Malasanità, una donna muore a 40 anni mentre i medici litigano sul suo cuore

È accaduto a Napoli. Il cuore della donna si era ingrossato e tutto poteva risolversi con un intervento in cardiologia. Ma alcuni medici hanno spinto per il ricovero in sala operatoria. Lei è rimasta ore sulla barella, e poi è morta.

MALASANITÀ IN CAMPANIA –

La catena dell’orrore è chiara. In Campania esistono 9 centri specializzati e attrezzati per gli interventi di cardiochirugia: 5 sono pubblici, 4 privati, e di questi solo uno è connesso alla rete dell’emergenza. Nella stessa giornata e nelle stesse ore, in piena notte, le due sale dell’ospedale Monaldi, il centro pilota per questo tipo di assistenza, sono occupate. In una si procede con un intervento, molto delicato, per un aneurisma disseccante all’aorta; nell’altra si espiantano 5 organi di un ragazzo quindicenne. A questo punto arrivano dall’ospedale San Paolo e dal 118 le telefonate per chiedere l’immediato ricovero di Francesca Napolitano, 42 anni, colpita da una miocardite acuta. Il suo cuore sta scoppiando, ma per salvarla potrebbe bastare una decompressione, operazione da cardiologia e non da cardiochirugia. Però i responsabili di turno sia del San Paolo sia del 118 si interstardiscono per mandarla in ambulanza al Monaldi, che intanto ha comunicato la sua indisponibilità, e la povera Francesca muore alle 6 del mattino dopo ore di inutile attesa.

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CASI DI MALASANITÀ IN CAMPANIA –

A prescindere dalle responsabilità penali e deontologiche dei singoli medici, ci sono già cinque avvisi di garanzia per omicido colposo, che saranno accertate dalla magistratura, resta il fatto che questa tragedia dimostra in modo inequivocabile una sola cosa: la rete dell’emergenza sanitaria in Campania è un colabrodo, fa acqua da tutte le parti.

CAUSE MALASANITÀ IN CAMPANIA –

Per quali motivi? La catena dell’orrore della notte di giovedì scorso ci fornisce risposte chiare. Primo: i vari centri per le operazioni più urgenti e delicate, dalla cardiochirugia alla neurochirurgia, sono in rete solo sulla carta. Nella realtà vivono e agiscono chiusi nei loro microcosmi, senza una comune regìa e senza un collegamento funzionale che rende integrata ed efficace questa parte dell’assistenza. Secondo: c’è un rapporto squilibrato tra ospedali pubblici e cliniche private, tutto a favore delle seconde. Le cliniche sono convenzionate, quindi pagate con i soldi pubblici del Servizio nazionale, ma questo vale solo per gli interventi di elezione, ovvero quelli meno rischiosi e più remunerativi. Quando si tratta di emergenza, i privati si chiamano fuori, non vogliono rogne e rischi. Si può tollerare una convenzione a metà, che si ferma di fronte al caso più grave, più urgente e per il quale bisognerebbe essere meglio attrezzati? Terzo: l’impreparazione individuale, che purtroppo esiste come testimonia questa vicenda, si amplifica, diventa mortale, nel caos di una mancata programmazione del sistema. E nei buchi neri della rete. Come, per esempio, quello del Policlinico che, per puro interesse privato dei baroni universitari che lo controllano come un feudo personale, non intende dare il suo essenziale contributo all’emergenza. Quarto: a qualche medico somaro, una minoranza, si oppongono professionisti generosi e competenti, la maggioranza silenziosa.

SANITÀ IN CAMPANIA –

Nelle stesse ore in cui il cuore della povera Francesca cessava di battere, l’equipe del Monaldi riusciva a salvare un’altra vita ed a recuperare 5 organi vitali che consentiranno altrettanti trapianti. È la Sanità a doppio regime, specchio non di una sola regione ma di un intero Paese, dove qualsiasi operazione, qualsiasi intervento, qualsiasi ricovero, diventano una puntata al gioco del Lotto. Ti può andare bene, molto bene; ma ti può andare malissimo e ci rimetti la pelle. Una Sanità ingiusta, trasformata in una roulette, che fa rabbia, immensa rabbia.

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