Scontro Europa-Usa sui veleni degli aerei

Non vi è dubbio che il settore aereo sia in forte espansione. Se solo ci si basa sulle stime di due tra i maggiori produttori aerei internazionali non possiamo fare a meno di notare la forte crescita del comparto. Boeing e Airbus, nelle proprie previsioni, stimano che dal 2010 al 2029 il numero di nuovi […]

Non vi è dubbio che il settore aereo sia in forte espansione. Se solo ci si basa sulle stime di due tra i maggiori produttori aerei internazionali non possiamo fare a meno di notare la forte crescita del comparto. Boeing e Airbus, nelle proprie previsioni, stimano che dal 2010 al 2029 il numero di nuovi aeroplani crescerà di una percentuale annua compresa tra il 3,2% e il 4,3%. Secondo le previsioni della Federal Aviation Administration degli Stati Uniti (Faa) nei prossimi vent’anni il traffico aereo internazionale è destinato a una crescita annuale pari a una media percentuale del 3,3%. La forte e imprescindibile crescita del settore aereo comporta inevitabilmente ricadute di carattere ambientale: basti solo pensare alle immissioni acustiche prodotte, a quelle atmosferiche, ma soprattutto all’elevato consumo di combustibili fossili con conseguenti emissioni di CO2. Proprio con riferimento alla questione delle emissioni di CO2, dal primo maggio scorso è diventato operativo il regolamento comunitario che, a far data dal primo gennaio 2012, renderà obbligatorie per il settore aereo le disposizioni della cosiddetta direttiva comunitaria sull’Emission Trading.

DIRETTIVA – Questa direttiva impone, a determinati comparti industriali tra i quali anche quello aereo, il rispetto annuale di un tetto massimo (cap) di tonnellate di emissioni di CO2 con il pagamento di una sanzione di 100 euro per ogni tonnellata in più emessa. La direttiva verrà applicata a ogni operatore aereo che decolla o atterra da o verso un Paese dell’Unione europea indipendentemente dalla sua nazionalità. La finalità della norma è quella di indurre a comportamenti più virtuosi da un punto di vista ambientale le compagnie aeree, rispettando i limiti alle emissioni, limiti che potranno essere osservati anche con l’incremento della quota di biocombustibili in parziale sostituzione del cosiddetto jet fuel. Sin da quando la direttiva è stata adottata molte compagnie aeree hanno sollevato le loro proteste. Prima fra tutte la Air Transport Association of America (Ata), ossia la più grande e importante associazione industriale americana, fondata nel 1936, che raccoglie al suo interno le maggiori compagnie aeree commerciali del Nord America. Solo per citarne alcune, sono membri di Ata American Airlines, Continental, Delta, Air Canada, Ups Airlines e via dicendo. Vice presidente di Ata e capo del dipartimento ambientale è Nancy Young, avvocato, laureatasi alla Harvard Law School con oltre vent’anni di esperienza nel settore del diritto ambientale.

Quali sono stati i punti principali nella disputa tra le compagnie aeree statunitensi e l’Ue per l’imposizione degli obblighi derivanti dalla direttiva sul tetto alle emissioni di CO2?
«Ata, unitamente ad altri Paesi e compagnie aeree di diverse parti del mondo, ritiene che l’applicazione unilaterale della direttiva sull’Emission Trading violi alcune disposizioni delle norme internazionali, in particolare le disposizioni della Convenzione sull’aviazione internazionale civile, meglio nota come Convenzione di Chicago. La più significativa violazione riguarda soprattutto l’articolo 1 della Convenzione che stabilisce la sovranità degli Stati sulle proprie compagnie aeree e sui propri “spazi aerei”. La direttiva comunitaria invece, imponendo un tetto alle emissioni a tutti i vettori aerei provenienti o diretti verso l’Europa, tende a imporre regole alle compagnie aeree Usa e allo spazio aereo statunitense. In altre parole, la normativa comunitaria sull’Emission Trading vorrebbe disciplinare le emissioni CO2 di una intera tratta aerea, anche se il volo in questione occuperebbe lo spazio aereo europeo solo per una minuscola frazione dell’intero tragitto».

