Bike sharing: i numeri di un servizio in crescita

Sono attualmente 153,  in Italia, le installazioni di bike sharing operative: 82 con sistema meccanico e 71 con sistema elettronico, con Torino che detiene il titolo di servizio di bici in affitto più esteso d’Italia. Questa rivoluzione della mobilità urbana ha coinvolto, negli ultimi anni, ben 151 realtà territoriali di cui 146 Comuni, una Comunità […]

Sono attualmente 153,  in Italia, le installazioni di bike sharing operative: 82 con sistema meccanico e 71 con sistema elettronico, con Torino che detiene il titolo di servizio di bici in affitto più esteso d’Italia. Questa rivoluzione della mobilità urbana ha coinvolto, negli ultimi anni, ben 151 realtà territoriali di cui 146 Comuni, una Comunità Montana (le Valli dell’Ossola), 2 Parchi Naturali (Parco Molentargius e Riserva Sentina) e 2 aggregazioni di Comuni (Fiorano, Formigine, Maranello, Sassuolo e Cernusco sul Naviglio, Carugate, Piolte). E una curiosità: l’abbonato più anziano ha 88 anni.
 

Ecco alcuni dei numeri emersi dal workshop che si è svolto, il 7 dicembre scorso, a Lecce sul tema “Futuro del bike sharing: dai costi del servizio alla percezione dell’utente”. Quale è dunque la percezione che i cittadini hanno di questo geniale servizio a bassissimo impatto ambientale? Il 78,8% degli 860 italiani intervistati, purtroppo, non sa esattamente cosa sia il bike sharing, anche se il 48,7% è d’accordo che la diffusione del bike sharing può essere un valido contributo alla riduzione del traffico e dell’inquinamento in città. Arriva al 43,6 la percentuale di chi pensa che dovrebbero esserci più parcheggi dedicati al servizio, mentre se il bike sharing venisse installato dove oggi manca il 22,7% degli italiani lo utilizzerebbe. Sono gli esiti delle due ricerche condotte da CCBS e da Euromobility.
 

Il bike sharing nasce in Italia, nel 2000, a Ravenna con il rudimentale sistema meccanico. La prima esperienza di installazione con prelievo elettronico avviene invece a Cuneo, in Piemonte, nel 2004. Oggi i punti di prelievo meccanici sono 456, con 2.848 biciclette e 33.197 utenti, con in testa le città emiliane di Modena (32 punti di prelievo, 272 biciclette, 2.570 utenti), Ravenna (35 punti di prelievo, 180 biciclette, 2.100 utenti), Bologna (22 punti di prelievo, 184 biciclette), Ferrara (15 punti di prelievo, 140 biciclette), Imola (14 punti di prelievo, 124 biciclette) e la veneta Jesolo (19 punti di prelievo, 120 biciclette, 2.711 utenti). Il sistema elettronico conta invece 791 punti di prelievo, 4.459 biciclette e 45.546 utenti registrati, con Milano e Torino che si contendono il primato della “bassa velocità”: 208 punti di prelievo, 1.800 biciclette e 13.000 utenti, la prima, 64 punti di prelievo, 540 biciclette, ma ben 14.400 utenti la seconda. Seguono Brescia, Bergamo e Treviso, che risposano l’asse della mobilità sostenibile verso il Nord-Est.
 

Il bike sharing, va ricordato a beneficio del 78,8% di italiani che non ha le idee chiare, non è un tradizionale noleggio di biciclette. Si basa infatti sulla condivisione continua e prevede utilizzi rapidi. La bicicletta, cioè, va usata per il tempo necessario allo spostamento e nulla di più, senza abbandonarla incustodita fuori da negozi o ristoranti, ma cercando la stazione di “aggancio” più vicina al luogo di destinazione. Un progetto di servizio efficiente dovrebbe individuare aree strategiche del tessuto urbano, collocare le postazioni lungo le principali direttrici dei flussi di spostamento (punti intermodali, aree di parcheggio, uffici pubblici, poli universitari, luoghi di particolare rilevanza turistica), strutturare una rete a maglia fitta di postazioni e assicurare, di fatto, l’integrazione tra i differenti servizi di trasporto urbano.
 

Da non sottovalutare, tuttavia, i costi del servizio che, per chi fa i conti dell’amministrazione pubblica, non sono un dato secondario e necessitano di qualche accortezza, per centrare l’obiettivo di essere più “verdi” senza restare al verde. L’indagine è stata condotta in 7 città italiane: Bari, Brescia, Roma, Milano, Bergamo, Parma e Torino. I ricavi derivano essenzialmente dagli abbonamenti; quelli da tariffa, provenienti dagli abbonati che utilizzano il servizio nelle fasce a pagamento (dopo una mezz’ora o un’ora di uso), possono infatti essere ritenuti trascurabili, in quanto più del 90% degli abbonati gode delle fasce gratuite. Alcune città hanno però acquisito, come integrazione, delle sponsorizzazioni, che vengono prevalentemente investite a copertura del disavanzo tra i costi e i ricavi del servizio o per finanziare lo sviluppo e la realizzazione di nuove ciclostazioni nelle vicinanze dello sponsor stesso (ad esempio un supermercato o un ospedale privato). L’unica fonte di ricavo ad oggi significativa, conclude la ricerca, proviene quindi dalla creazione di una rete di impianti pubblicitari «funzionali» alla promozione del servizio. Questo modello è già stato adottato con successo da alcune città come Milano, Torino e Verona, dimostrando che la rete di impianti pubblicitari può essere facilmente installata presso le frequentatissime ciclostazioni o in altri punti significativi della città. Con questa soluzione, le amministrazioni, a fronte dell’erogazione di servizi funzionali alla gestione del servizio di bike sharing, danno in concessione pluriennale, a privati, la gestione e la manutenzione degli spazi pubblicitari. Uno equo scambio a favore dell’ambiente urbano.

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