COME SI FINANZIA L’ISIS –
«La conquista del territorio è fondamentale per capire come si finanzia l’Isis. Hanno creato una vera economia di guerra, con ricavi certi e solidi che riguardano tutti i settori, e con un grande consenso popolare….»: parte da qui Loretta Napoleoni, autrice di uno dei saggi più completi sullo stato islamico (Lo Stato del terrore, edizioni Feltrinelli), per spiegare la forza finanziaria delle milizie islamiche che hanno scatenato il conflitto con il mondo occidentale. Fino al cuore dell’Europa.
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- Che cosa significa, nel caso dell’Isis, un’economia di guerra?
Tassare tutte le attività economiche nelle zone dove hanno il controllo del territorio: e con questi soldi, che sanno spendere, diventare sempre più attrezzati sul piano militare, organizzativo e tecnologico. Una crescita che, vista con i nostri occhi, fa venire i brividi.
- Innanzitutto ci sono i ricavi per il commercio del petrolio. . .
Vale almeno il 20 per cento del loro pil, e riescono a venderle il greggio al mercato nero, sfuggendo a qualsiasi forma di controllo internazionale. Se riusciranno a espandersi in Libia, in Iraq e in Siria, nelle zone dove ci sono i pozzi, questa voce di ricavi potrebbe moltiplicarsi.
- Oltre al greggio, quali sono le voci di entrate più rilevanti?
L’Isis è uno stato decentrato, molto diverso dai talebani e dall’Olp. La popolazione locale paga tributi alti per finanziare la guerra, ma in cambio riceve mani libere nelle attività economiche. Non è oppressa, fanno molti soldi utilizzando qualsiasi risorsa da vendere, e sostengono con convinzione lo stato islamico.
- Si parla di soldi anche dal traffico dei reperti archeologici.
Certo, è una delle attività protette e tassate dall’Isis. Nulla sfugge a un sorta di dazio da economia di guerra, e quando parlo di attività a 360 gradi mi riferisco anche agli aiuti internazionali che arrivano nelle zone occupate dai soldati dell’Isis.
- I nostri soldi usati per attaccarci in Europa.
Purtroppo questa è la realtà. L’Isis ha creato diverse organizzazioni fittizie che si sono infiltrate nella rete degli aiuti umanitari e riescono a prelevarne una buona quota.
- Altro denaro arriva anche dai paesi arabi che, per loro interessi geopolitici, proteggono l’Isis?
Questo flusso di denaro, per nostra fortuna, si è molto allentato. Agli inizi almeno tre paesi, Qatar, Arabia Saudita e Kuwait, hanno finanziato le milizie islamiche per motive di lotte all’interno dell’area. Ma quando l’Isis è cresciuto e ha fatto il salto di qualità questi rubinetti si sono chiusi: adesso lo stato islamico fa paura a tutti. E sono rimasti soltanto alcuni singoli simpatizzanti nel ruolo di finanziatori esterni.
- Dalle moschee in giro per il mondo, comprese quelle in Italia, arrivano fondi all’Isis?
Pochi, e in casi eccezionali. In generale nelle mosche in Europa e negli Stati Uniti si predica un islam che non è quello dell’Isis . Inoltre nel mondo occidentale c’è la paura di perdere la libertà, che gli islamici hanno ormai conquistato, del culto religioso.
- Lei sostiene che l’Isis oltre a raccogliere molti soldi dall’economia di guerra, sa anche spenderli bene. Si ruba meno rispetto ad altri paesi arabi?
Non solo: c’è una partecipazione corale che ha il suo peso anche nella qualità della spesa. Lei pensi che l’Isis da 16 mesi è sotto attacco militare da parte di una grande coalizione militare, eppure in questo periodo la quota di territorio della regione sotto il suo controllo è aumentata. La guerra la stanno vincendo loro, e adesso, grazie anche ai soldi di cui dispongono, la stanno trasferendo nelle nostre case. Portano l’orrore nelle nostre vite quotidiane.
- Con una potenzia militare che fa piuttosto impressione.
Con un’organizzazione che fa davvero paura. I soldi, come le ho detto, li hanno, sanno spenderli, e poi le spese militari non sono enormi. Un kalashnikov costa 500 dollari, la paga mensile di un soldato 41 dollari: cifre basse rispetto alla tassazione imposta con l’economia di guerra.
- Vedo che anche lei parla apertamente di guerra.
Chi nega questa definizione, e si trincea dietro la favola delle schegge di terroristi, o è in malafede o è un ignorante. Da un lato sappiamo ancora poco del loro stato e della loro economia sommersa, che solo adesso stiamo ben valutando; dall’altro l’Europa è come se volesse rimuovere il problema. L’Isis non è uno stato ideologico, ma il frutto di una lotta patriottica che grazie alla sua popolarità non fa fatica a trovare i soldi necessari.
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- Una guerra di liberazione.
Una guerra rivoluzionaria, antimperialista e nazionalista. Una guerra con la quale dovremo a lungo fare i conti.
- Nel suo libro lei dice che l’Isis, oggi grande come il Texas, potrebbe diventare per gli islamici l’equivalente dello stato d’Israele per gli ebrei. Vedremo qualcosa del genere?
Temo proprio di sì. E per quanto la risposta militare sia importante, solo quella non basterà. Se, per assurdo, bombardassimo a tappeto i territori dell’Isis, in pochi anni tornerebbero più forti di prima. Serve una soluzione per pacificare e stabilizzare l’area, andando a cercare i capi tribali, uno per uno, da utilizzare come mediatori per un eventuale negoziato. Che prima o poi, come in tutte le guerre, si dovrà aprire.
(Fonte immagine di copertina: Getty Images)