Come sono impegnate le compagnie aeree statunitensi nella riduzione dei carburanti e conseguentemente delle emissioni di CO2?
«Le nostre compagnie hanno migliorato la propria efficienza energetica del 110% dal 1978 a oggi, risparmiando 2,9 miliardi di tonnellate di CO2 sul territorio statunitense, nonostante le emissioni del settore aereo commerciale statunitense rappresentino solo il 2% delle emissioni a effetto serra rilevate sul territorio americano. Inoltre, desidero sottolineare che anche su base mondiale le emissioni derivanti dal traffico aereo rappresentano solo il 2% delle emissioni di CO2 derivanti dall’attività umana».

Il vostro settore è fortemente legato ai combustibili fossili: come sta procedendo la ricerca e la sperimentazione sull’uso di biofuel per il trasporto aereo?
«Lo sviluppo e l’impiego di combustibili sostenibili per il settore aereo rappresenta un settore di grande interesse per le compagnie aeree e sono stati fatti progressi straordinari. Attraverso gruppi di lavoro quali il Commercial Aviation Alternative Fuels Initiative (Caafi) si è dimostrato che i combustibili alternativi al jet fuel possono alimentare in modo sicuro gli aerei; abbiamo sviluppato e approvato le specifiche tecniche per questo tipo di combustibili, dimostrandone i benefici ambientali».

Quali saranno le prossime sfide in materia ambientale che vorrete affrontare?
«Per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’impiego di combustibile fossile e delle emissioni a effetto serra, è necessario concertare una serie di iniziative per spingere a migliorare la tecnologia nella costruzione degli aerei e nella gestione del trasporto aereo. Per esempio il governo degli Stati Uniti e l’Unione europea stanno lavorando affinché la gestione del traffico aereo passi dall’attuale sistema basato sul radar a un più moderno sistema satellitare. Questo comporterà una maggior efficienza nelle operazioni di volo, riducendone i tempi, consumando meno carburante e conseguentemente emettendo meno CO2».

OBIEZIONE – Il professor Vittorio Prodi, europarlamentare dal 2004 e membro della commissione per l’Ambiente, segue da anni queste problematiche e ha un’obiezione di fondo alla tesi dell’Ata: «Il concetto di sovranità sta cambiando: di fronte a problematiche globali, il cui fondamento scientifico è riconosciuto a livello internazionale, l’approccio e la soluzione devono essere anch’essi globali. Non si può invocare la sovranità di un singolo Stato per sottrarsi a problematiche ambientali “sovranazionali” quali il cambiamento climatico e la riduzione delle CO2. Credo che si potrebbe cercare un accordo fra Unione europea e Usa su sistemi diversi, ma interfacciabili. Negli Stati Uniti si potrebbe ipotizzare un sistema cap and dividend, dove oltre il tetto massimo alle emissioni, i proventi derivanti dall’acquisto delle quote venga redistribuito all’interno del territorio degli Stati Uniti per essere utilizzato in progetti volti alla riduzione delle CO2». Vittorio Prodi, comunque, riconosce che «la direttiva sull’emission trading andrà rivista, come del resto sarà con molta probabilità rivisto il Protocollo di Kyoto al prossimo vertice di Durban. Questo in quanto il problema delle emissioni di CO2 e il loro controllo dovrà essere semplificato e, soprattutto, generalizzato a tutti coloro che fanno uso di fonti energetiche fossili. La tendenza sarà quella di arrivare al paradigma una persona/una quota di CO2. Ogni persona ha diritto a un accesso equo alle risorse naturali e quindi ogni utilizzatore che abuserà di dette risorse dovrà pagare al fine di avere un “permesso aggiuntivo” a emettere CO2».

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