Rinnovabili, il governo frena gli incentivi

  Partito in ritardo il mercato italiano ha conosciuto una ripresa semplicemente impensabile all’inizio del decennio: a fine 2009 gli impianti verdi hanno toccato quota 74.282 ANTONIO CIANCIULLO Stato di salute: eccellente. Futuro: incerto. In questa doppia valutazione sta il rebus delle fonti rinnovabili in Italia. Trainato da Cina, Germania e Stati Uniti, i paesi […]

 


Partito in ritardo il mercato italiano ha conosciuto una ripresa semplicemente impensabile all’inizio del decennio: a fine 2009 gli impianti verdi hanno toccato quota 74.282

ANTONIO CIANCIULLO

Stato di salute: eccellente. Futuro: incerto. In questa doppia valutazione sta il rebus delle fonti rinnovabili in Italia. Trainato da Cina, Germania e Stati Uniti, i paesi che si danno battaglia per la leadership mondiale del settore, il nostro mercato ha conosciuto una ripresa che era impensabile all’inizio del decennio. Secondo i dati del Gse, alla fine del 2009 il parco di produzione elettrica nazionale da fonti rinnovabili è arrivato a quota 74.282 impianti. La produzione elettrica è aumentata del 19 per cento in dodici mesi. La potenza ha raggiunto i 26.519 megawatt, con una crescita dell’11,1 per cento rispetto all’anno precedente grazie soprattutto alla spinta dell’eolico che ha realizzato 1.360 megawatt aggiuntivi. E il contributo della produzione rinnovabile ha così raggiunto il 23,9 per cento del totale (era al 18,2 per cento l’anno precedente).
Ai distratti che dimenticano l’effetto di bilanciamento rappresentato dalle rinnovabili rispetto ai combustibili fossili, il Gse ricorda che l’incidenza della produzione elettrica da energia pulita raggiunge il 20,8 per cento grazie al sempre maggiore contributo delle rinnovabili e alla diminuzione della richiesta di energia elettrica: «L’incremento della produzione verde (+19 per cento) e la contrazione della produzione da combustibili fossili (—14 per cento) danno ragione di un risultato eclatante».
Eppure, nonostante questi numeri, la sorte dell’energia pulita in Italia è quanto mai incerta, appesa alle oscillazioni di una guida governativa esitante e contraddittoria, che in più di un’occasione ha proposto misure penalizzanti con effetto retroattivo finora non diventate esecutive: se fossero passate avrebbero penalizzato chi aveva investito sull’efficienza (ad esempio utilizzando la defiscalizzazione al 55 per cento per gli interventi mirati alla lotta agli sprechi) e sull’energia pulita.
L’ultima tappa di questa via crucis segnata dalla mancanza di una politica di indirizzo capace di dare prospettiva agli investitori e ai cittadini è legata al decreto legislativo che, nel recepire una direttiva europea di sostegno alle rinnovabili, ha decretato la sparizione dei certificati verdi entro il 2015 senza indicare con precisione i meccanismi sostitutivi. In altre parole si è sbarrata la vecchia strada — il sistema che, costringendo i produttori di energia da fossili a inserire nel proprio pacchetto di produzione una quota di rinnovabili, aveva finora garantito il mercato — e non si sono date indicazioni chiare su percorsi alternativi che pure sarebbero possibili.
Immediate sono scattate le proteste di molti operatori del settore. Per Simone Togni, direttore dell’Anev, l’associazione dei produttori di eolico, «se questo decreto legislativo verrà approvato porterà a fallimenti a catena delle aziende che si erano impegnate a realizzare impianti fidandosi delle condizioni di diritto acclarate: ci sono 5 mila posti di lavoro in ballo. Quanto al futuro, sembra si voglia andare verso un meccanismo basato sulle aste al ribasso: il sistema peggiore perché penalizza chi punta sulla trasparenza e sui lavori fatti a regola d’arte».
Anche il mondo del solare ha reagito con preoccupazione. Per Valerio Natalizia, presidente del Gifi, la decisione di limitare a 50 chilowatt per ettaro la potenza massima di fotovoltaico che si può installare a terra non è una norma tecnicamente sensata e non aiuta i piccoli agricoltori: oggi sono in difficoltà a causa dei prezzi troppo bassi e, con un’integrazione energetica, avrebbero un’alternativa all’abbandono dei campi. Per Gianni Chianetta, presidente di Assosolare, è un provvedimento che dovrà essere rivisto dalle Camere e dalla commissione Stato Regioni: «Così com’è va in direzione opposta a quella proclamata, è uno sgambetto alle rinnovabili, non un aiuto».
Non tutti la pensano così. Il giudizio di Enel Green Power, centrato sulla possibilità di arrivare a un sistema più efficiente, è favorevole: «La bozza di decreto legislativo assegna chiari traguardi temporali rispetto alla precedente regolamentazione che conteneva notevoli incertezze, aggravate anche a seguito dell’articolo 45 della precedente legge manovra. E’ previsto inoltre che successivi decreti attuativi daranno ulteriori indicazioni di dettaglio sui valori degli incentivi per gli anni successivi al 2015, con l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi comunitari fissati per il 2020». Anche la Fiper (Federazione italiana di produttori da fonti rinnovabili) considera «apprezzabile il riconoscimento del valore strategico del teleriscaldamento a biomassa».
Ma Gaetano Buglisi, segretario di Asso Energie Future, distingue tra la necessità di eliminare storture legate all’importazione di energia chiamata rinnovabile solo a causa di certificati di provenienza sospetti, e la specificità di misure che rischiano di mettere in crisi la filiera italiana delle rinnovabili, dai produttori di inverter alla manodopera che si sta specializzando nell’installazione e nella manutenzione di questo tipo di impianti: «Così al 17 per cento di rinnovabili non ci arriveremo mai. Appena la stretta dei combustibili fossili si stava cominciando ad allentare, si prova a tornare indietro. La verità è che sta partendo un’offensiva contro il fotovoltaico basata su paure irragionevoli. Se anche tutto il solare italiano venisse realizzato a terra, e non è assolutamente quello che sta accadendo, si occuperebbe appena lo 0,1 per cento dei terreni agricoli. Non mi pare che un allarme analogo sia scattato quando il paese si è riempito di capannoni e di serre che producono un impatto ambientale piuttosto consistente».
«Un agricoltore su tre negli ultimi anni ha deciso di abbandonare l’attività perché non riesce a far quadrare i bilanci: che senso ha bloccare una possibilità di reddito aggiuntivo?», aggiunge Mario Carfagna, amministratore delegato di Photonica, una società che si occupa dell’organizzazione degli impianti di fotovoltaico. «I campi di energia solare possono essere realizzati senza usare cemento, con reti di recinzione sollevate da terra per permettere il passaggio dei piccoli animali e senza provocare, come succede con le serre, l’effetto di riflessione della luce. Scegliendo le zone con criterio possono benissimo essere armonizzati in un contesto agricolo».

 

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