No, il posto non c’e’, nemmeno quest’anno, per il futuro si vedra’. Per uno che vince, gli altri nove restano a casa. Come in una strana e assurda lotteria. Ci sono i nonni quando va bene, la baby sitter quando non c’e’ scelta, e per chi non puo’ pagare non resta che arrangiarsi, i piccoli vagano, oggi la zia, domani la vicina, le mamme degli altri bambini, la tv… Perche’ gli asili nido sono pochi, i posti disponibili soltanto l’11% per tutti i bimbi di quella fascia d’eta’, le graduatorie sono spaventose, le domande sempre di piu’. Avere 0-3 anni in Italia e’ un mestiere difficile. Soprattutto nelle grandi citta’, soprattutto nel centro Sud, soprattutto d’inverno quando al parco il sole non c’e’, fa freddo e c’e’ allarme rosso per le polveri sottili.
Loro sono i bambini piu’ piccoli dei piccoli, esigua schiera che sulla popolazione nazionale non raggiunge nemmeno il 5%, quelli che le statistiche definiscono “1 x 4”, ossia un bebe’ per quattro adulti. Bimbi vezzeggiati e amatissimi quando si tratta di vendere pannolini o baby-food, dimenticati poi nei loro problemi reali nell’Italia dei tagli a servizi, sanita’ e istruzione. Parliamo di welfare. Parliamo di asili nido, asili aziendali, asili condominiali, ludoteche, tagesmutter, orari flessibili e part time. Ossia tutti quei luoghi, istituzioni o persone che dovrebbero prendersi cura dei bambini 0-3 anni, quando le mamme tornano a lavorare, in attesa che scatti l’ora X della scuola materna. Di tutte quelle reti, integrate e non, che se esistessero, potrebbero permettere alle coppie di fare qualche figlio in piu’.
Invece quest’anno nonostante gli sforzi di quasi tutte le regioni, il bilancio e’ ancora negativo: le scuole stanno per iniziare ma l’89% dei piccoli in eta’ da “nido” e’ rimasto a casa, di ludoteche nemmeno l’ombra, per non parlare di asili condominiali, aziendali, o altri supporti alle famiglie. In molte aree del Sud poi e’ proprio tutta la fascia dei bambini fino a 5 anni ad essere esclusa dai primi passi della formazione, perche’ a Bari come a Napoli, a Palermo come Catania, anche le scuole materne (da 3 a 5 anni) sono in affanno, e un buon 20% di potenziali allievi arrivera’ alle prime classi elementari senza aver frequentato un giorno d’asilo.
Spiega Anna Teselli, ricercatrice del centro studi Ires-Cgil, che nel 2005 aveva effettuato la prima ricognizione sullo stato degli asili nido. “Pochissimo e’ cambiato, se non la crescita esponenziale delle domande. Il problema e’ che non si ritiene il nido una esigenza pedagogica, ma soltanto un luogo dove parcheggiare i figli. Un’idea di welfare residualistico, che continua a considerare la famiglia come la vera rete informale di assistenza. Il nido invece e’ fondamentale per i bimbi di oggi, che spesso sono figli unici, e li’ possono socializzare. In tutta Europa i nidi coprono il 90% della domanda delle famiglie, da noi e’ il 90% dei bimbi a restare a casa…”.
E se alcune regioni come il Lazio hanno migliorato la loro offerta, se Emilia Romagna e Toscana restano oasi felici, c’e’ un pezzo d’Italia (Calabria, Sicilia) dove molti servizi per l’infanzia hanno addirittura chiuso i battenti. Una situazione che in mancanza di nonni (a loro viene affidato il 54% dei nipotini se i genitori lavorano) puo’ diventare drammatica. A Palermo negli asili nido nemmeno un bambino su 5 riesce ad entrare. I posti disponibili sono 336, ma le candidature sono state 1.856: la maggior parte delle richieste dunque non sara’ accolta. A Napoli soltanto 1200 bambini potranno usufruire dei 30 nidi comunali, mentre a Bari il numero dei nidi scende a 5, le scuole materne sono 16, accolgono 1600 bimbi, ma le richieste di ingresso sono tre volte maggiori.
Cosi’ accade che nelle zone a rischio, dove le citta’ sono assalite dal degrado, se la scuola e’ costretta chiudere le iscrizioni, se a casa non c’e’ nessuno, altro non resta che la strada, il vicolo, la terra di tutti e di nessuno. E le statistiche sulla dispersione scolastica, che in Italia non accenna a diminuire, mostrano che piu’ tardi si entra in contatto con “l’istituzione scuola”, prima si tende ad abbandonarla. Saltare cioe’ gli anni fondamentali dell’asilo, ma anche quelli del nido, quei primi mille giorni di vita in cui il cervello impara ad imparare, puo’ avere conseguenze sia sull’apprendimento che sulla socializzazione.
E’ proprio sull’aspetto educativo che si sofferma lo psicoterapeuta dell’eta’ evolutiva Federico Bianchi di Castelbianco. “Questo ci da’ la misura di quanto sia cambiata la societa’. Trent’anni fa – spiega – dovevo pregare le mamme di mandare i figli non al nido, figuriamoci, ma addirittura all’asilo, a 4 anni compiuti. Oggi spesso chiedo che tengano con se’ il bambino almeno per tutto il primo anno di vita… Il nido e’ un luogo fondamentale per la socializzazione, ma non prima del compimento dei due anni. Fino a quest’eta’ i piccoli hanno bisogno del loro luogo esclusivo. Il mio pensiero, forse controcorrente, e’ questo: invece di aumentare il numero degli asili nido, utilizziamo questi fondi per allungare i congedi di maternita’. Fino a dodici, quattordici mesi. Per la serenita’ di tutti, ma soprattutto dei bambini”.