Errori della Pubblica amministrazione: ci costano un milione di euro al giorno

Dal 2010 sono stati pagati 2 miliardi di euro da Stato e regioni. In testa la Sicilia e tutte le regioni del Sud. Quasi 90mila persone hanno ottenuto il risarcimento per le infezioni durante le trasfusioni di sangue.

ERRORI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: I COSTI –

Siamo il Paese delle cause perse. Non quelle dei normali conflitti giudiziari tra cittadini, ma dello Stato e degli enti locali che sono costretti a pagare, in denaro contante, gli errori della pubblica amministrazione. Un conto salatissimo: oltre 2 miliardi di euro già sborsati, dal 2010 ad oggi, con una spesa pari a un milione di euro al giorno. E un contenzioso che si sta gonfiando di anno in anno, con un aumento vicino al 30 per cento nel 2014 rispetto al 2013 e con 150 milioni di euro tirati fuori già nei primi mesi del 2015.

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Come si accumulano gli esborsi. A gonfiare questa spesa anomala, un autentico spreco, ci sono innanzitutto i grandi filoni delle cause attivate da gruppi di cittadini con lo stesso oggetto. Due per tutte: i risarcimenti per gli errori durante le trasfusioni di sangue e per i calcoli sbagliati nel caso dei compensi dei medici specializzandi. Nel primo caso lo Stato e le regioni pagano ancora il prezzo di errori consumati fino a tutti gli anni Ottanta, quando in molti ospedali si rischiavano micidiali infezioni dovute alla cattive condizioni igienico-sanitarie durante le trasfusioni. Quasi 90mila persone hanno già ottenuto uno dei due possibili indennizzi, una sorta di pensione di invalidità con un assegno bimestrale di 1.500 euro oppure un risarcimento forfettario che oscilla tra i 100mila e i 500mila euro, ma può arrivare anche a un milione di euro in caso di morte accertata per cirrosi o per epatocarcinoma. Un diritto che talvolta viene perfino rivendicato per via ereditaria. A.R. è una signora friulana che è riuscita a farsi riconoscere 580mila euro di risarcimento come erede della sorella deceduta dopo un errore, durante un intervento chirurgico, commesso proprio con una trasfusione. «Lo Stato, e gli enti locali, sembrano poco interessati a difendersi in modo congruo rispetto a una vera valanga di conteziosi che nascono dagli sbagli della pubblica amministrazione» racconta Alberto Cappellaro, avvocato milanese, uno dei circa 70 legali che si sono specializzati in questo tipo di cause. E aggiunge: «Fanno il minimo sindacale, e non si rendono conto che più passano gli anni e più aumentano interessi e spese legali da risarcire…».  Il buco non è sfuggito ai radar del governo Renzi che ha deciso di stanziare una cifra ad hoc per chiudere con una procedura transattiva (100mila euro di rimborso) il contenzioso con 6.700 vittime di emotrasfusioni sbagliate. Intanto, in Calabria ci sono migliaia di persone che hanno già visto riconosciuto l’assegno di indennizzo bimestrale, ma non riescono a incassarlo con regolarità per mancanza di fondi.

L’incognita dei medici non pagati. Da una valanga all’altra. Stato ed enti locali si ritrovano a pagare, prima o poi, errori nei calcoli di stipendi, liquidazioni e indennità varie. In Sardegna il dirigente regionale A.P. ha contestato i calcoli dell’indennità di fine rapporto, delle ferie non pagate, di giorni festivi nei quali risultava in servizio, e si è visto riconoscere un assegno extra di 320mila euro. Non male. Rischia invece di trasformarsi in un danno da miliardi di euro, con effetti imprevedibili sulla spesa pubblica, il diluvio di contenziosi  dei medici specializzandi. In questo caso Stato e regioni hanno fatto i furbi, non pagando quasi nulla tra il 1982 e il 1991 e «dimenticandosi» di versare oneri previdenziali e coperture assicurative nel periodo tra il 1994 e il 2006. Secondo Consulcesi, l’associazione che si occupa di azioni legali collettive in campo medico, sono almeno 120mila i dottori interessati a questo risarcimento. Alcuni lo hanno già incassato, e parliamo di una media attorno ai 30mila euro a persona, altri sono in attesa di giudizio. L’errore amministrativo, in questo caso, è stato accertato da un organo sovranazionale, la Corte di Giustizia europea, e dunque non ci sono più margini per resistere. Bisogna pagare, semmai provando a fare delle transazioni per accorciare i tempi e ridurre la spesa.

Non tutte le regioni sono uguali. L’istituto Demoskopika si è preso la briga di andare a spulciare, regione per regione e comune per comune, i singoli contesti delle cause perse, dividendo le regioni italiane in tre categorie: pasticcione, dove gli errori sono più frequenti; equilibriste, che riescono a stare sotto un esborso medio di 60 milioni di euro; pignole, ovvero capaci di essere più efficienti e quindi meno colpite dagli sbagli. La sorpresa è che nel primo gruppo compaiono, a parte il Lazio, tutte regioni del Mezzogiorno, ovvero Sicilia, Campania, Sardegna, Puglia e Basilicata. Per dare un’idea delle proporzioni, in Sicilia il conto complessivo è di 176 milioni di euro, in Campania di 172 milioni di euro, rispetto ai 16 milioni di euro sborsati in Piemonte. I funzionari della pubblica amministrazione del Nord sono più bravi e diligenti di quelli del Sud? Non è detto. Di fronte a questi numeri sorge il sospetto, infatti, che anche questo rubinetto di spesa pubblica , le uscite per contenziosi da errori, nelle regioni meridionali sia stato utilizzato come una sorta di ammortizzatore sociale. Un’ipotesi confermata dal fatto che le regioni pignole sono invece tutte al Nord, come l‘Emilia Romagna, il Veneto, la Liguria, la Lombardia, il Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta e il già citato Piemonte.

Un’anomalia in Campania. Anche in Campania c’è qualcosa che non torna nei conteggi di Demoskopica. Il comune che ha pagato più esborsi, tra il 2010 e il 2015 è quello di Caserta con 2milioni e 207mila euro, mentre all’ultimo posto della classifica compare l’amministrazione comunale di Salerno con 72mila e 300 euro. E anche Napoli è nella parte bassa della graduatoria con appena 162mila e 139 euro. Qui forse la spiegazione è più prosaica: conoscendo la situazione delle casse comunali del capoluogo campano, è molto probabile che a Napoli ci siano state meno persone( dipendenti, cittadini e fornitori) disposte ad affrontare l’iter di un contenzioso giudiziario. E chi ha vinto, magari, è ancora in attesa di incassare un euro.

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