ACCORDO SUL CLIMA –
Siamo sicuri che l’accordo al G7 sul clima, per ridurre di due gradi il surriscaldamento con una diminuzione del 70 per cento dei gas serra, sia un importante passo avanti come molti giornali lo hanno presentato? C’è davvero qualcosa da festeggiare? Ho molti dubbi. Innanzitutto una riduzione così significativa dei gas serra viene posticipata nientemeno che al 2050, mentre servirebbero interventi immediati che invece nessuno ha voglia e coraggio di prendere. Per capirci il surriscaldamento previsto dalla comunità scientifica entro la stessa scadenza, il 2050, e in mancanza di interventi, è di ben quattro gradi. E nel 2030, se non faremo nulla come sembra, la situazione sarà già compromessa.
Seconda obiezione: quanto conta questo G7 in materia di surriscaldamento? Poco, molto poco. Tra i dieci paesi che emettono più gas serra, infatti, soltanto quattro (Usa, Giappone, Germania e Canada) fanno parte del G7 e il loro peso non arriva a un quarto del totale delle emissioni. Al contrario, restano fuori dall’accordo paesi molto inquinanti che non hanno preso alcun impegno formale, come la Cina, o che addirittura non prevedono di farlo, come l’India. E anche la Russia, finora, parla di impegni non vincolanti, cioè aria fritta.
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G7 INTESA SUL CLIMA –
La terza obiezione, infine, riguarda i combustibili fossili. La Merkel dopo l’accordo del G7 è convinta che sia aperta la strada per finirla con il petrolio e il carbone. Beata lei. In realtà sappiamo dai dati pubblicati da una recente ricerca di Nature che l’80 per cento delle riserve di carbone, metà di quelle di gas e un terzo del petrolio, devono restare per sempre sotto terra per non sfondare il muro dei due gradi di aumento della temperatura. Ma le grandi multinazionali energetiche vogliono esattamente il contrario, e sono pronte a pagare tasse profumate sulle emissioni pur di avere la mano libera sulle riserve. Questo è il vero braccio di ferro in corso, e capiremo presto chi lo ha vinto.