Sprechi pubblici / La storia dell’acquedotto inutile e dannoso

Nel ’79 doveva servire un polo industriale del vetro. Mai nato. I lavori «scriteriati» e «indiscriminati» per creare quell’acquedotto provocano ancora oggi – a distanza di tanti anni – frane e smottamenti. La ferrovia è crollata due volte. Dalle parti della Valle Crati, in provincia di Cosenza, ogni volta che si verifica una frana non […]

Nel ’79 doveva servire un polo industriale del vetro. Mai nato. I lavori «scriteriati» e «indiscriminati» per creare quell’acquedotto provocano ancora oggi – a distanza di tanti anni – frane e smottamenti. La ferrovia è crollata due volte. Dalle parti della Valle Crati, in provincia di Cosenza, ogni volta che si verifica una frana non si chiedono più come sia potuto accadere. Lo sanno già. «Colpa dei lavori per l’acquedotto» rispondono. Un’opera che risale al 1979, targata Cassa per il Mezzogiorno, costata 13 miliardi di lire che ancora oggi produce effetti devastanti sul territorio. 

LA VICENDA – Una storia incredibile quanto paradossale. L’acquedotto nasce per garantire acqua a una futura industria del vetro, prevista a Piano Lago. Viene immaginato un polo industriale talmente imponente che si ritiene insufficiente l’acqua contenuta nelle ricche falde acquifere di questa zona. Così si approva il progetto di adduzione delle acque del fiume Savuto. Il tracciato attraversa montagne franose che lavori definiti «spregiudicati», «dannosi» e «scriteriati» rendono ancora più friabili. 

LA TESTIMONIANZA – «Ricordo che c’era un "ruspone" enorme che procedeva indiscriminatamente per fare spazio ai tubi dell’acqua. Da ingegnere posso dire che una realizzazione più accorta avrebbe evitato tanti disastri». Lo ricorda Carmelo Salvini, ex sindaco di Rogliano, uno dei comuni attraversati dall’impianto che rappresentarono il fronte della protesta negli anni ’80. Per ironia della sorte qualche anno più tardi si è ritrovato a gestire il progetto in Regione Calabria all’interno del Dipartimento per le Acque: «Mi trovai a dover utilizzare un’opera pubblica che comunque andava utilizzata». Il paradosso, infatti, è che una volta terminati i lavori, dell’acquedotto non si sa che farne. Perché del polo industriale non si è posata nemmeno la prima pietra. Così si decide di annettere un impianto per la potabilizzazione delle acque e prolungare l’opera fino alla città di Cosenza in modo da servire almeno le civili abitazioni. Ma le immagini che giriamo all’interno del potabilizzatore descrivono uno scenario desertico, di acqua potabile non se ne vede.

LE FRANE – In seguito ai lavori per l’acquedotto le frane si ripetono periodicamente. Per ben due volte crolla la linea ferroviaria che collega Catanzaro a Cosenza. La tratta è attiva quando a un certo punto i binari scompaiono, inghiottiti dal terreno. Appena l’inverno scorso, un’alluvione provoca l’ennesimo smottamento e le condotte saltano per aria (foto: savutoweb.it). L’acqua addotta dal fiume scivola a valle trascinando con sé detriti e fango. Si chiudono le condotte per lavori. «Non solo le imprese qui non hanno impianti a esse destinati ma anche la città di Cosenza resta spessissimo senz’acqua» lamenta Stefania Frasca, direttore del Consorzio per lo sviluppo dell’aria industriale. I pochi imprenditori che qui sono riusciti a sopravvivere, infatti, hanno dovuto provvedere da sé. Così, nonostante un acquedotto costato miliardi che si trova a un paio di chilometri, ognuno ha costruito di propria tasca dei pozzi artesiani per attingere l’acqua di cui ha bisogno. Esattamente come facevano trent’anni fa. Prima che qualcuno tracciasse su un pezzo di carta un’opera del genere. 

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