Anche i gatti, come gli esseri umani, possono essere colpiti dall’Alzheimer e anche il loro cervello subisce il declino legato all’età che avanza. Una ricerca scientifica internazionale, pubblicata sulla rivista European Journal of Neuroscience, ha indagato con estrema precisione su come anche i gatti, una volta diventati anziani, devono fare i conti con forme di demenza che possono arrivare fino all’Alzheimer. Con alterazioni cerebrali molto simili, se non identiche, a quelle dei pazienti umani. Già i sintomi sono analoghi tra i gatti e le persone che si ammalano di Alzheimer: confusione mentale, sonno molto disturbato, perdita di orientamento e di memoria. Nel caso dei gatti, si registra un significativo aumento dei miagolii.
La ricerca, che ha visto una stretta collaborazione di scienziati dell’Università della California, dell’Uk Dementia Research Institute e dello Scottish Brain Sciences, ha esaminato in tutti i dettagli il cervello di 25 gatti, di età diverse, dopo la loro morte: tra i felini esaminati, alcuni presentavano, da vivi, segni di demenza.
L’aspetto più interessante, sul piano scientifico, è la scoperta dell’accumulo nei gatti di una specifica proteina tossica, la beta-amiloide, che causa una serie di disfunzioni cerebrali (tipiche dell’Alzheimer), tra le quali c’è anche la perdita di memoria, legate all’età. La beta-amiloide si va ad accumulare nelle sinapsi, ovvero nelle connessioni tra le cellule cerebrali dei gatti anziani colpiti dalla demenza. Le sinapsi, a loro volta, consentono il flusso dei messaggi tra le cellule cerebrali: la loro perdita, quindi, è un segnale evidente della riduzione della memoria e della capacità di pensiero, tipici indicatori dell’Alzheimer.
Ma la cosa più importante, sottolineata dagli scienziati al termine della loro ricerca, è che i risultati ottenuti dallo studio sui gatti aiuteranno a comprendere la demenza dei felini, ma consentiranno anche lo sviluppo di futuri trattamenti dell’Alzheimer quando colpisce, di fatto in modo incurabile, gli esseri umani.
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