Chi guadagna con la fabbrica delle buche killer sulle strade

Sulle strade italiane muoiono ogni anno piu’ di cinquemila persone. Come se un paese, o un quartiere, venisse cancellato di colpo. Il 30% delle vittime ha meno di trent’anni. Dati tristemente noti che delineano un fenomeno di enorme gravita’, contro il quale le varie campagne di sensibilizzazione non sembrano incidere mai abbastanza. Cio’ che si …

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Sulle strade italiane muoiono ogni anno piu’ di cinquemila persone. Come se un paese, o un quartiere, venisse cancellato di colpo. Il 30% delle vittime ha meno di trent’anni. Dati tristemente noti che delineano un fenomeno di enorme gravita’, contro il quale le varie campagne di sensibilizzazione non sembrano incidere mai abbastanza. Cio’ che si conosce meno e’ che tra le cause degli incidenti (mortali e no) pesa per il 20% il cosiddetto “ammaloramento” delle infrastrutture.

Ovvero, le condizioni – talvolta disastrose – delle nostre strade. Un problema che ha nell’asfalto, e nel suo continuo dissesto, una di quelle “emergenze nazionali” che non suscita l’attenzione riservata ad altri dissesti, ma che non risparmia niente e nessuno: grandi citta’ e piccoli centri di provincia, arterie urbane e strade secondarie, aree industrializzate e zone rurali. Un’emergenza senza fine che provoca morti e feriti, costa ai cittadini centinaia di milioni di euro e fa di molti motociclisti una popolazione di traumatizzati reali o potenziali.

Sulla gravita’ degli incidenti causati dalle “buche-killer” c’e’ una casistica impressionante. sufficiente ripercorrere la cronaca degli ultimi anni per imbattersi in una sequenza interminabile di incidenti, non di rado gravissimi. Eppure ogni anno, per la manutenzione della viabilita’, lo Stato investe cinque miliardi di euro. I lavori stradali, rispetto all’ammontare degli appalti pubblici, rappresentano la piu’ alta percentuale sia per gli interventi (il 30,6%) sia per l’ammontare economico (il 34%). Dunque un’industria di dimensioni considerevoli, che conta circa dodicimila imprese, il 14% del totale. Il solo Comune di Roma, maggiore “stazione appaltante” d’Italia, stanzia annualmente cento milioni di euro. Un fiume ininterrotto di denaro pubblico che pero’, in larga parte, nelle crepe dell’asfalto sembra letteralmente svanire. Dove vanno a finire questi soldi? Di chi sono le responsabilita’ se, oltre al decoro e all’immagine di una citta’, spesso non viene garantita neanche la sicurezza delle persone? E perche’, cavalcando le proteste popolari, la politica fa di questo argomento un ariete elettorale che non porta quasi mai a soluzioni concrete?

Un business straordinario
La manutenzione delle strade viene definita “ordinaria” quando si occupa della riparazione. “Straordinaria” quando riguarda il rifacimento vero e proprio. In entrambi i casi e’ un business. Secondo Andrea Petrucci, imprenditore romano che copre l’intero ciclo dell’asfaltatura (dall’estrazione del basalto al lavoro finito), “i margini di redditivita’ vanno dal 12 fino al 18-20%”. Nel mondo dell’edilizia – spiegano alla Cgil – non c’e’ un altro comparto che garantisca ricavi cosi’ alti. Per questo gli appalti costituiscono una torta che alimenta gli appetiti dei “signori dell’asfalto”, pronti ad aggiudicarseli con ribassi che spesso superano il 40%. Le cifre parlano chiaro: si prendono i lavori a un prezzo notevolmente inferiore alla base d’asta per poi risparmiare successivamente sui materiali, sulla manodopera e sul tempo, confidando nel fiume di appalti che, anno dopo anno, non s’interrompe mai. Insomma, c’e’ la sensazione che si giochi pesantemente sulla qualita’ delle opere. Senza dimenticare il capitolo dei controlli che gli enti appaltanti – a cominciare dai Comuni – dovrebbero eseguire con rigore e puntualita’, pronti a contestare un lavoro difettoso. Ma questo sembra succedere di rado, e da qui nasce l’emergenza.

La capitale del pericolo
In un Paese che sulle emergenze ha saputo costruire un’industria, e’ proprio la Capitale a condensare tutti i peggiori aspetti di questo problema. a Roma, piu’ che in qualsiasi altra citta’ italiana, che questa “calamita’ ridicola”, come la definiscono sui siti internet migliaia di utenti inferociti, puo’ svelare lassismi, inefficienze e grandi sprechi.

