Parla Paola Mastrocola: “Il sindacato ha rovinato la scuola”

Uno sciopero che non capisco, mentre la scuola continua a sfornare analfabeti. Le famiglie benestanti conoscono scuole e insegnanti bravi e lì piazzano i figli.

PAOLA MASTROCOLA SCUOLA –

«Francamente non capito su che cosa scioperiamo…»: Paola Mastrocola prima di essere un’affermata scrittrice è un’insegnante di liceo scientifico che segue da anni i problemi della scuola.

  • Innanzitutto per le 100mila assunzioni dei precari.

E questo già è singolare: un sindacato deve scioperare se il governo si decide a risolvere il problema del precariato con un pacchetto così consistente di assunzioni?

  • Il dubbio è se e quando ci saranno.

Un dubbio comprensibile, ma non c’è bisogno di scendere in piazza per risolverlo. Piuttosto mi auguro che questa sia davvero l’ultima sanatoria, e che si torni ad assumere nella scuola giovani insegnanti preparati e qualificati. Affermando finalmente una parola finora sconosciuta: il merito.

  • Il sindacato parla di una riforma che nega il diritto allo studio….

Bah!

  • E, secondo  Susanna Camusso, favorisce i ricchi.

Mi sembra uno slogan da anni Settanta. Come tutta la polemica sugli aiuti e le detrazioni fiscali alle scuole private: ogni famiglia deve essere libera di scegliere dove mandare i propri figli. E l’obiettivo dello Stato deve essere quello di migliorare tutta la scuola in generale, pubblica o privata che sia.

  • Al momento più che una scuola che nega il diritto allo studio, abbiamo una vera scuola di classe, con le famiglie benestanti che sanno bene quali sono gli istituti, e perfino le sezioni, dove mandare i propri figli.

È così. Le famiglie di un livello sociale più alto, grazie a informazioni e  relazioni, sanno benissimo le scuole pubbliche che funzionano bene, e gli insegnanti bravi. E quindi i loro figli accedono a un percorso formativo privilegiato. Da questa ingiustizia si esce in un solo modo, e non certo con vecchi slogan: alzando la qualità di tutte le scuole.

  • Purtroppo, a leggere le statistiche, sta avvenendo il contrario.

Su questo il sindacato dovrebbe fare sentire la sua voce. La verità è molto triste: la scuola italiana sforna analfabeti, ragazzi che non sanno più pensare, apprendere e studiare.

  • Lei li vede da vicino, attraverso la sua esperienza di insegnante?

Nelle mie classi si arriva dopo otto anni di apprendimento, cinque di elementari e tre di medie. Bene: proprio ieri un alunno ha classificato “una” come un aggettivo. E pensi che, per rimediare ai buchi di ortografia, al primo liceo iniziamo a fare i dettati. Per non parlare dei racconti e delle poesie. Quando li leggo in aula, alla fine chiedo ai ragazzi che cosa hanno capito. Sa la risposta? Silenzio tombale. Dunque, nulla. Eppure non sono né deficienti né assenti.

  • Che cosa ci ha portato in questo baratro?

Tante cose, a partire dalla scarsa qualità degli insegnanti e dei metodi di apprendimento. Io sono del 1956, non appartengo a un altro mondo, ma quando ho finito la terza media, come tutti i miei compagni sapevo tradurre dal latino e leggere Dante e Tasso.  Oggi mettiamo le lavagne elettroniche, i computer, gli ebook, ma dovremmo cercare di dare capacità cognitive e logiche agli studenti. Altrimenti sarà sempre peggio.

  • Per conoscere le scuole che non funzionano, bisognerebbe poterle valutare, anche con il contributo dei presidi sui quali punta la riforma. Ma il sindacato dice che così si trasformano in sceriffi…

È un tema delicato. Però l’approccio dovrebbe essere meno ideologico e più pragmatico. Questa legge presenta un fatto positivo: finalmente qualcuno giudica il nostro lavoro, e dice a tutti chi sa farlo e chi invece non è capace. Semmai c’è da discutere su quali sono le categorie con le quali si valuta la bravura di un insegnante.

  • Cioè?

È un bravo insegnate quello che sa fare bene la sua lezione o chi riesce a coinvolgere i ragazzi, a recuperare quelli che stanno indietro, a comunicare con loro?

  • Mi scusi se la fermo: così rischiamo però di bloccarci su un enigma che nessuno può risolvere.

Ci arrivo. Dobbiamo dare il potere a qualcuno di decidere, altrimenti  affondiamo nella palude dell’indistinto e non faremo mai un passo avanti.

  • E chi meglio dei presidi può esercitare questo potere?

Nessuno. A condizione che non siano costretti a interpretare il loro ruolo, come avviene da anni, come la funzione di un burocrate che firma e passa carte. Vede, In ciascuna scuola, in tutte le scuole, esiste una voce corale, anonima…

  • Che cosa dice questa voce?

Tutti, dalle famiglie ai professori passando per gli alunni, sappiamo quali sono gli insegnanti più bravi. Quelli che alla fine riescono a ottenere i migliori risultati in termini formativi. E allora, visto che giustamente abbiamo voluto tanto l’autonomia, utilizziamola: e diamo ai presidi questa centralità nella valutazione. Alla luce del sole, e con trasparenza.

  • Questa è la valutazione, ovvero il riconoscimento del merito: e il sindacato da questo orecchio sembra proprio non volerci sentire, come conferma l’ultimo sciopero.

Forse il sindacato pensa ancora di difendere una generica cultura dei diritti.

  • Ovvero il tutto a tutti.

Mettiamola così: in questo modo il sindacato ha rovinato non solo la scuola, ma l’Italia. Adesso l’ho detto…

  • Non si penta: lei nella scuola ci vive.

Sì, e ho toccato con mano questa rovina. Abbiamo insegnanti che cambiano continuamente scuole, senza radicarsi da nessuna parte e senza dare continuità al loro lavoro. Poi arriva un supplente bravo, e un preside non può neanche trattenerlo!  Se invece avesse un potere reale, meno burocratico, potrebbe fare le sue scelte e sarebbe il primo ad avere interesse a non sbagliare. In una cattiva scuola, le famiglie fuggono e non iscrivono i propri figli; una buona scuola, invece, crea un modello, allarga una sana competizione, e innanzitutto  afferma il merito.

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