La privacy non è morta. Checché ne dicano Zuckerberg e sodali, stando a un rapporto dell’istituto di ricerca Pew Internet & American Life Project, non è vero che chi naviga su Internet non sia interessato a proteggere i propri dati o vi abbia rinunciato in nome di una maggiore possibilità di sentirsi partecipi della vita altrui, o di permettere ad altri di partecipare alla propria. Anzi, è iniziata l’era dell’“unfriending”.
Lo studio Pew, basato sui risultati di una serie di interviste telefoniche condotte fra l’aprile e il maggio 2011 su un campione di 2277 adulti e pubblicata pochi giorni fa, mostra come gli iscritti ai social media siano diventati molto più prudenti e selettivi nella gestione dei loro profili. Il 63% degli interpellati ha cancellato una o più persone dalla lista degli “amici” su Facebook e simili: un dato in netta crescita rispetto al 56 % di un’analoga ricerca condotta nel 2009.
Non solo: ma il 44 per cento ha dichiarato di aver cancellato dei commenti inseriti da altre persone sulla loro bacheca (nel 2009 era il 36 %) e il 37 per cento ha raccontato di aver rimosso il proprio nome da delle foto in cui erano stati “taggati” da altri utenti. Esiste anche una differenza di genere: le donne sono, stando ai dati Pew, molto più atttente nella gestione del proprio profilo sui social network e nella scelta di quali informazioni condividere e quali fare a meno: il 67 % degli appartenenti al gentil sesso regola le impostazioni di privacy in modo che concedere l’accesso ai contenuti solo ai contatti diretti, quasi venti punti percentuali in più rispetto al corrispondente dato maschile del 48 %.
All’estremo opposto, il 26 % dei maschi, contro il 14 % delle signore, lascia il proprio profilo impostato su pubblico, il che significa che i contenuti sono visibili a tutti e possono essere indicizzati dai motori di ricerca. Non ci sono invece grandi differenze anagrafiche: il nuovo atteggiamento di prudenza e cautela nell’utilizzo dei social è diffuso in tutte le fasce d’età anche se i teenager sembrano leggermente più propensi a proteggere gelosamente le informazioni.
Un altro dato interessante, che emerge dalla ricerca Pew è che sono sempre di più coloro che gestiscono un solo profilo di social media, invece che adoperare molteplici piattaforme: più delle metà degli intervistati (il 55 %) ha affermato di comportarsi così. Nel 2009 era il 45 %. È chiaro che lo studio dell’istituto americano mostra solo una faccia della medaglia: è vero che gli iscritti ai social network sono diventati più attenti a salvaguardare la propria privacy dagli sguardi degli altri utenti; ma chi li protegge dall’occhio indiscreto di Facebook & C.? Chi impedisce che i loro dati vengano venduti più o meno sottobanco e come possono essere sicuri che questo non avvenga?
Se per difendersi dagli “amici” basta regolare le impostazioni di privacy, per proteggersi dai gestori delle varie piattaforme ci vuole ben altro e malgrado, soprattutto in Europa, l’attenzione su questi temi sia piuttosto elevata, dal punto di vista della concreta applicazione di dei limiti all’onnipotenza degli amministratori dei vari servizi di networking, c’è ancora molto da fare.