La Citta’ Eterna, la metropoli che vuole il Gran Premio di Formula 1 e le Olimpiadi del 2020, e che gli inglesi hanno recentemente ribattezzato “tra le piu’ sexy d’Europa”, e’ ai primi posti nella classifica delle citta’ italiane piu’ pericolose per gli incidenti (in testa c’e’ Napoli, chiude Ferrara) e guida la graduatoria delle capitali europee con un distacco incolmabile sulla seconda: Copenaghen. Nel 2008, 190 morti e 24mila feriti per 18.181 incidenti. Cantieri stradali se ne aprono continuamente, ma le insidie, anziche’ diminuire, aumentano. Sandro Salvati, presidente della Fondazione Ania (l’associazione delle compagnie di assicurazione), li definisce black-point. Un modo elegante per dire “trappole”. A marzo erano 243 i tratti “pericolosi per buche” censiti con la collaborazione dei romani. Nel 2009 erano 215.

“Per risanare davvero le strade della Capitale bisognerebbe spendere un miliardo e duecento milioni in cinque anni”, afferma Eugenio Batelli, presidente dei costruttori romani (Acer). “Con i cento milioni che il Comune stanzia ogni anno – aggiunge – non si riuscira’ mai ad andare oltre la soglia del minimo indispensabile”. Poi, per spiegare la scarsa resistenza di molte manutenzioni, chiama in causa il traffico e la pioggia (eccezionali entrambi), i continui scavi delle societa’ di sottoservizi (cavi e condutture), fino alla storia ultramillenaria della citta’.

Non la pensa cosi’ il sindacato. “Il rifacimento delle strade spesso non rispetta i capitolati d’appalto”, dice Roberto Cellini, leader regionale della Fillea-Cgil. “Quanto a certi controlli dell’ente appaltante, ci risultano carenti e talvolta molto benevoli”, aggiunge Marco Carletti, della stessa segreteria.
Ombre sulla qualita’ dei lavori? Comportamenti discutibili nelle imprese? Sospetti di inefficienza sui controlli degli enti e sui collaudi delle opere? Il punto sembra essere proprio questo. Perche’ si potrebbe pensare all’edilizia stradale come a uno di quei settori-giungla pieni di norme confuse. Niente di tutto cio’. Le regole sono capillari. “Sbagliare” e’ difficile. E infatti non di errori si tratta.

La regola del risparmio
I lavoratori dei cantieri – gli “asfaltisti” – non parlano volentieri. Sanno che basta un niente per perdere il posto. Ma alla fine, con qualche cautela, alcuni dei piu’ esperti accettano di raccontare. E ci spiegano come, in molti casi, si svolgano realmente i lavori. Manutenzioni “a regola d’arte”? Non proprio.
“Le buche si ricoprono alla meno peggio e piu’ se ne fanno in una giornata, piu’ si guadagna. Se non ci comportassimo cosi’, sarebbe un’attivita’ poco redditizia”. Mario L. ha 43 anni, e’ romano e fa l’asfaltista sia “a terra” che alla guida dei macchinari. Nei suoi vent’anni di edilizia stradale ha lavorato per imprese molto diverse, “ma tutte, pressappoco, con gli stessi metodi”, dice seraficamente, quasi che il suo racconto non costituisca una rivelazione di metodi illegali, bensi’ la sintesi dell’ovvio. “Risparmiare sul materiale e sul tempo e’ la regola”, aggiunge.

“Di solito – dice Marco R., cinquant’anni – quando rifacciamo una strada, si parte bene perche’ dobbiamo superare i primi controlli. Poi il geometra dell’impresa ci ordina “abbassa, abbassa”, e allora lo strato d’asfalto steso dalla finitrice si assottiglia. Cosi’ si fa molto prima e si risparmia sul materiale. Se poi vengono altri controlli, vedo che i tecnici incaricati spesso sanno gia’ su quali tratti fare i carotaggi”.
“Non funziona cosi’ dappertutto”, dice Fabrizio E., quarant’anni, asfaltista da quindici con esperienze in varie citta’ italiane. “Ho lavorato in Piemonte, in Toscana e in altre regioni. Una situazione come quella romana non ha eguali. Si comincia rispettando il capitolato, ma poi, via via che si procede, meno asfalto, meno tempo, meno tutto…”.

