Davines inventa la Bellezza sostenibile per vendere i suoi prodotti chimici per la cosmetica

Anche il colore per i capelli, con tutte le varianti, diventa sostenibile. Come le creme per la pelle. Ma può esistere davvero una cosmetica di questo genere?

Uova di Pasqua24

Davines è un’azienda cosmetica, con sede a Parma, che dal 2019 ha raddoppiato il fatturato, arrivando a quasi 300 milioni di euro, anche grazie  al marketing e alla pubblicità che hanno puntato tutto su un titolo: Bellezza sostenibile. Ovvero? Una risposta, in realtà un punto di partenza, arriva dalle parole di Davide Bollati, il presidente di Davines, che sul sito si presenta nientemeno scomodando lo scrittore J.Campbell con la seguente citazione: Lo scopo della vita è accordare il battito del tuo cuore al ritmo dell’universo, è accordare la tua natura alla natura. E dalla letteratura, dallo scopo della vita, si passa, con un salto triplo, al business e allo scopo degli affari, declinato all’insegna della Bellezza Sostenibile con una sintesi che almeno ha il dono della chiarezza: “un insieme di chimica all’avanguardia e rispetto per l’ambiente e la società, ha portato il Gruppo a diventare una B Cop”.

Sicuramente Davines è una società che ha scalato le montagne della sostenibilità abbinata al marketing, diventando una Società Benefit (con 460 mila euro di donazioni monetarie o in prodotti a parrocchie, associazioni, scuole, etc…) e B Corp (la categoria delle aziende che si presume facciano cose utili sul piano ambientale e sociale). Tutte cose, almeno sulla carta, molto valide.

Così come fa onore alla società, e ai suoi azionisti, l’imponente investimento nella ricerca, con ben tre laboratori scientifici attivi presso il Davines Group Village e 60 addetti. D’altra parte, senza la ricerca Davines sarebbe già affondata sotto i colpi della concorrenza.

Possiamo considerare “sostenibili”, e apprezzare, anche alcuni obiettivi  annunciati dall’azienda con scadenza 2030, e quindi comunque tutti da verificare: una riduzione delle emissioni di gas serra del 50 per cento nel corso della produzione, uffici e stabilimenti alimentati solo da energia proveniente da fonti rinnovabili, riduzione dell’uso della plastica “vergine fossile” a meno del 10 per cento del totale dei materiali con i quali vengono preparate le confezioni.

Tutto bene, e complimenti. Ma perchè andare oltre? perchè distorcere il linguaggio e parlare di “Bellezza sostenibile”, una categoria che non esiste e mai esisterà? Perché promuovere, attraverso la pubblicità e articoli compiacenti, l’idea che possano esistere tinture e colori per i capelli, sui quali la domanda del mercato è fortissima (una donna, nel corso della sua vita, mediamente realizza 150 cambiamenti di look tra colori, tagli e acconciature), a base di “chimica all’avanguardia” da etichettare come “sostenibile”, altra cosa evidentemente impossibile e comunque non aderente alla realtà?

La sostenibilità, quella vera, è una cosa seria, e come scrivono gli stessi dirigenti di Davines sul loro sito, “implica una forte responsabilità”. Non è uno shampoo  o un balsamo sul quale piazzare un’etichetta. Altrimenti resta solo la versione della falsa sostenibilità, che non fa bene né all’ambiente, né alle persone. E neanche alle aziende che giustamente vogliono fare ricavi e profitti, ma non dovrebbero andare troppo oltre i limiti del ragionevole con la fantasia degli slogan e delle parole d’ordine. 

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