Rio, gara per ridisegnare le favelas

La «Cidade Maravilhosa» vuole diventare ancora più meravigliosa. Rio de Janeiro si prepara a cambiare look e a trasformare quello che ancora oggi è il suo lato oscuro, ovvero le «favelas», con tutti i problemi sociali che si portano dietro, nel fiore all’occhiello da mettere in bella mostra, come si conviene a un Paese che […]

La «Cidade Maravilhosa» vuole diventare ancora più meravigliosa. Rio de Janeiro si prepara a cambiare look e a trasformare quello che ancora oggi è il suo lato oscuro, ovvero le «favelas», con tutti i problemi sociali che si portano dietro, nel fiore all’occhiello da mettere in bella mostra, come si conviene a un Paese che aspira al ruolo di grande potenza mondiale.

Da qui al 2020, infatti, il programma «Morar Carioca», alla lettera «abitare alla carioca», fortemente voluto dalla Segreteria comunale preposta ai problemi abitativi ridisegnerà 215 delle circa 600 favelas che dall’alto degli innumerevoli «morros» (le colline) dominano la città. E così oltre alle operazioni di «pacificazione» compiute dalla polizia in questi mesi si interverrà adesso con la forza dell’architettura su 12,2 milioni di metri quadrati, un’area equivalente a 1500 campi da calcio. Per questo è stato concesso uno stanziamento di 9 miliardi di reais, oltre 4 miliardi di euro, grazie anche all’intervento della Banca interamericana per lo sviluppo, e indetto nei mesi scorsi un concorso per i migliori 40 progetti cui hanno partecipato i più importanti studi di architettura del Brasile.

Merito della Coppa del Mondo di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, un impulso in termini di tempistica e di finanziamenti. Ma dietro questo «restyling della povertà» c’è, però, come ammettono i sociologi, un sentimento più profondo e antico. Quello del riscatto sociale e dell’impellente bisogno di trasformazione a cui – dopo una lunga stagione si ineguaglianze – sta approdando lentamente anche la società carioca.

E così se nei musei di Rio ancora campeggiano quadri e disegni che raccontano della città colonizzata dai portoghesi, sporchissima e focolaio di malattie fino alla fine de XVIII secolo, degli schiavi, della loro successiva liberazione nel 1888 e dei primi slum da loro stessi costruiti in cima alle colline che dominano la splendida baia, fuori per strada davvero si ha la sensazione che le cose stiano cambiando.

E così si assiste a questo strano paradosso. Mentre i lavori per la costruzione o la ristrutturazione delle strutture che accoglieranno gli eventi sportivi stanno andando spaventosamente a rilento, per ragioni varie tra cui non ultima la corruzione, nei quartieri dei poveri e dei dimenticati si respira invece questa insolita atmosfera di «lavori in corso», di un «work in progress» a cui tutti i cittadini sono chiamati a partecipare.

«Finalmente non ci sentiamo più invisibili» spiega Pedro Leal, fiero abitante del morro São João «possiamo far sentire la nostra voce per dare un aspetto più umano a questi luoghi in cui noi viviamo tutti i giorni, nel bene e nel male».

Già, bene e male. Chi vive in favela a Rio è costantemente in balia di queste due categorie della morale, e il passaggio dall’una all’altra a volte è davvero insopportabilmente repentino. Basta, infatti, una sparatoria con la polizia, una delle centinaia al mese imposte dal traffico della droga, che le minuscole stradine che salgono per i morros si svuotano e le casette arroccate le une sulle altre si trasformano in un’altra città ancora, segreta, dove i narcos si nascondono e i poveri disgraziati si riparano, quando possono, dal fuoco delle pallottole. «Il luogo dove abiti non ti protegge» commenta amaro Pedro.

Con «Morar Carioca» bene e male potranno adesso diventare categorie meno instabili e il male stesso, così si spera, ripiegarsi su di sé fino all’annientamento. Perché in molti dei 40 progetti vincitori, come quelli dell’architetto Jacira Farias e Gilson Santos ci sono le strade che si allargano, in virtù dell’ equazione di Haussmann, il celebre ideatore della Parigi ottocentesca, secondo cui spazi aperti equivalgono a luoghi più salubri e sicuri. Non solo. C’è anche il verde, tanto verde, alberi, giardini, aiuole, sentieri decorati da piante, concetti paesaggistici scontati nelle città europee ma oro per Rio de Janeiro dove il verde è solo pane per i quartieri lussuosi come Copacabana e Ipanema mentre i poveri sono condannati quotidianamente a quella che gli urbanisti pomposamente chiamano la «densità abitazionale».

Senza alberi, con le casupole di mattoni ammassate le une sulle altre senza uno straccio di piano regolatore, il caldo aumenta in un disumano effetto serra, i virus e le malattie sguazzano – la favela della Rocinha ha uno dei focolai di tubercolosi più grandi dell’America Latina – la disperazione trova il suo habitat natrurale.

Per la favela della Rocinha l’urbanista Luiz Carlos Toledo insieme agli abitanti del posto ha progettato invece degli splendidi ecosentieri che indicano la via e provano a contenere la crescita immobiliaria a dismisura. Niente a che vedere con gli orrendi muri, stile ghetto, costruiti in passato alcune favelas.

Si respira un’altra aria a Rio: al morro da Providencia, la favela più antica della città, si sta costruendo una teleferica per aiutare la popolazione a districarsi tra le salite ripide. L’architetto João Calafate propone, invece, per chi preferisce andare a piedi, panchine e chioschi di bevande come punti di sosta per ripararsi dal sole.

E ci sono anche dei giovani architetti francesi, usciti dalla scuola di architettura Paris-La Seine che partecipano al progetto. Il loro studio, il Triptyque da tempo avviato in Brasile, è tra i 40 che trasformeranno le favelas della città con strutture modulari al posto delle casette in muratura, abbarbicate una sopra l’altra. I primi lavori saranno conclusi alla fine di quest’anno.

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