Si avvicina l’appuntamento con la grande conferenza delle Nazioni Unite sullo svilupposostenibile (UNCSD), nota anche come Rio+20, perché cadrà proprio a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra del 1992, che ha lanciato per la prima volta a livello mondiale il concetto di sviluppo sostenibile. Dal 20 al 22 giugno a Rio de Janeiro, in Brasile, il mondo si aspetta molto per un futuro meno sprecone e più sostenibile. Per tutti. Perché sinora non è andata proprio così…
Secondo il ‘Living Planet Report’, l’indagine biennale del WWF sulla salute della Terra, in un anno consumiamo le risorse di un Pianeta e mezzo. Un’avidità che ha provocato, come si legge nel documento, solo fra il 1970 e il 2008, la perdita del 30% di biodiversità a livello globale con punte del 60% nei Tropici, tra le aree geografiche più colpite del mondo. Un trend di sovrasfruttamento confermato anche dai dati sull’impronta ecologica degli ultimi anni: nel 2008, infatti, a fronte di una biocapacità (cioè della capacità che i sistemi naturali hanno di produrre risorse biologiche utilizzabili dagli esseri umani) della Terra di 12 miliardi di ettari globali (Gha), corrispondenti ad una ‘porzione’ pro capite media di 1,8 gha – che nel 1961 era di 3,2 ettari globale, quasi il triplo – si è registrata un’impronta ecologica umana di 18,2 miliardi di gha complessivi per una quota procapite di 2,7 gha. In Italia superiamo addirittura la media mondiale con un consumo annuale di ben 2,5 Pianeti e una quota pro capite di 4,5 gha.
“Nel 1970 sottraevamo annualmente materie prime dalla Terra per circa 30 miliardi di tonnellate, oggi siamo a quasi 70 miliardi”, ha detto Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico del WWF Italia, “Viviamo come se avessimo un pianeta in più a nostra disposizione. Stiamo utilizzando il 50 per cento in più delle risorse che la Terra può produrre e se non cambieremo rotta il numero crescerà rapidamente – entro il 2030 anche due pianeti non saranno sufficienti”. Da Rio ci aspettiamo un netto cambio di direzione.