alfano e il Nuovo centrodestra nel governo, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia dall’opposizione. Così alle compagnie di assicurazione, anche loro contente del nulla di fatto, viene lasciato campo libero per aumentare i prezzi dei premi.

Avvocati e notai. Per dare una scossa in termini concorrenza e di diminuzione dei prezzi, il governo aveva pensato a un piccolo sacrifico dei notai a favore degli avvocati: la compravendita di immobili, non per uso abitativo, fino a 100mila euro di valore catastale, non aveva più bisogno del sigillo notarile. I notai, per difendersi, hanno tirato fuori l’argomento della malavita e dei truffatori che  avrebbero campo libero su questa fetta del mercato immobiliare. Hanno convinto il ministro Andrea Orlando, molto applaudito al loro congresso, e la norma su una nuova concorrenza è scomparsa. In compenso ci sarà un ritocco verso l’alto, tutto da verificare, del numero dei notai rispetto agli abitanti in ciascuna circoscrizione. E gli avvocati? Sono stati immediatamente risarciti con la garanzia che nessuno toccherà il loro territorio del contenzioso che nasce dalle frodi.

L’energia può attendere.  L’ultima, parziale liberalizzazione del mercato dell’energia risale al 1999. Sedici anni fa. Il governo Renzi, in questo caso, era andato avanti con i piedi di piombo, prevedendo una liberalizzazione totale solo nel 2018. Me neanche questo andava bene alla lobby delle bollette che, ben protetta dal ministro Federica Guidi, una thatcheriana all’italiana, ha deciso di rinviare tutto a un fantomatico rapporto dell’Autorità del settore sul mercato energetico, da consegnare al governo entro il 30 aprile 2017. Per mettere in fila qualche dato, insomma, servono due anni di lavoro, e poi si ricomincerà a discutere.

Poste e telefoni.  Alla fine, una liberalizzazione il governo Renzi, almeno finora, è riuscito a difenderla: la consegna delle multe e degli atti giudiziari, finora riserva esclusiva delle Poste (accade solo in Ungheria e in Portogallo), o meglio di un servizio postale che tra poco, con lo sbarco in Borsa, non sarà più pubblico. In compenso gli amministratori della società si sono garantiti sul fatto che nessuno metterà in discussione il vero bacino di ricavi dell’azienda: il monopolio del servizio universale. I gestori della telefonia, invece, hanno fatto Bingo stracciando, nei fatti, il recesso libero da parte del cliente. E’ vero: si prevede la possibilità di cambiare gestore anche con una mail, ma lo si può fare solo se il contratto non è blindato. Al massimo per 12 mesi, pensava il governo, anche per 2 anni hanno corretto i parlamentari. Lasciando sul tavolo anche la penale per chi volesse cambiare fornitore.

Confindustria e sindacati. Ancora grazie al Ministro Guidi, ex presidente dei giovani imprenditori, Confindustria e sindacati hanno vinto su tutta la linea della riforma della previdenza complementare. Non si tocca nulla. Eppure il governo aveva semplicemente previsto che un lavoratore in uscita da un fondo pensione negoziale (quelli dove nei consigli di amministrazioni siedono uomini di Confindustria e dei sindacati) si portasse dietro anche la quota versata dall’azienda. Questo avrebbe dato spazio agli altri fondi, aumentando appunto la concorrenza, e alla previdenza integrativa proposta dalle assicurazioni.

E il prodotto interno lordo? Mentre Renzi si avvita sulle aspettative di qualche decimale di crescita economica, le istituzioni internazionali parlano di un salto del pil in Italia, in caso di liberalizzazioni e di aumento della concorrenza, tra il 2,6 (Ocse) e il 3,3 (Fmi) per cento. E il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, si lascia intervistare per dire che «le resistenze corporative hanno fortemente ridimensionato il disegno di legge e si sta tornando indietro su troppe cose». Ma Zanetti è ancora al governo oppure è passato all’opposizione e nessuno se n’era accorto?

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