E minore qualita’ del lavoro. Si risparmia sul bitume e sui materiali piu’ costosi. Si assottigliano gli interventi. Si tira via. Le riparazioni durano poco, le strade sono continuamente da rifare e l’amministrazione pubblica – di solito dopo le proteste dei cittadini – e’ costretta a correre ai ripari. Magari saltando dei passaggi fondamentali come indire regolari gare d’appalto. Ma cosi’ facendo, non si alimenta l’ennesimo circuito del profitto fondato sull’emergenza? L’anno passato la giunta comunale di centrodestra guidata dal 2008 dal sindaco Gianni Alemanno ha distribuito lavori per novanta milioni di euro. Con quali criteri? E perche’ ci sono state polemiche ed esposti alla Corte dei Conti?

Il cartello dell’emergenza
“Le polemiche sono pretestuose”, afferma Fabrizio Ghera, assessore ai lavori pubblici. “Abbiamo riparato il 516% in piu’ di strade rispetto alla precedente amministrazione e abbiamo stanziato il 400% di fondi in piu'”.
Se qualcuno gli fa rilevare che pero’ le buche sono aumentate, e che in alcune strade (esempio la centralissima via Nazionale) i lavori e i disagi non finiscono mai, e che perfino la pacatissima Associazione dei familiari vittime della strada ha dichiarato che sul dissesto il Campidoglio e’ in forte ritardo, l’assessore punta l’indice contro la giunta precedente: e’ sua la colpa, con quell’idea di affidare in concessione gli 800 chilometri di grande viabilita’ cittadina (sui 5.500 totali) a un solo gestore: il consorzio “Romeo-Vianini-Strade Sicure”.

Revocato nel novembre 2008 il cosiddetto “appaltone Romeo”, Alemanno e Ghera si sono messi a studiare un loro piano anti-dissesto. Nel frattempo pioveva, il traffico era quello di sempre, le buche si allargavano, la gente si arrabbiava. Alla fine, sollecitati anche dal prefetto, sindaco e assessore hanno proclamato “l’emergenza”. Quindi avanti di gran carriera con la “somma urgenza”. Ed ecco la raffica di appalti, molti dei quali – dicono i numeri ufficiali – a trattativa privata, il che significa scegliere direttamente le imprese, senza gara pubblica. Una procedura che, specie nelle opere piu’ rilevanti, rischia di privilegiare un ristretto cartello di imprenditori. I “signori dell’asfalto”. Interpellato su questo metodo che un po’ ricorda le antiche pratiche della Prima Repubblica, l’assessore Ghera ripete monocorde: “A giugno 2009 e’ stata pubblicata la gara di 77 milioni di euro per la manutenzione della grande viabilita’ e abbiamo fatto ripartire i cantieri lasciati sospesi dalla giunta Veltroni. I vostri numeri sono sbagliati”.

“No, i numeri sono proprio questi”, controbatte Massimiliano Valeriani, presidente Pd della Commissione trasparenza del Comune, mostrando la documentazione che ha inviato alla procura della Corte dei Conti. “Tra l’altro, la legge fissa un tetto di 500mila euro per la trattativa privata, e solo in situazioni di reale emergenza. Qui siano ben oltre”. Ma come si e’ arrivati a sfondare i tetti prestabiliti?

Il primato della trattativa privata
L’appalto in trattativa privata e’ una pratica che l’Autorita’ di controllo del settore considera subordinata a precisi criteri di urgenza ed efficienza. D’altro canto, per garantire la trasparenza del mercato, una via maestra c’e’ da sempre: la procedura aperta, ovvero la gara con bando pubblico. Ma dal 2007 al 2009, secondo i dati dell’Authority, i lavori appaltati dal Campidoglio con procedura aperta sono calati dal 36,8% al 13,8, e quelli a trattativa privata sono passati dal 28,4% al 74,9. Il che, in soldoni, significa essere balzati da 6 milioni di euro a 89 milioni. Una “esplosione”, la definiscono un po’ a mezza bocca gli esperti dell’Authority. Anche i loro dati sono “sbagliati”? Improbabile. Pero’ potrebbero essere parziali, visto che l’Authority non ha ancora il quadro completo sulle aggiudicazioni del 2009. La sensazione e’ che la quantita’ dei lavori affidati discrezionalmente dal Comune di Roma potrebbe essere ancora maggiore. Da verificare se, nel frattempo, le strade saranno migliorate, rendendo la Capitale un po’ meno insidiosa per i suoi abitanti e per i nove milioni di turisti che ogni anno la attraversano.

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