L’icona del Masai Mara è il leone, ma qui i cosiddetti "big five" della savana ci sono tutti, dall’elefante al leopardo al rinoceronte al bufalo. I famosi 1500 km quadrati di riserva naturale del Kenya sudoccidentale, nella pianura di Serengeti, stanno tuttavia perdendo questo patrimonio a una velocità che lascia ammutoliti: secondo una statistica dell’università tedesca di Hochenheim pubblicata sul Journal of Zoology, impala, facoceri, giraffe e ancelafi sono diminuiti del 70% in tre decenni, e bisonti e licaoni sono praticamente scomparsi.
C’è un unico animale che in questa sterminata prateria africana punteggiata di acacie non teme l’estinzione: il bovino da allevamento. Il numero di capi "Bos taurus" introdotti nella riserva è infatti parallelamente aumentato del 1100%. E questo dato, secondo gli esperti del dipartimento di Bioinformatica che hanno condotto lo studio, è direttamente responsabile della diminuzione della fauna selvatica. Da una parte perché tori e mucche consumano buona parte delle risorse alimentari destinate alle specie autoctone, e dall’altra perché per creare i pascoli ogni anno vengono disboscate consistenti porzioni di verde, alterando il contesto originale.
Lo statistico Joseph Ogutu ha seguito la situazione di sette grandi mammiferi della savana negli ultimi 15 anni e integrato i dati con quelli raccolti su altre 12 specie a partire dal 1977, in modo da tracciare un quadro completo nell’arco di 33 anni. "Siamo rimasti scioccati – ha detto Ogutu – : il Masai Mara ha perso circa due terzi della propria fauna". Delle 13 specie studiate in totale, solo gli struzzi e gli elefanti non hanno subito una drastica riduzione al di fuori della riserva, mentre all’interno gli unici a mantenersi stabili sono stati l’eland (un’antilope gigante) e la gazzella di Grant. Per tutte le altre specie il declino negli ultimi 10 anni è stato inarrestabile, malgrado le politiche di tutela avviate dai governi africani tra il 2000 e il 2001. La migrazione di massa degli gnu dal Masai Mara al Serengeti, che ogni estate fa spostare due milioni di capi in cerca di pascoli più ricchi, oggi coinvolge ad esempio il 64% di animali in meno rispetto agli anni ’80, e le zebre della riserva negli ultimi decenni sono diminuite di tre quarti.
Una fetta di responsabilità è da attribuire al bracconaggio, dato che solo tra il 2001 e il 2010 sono stati 1500 i cacciatori arrestati in queste zone e 17.300 le trappole sequestrate. Ma secondo gli esperti la piaga principale è il disboscamento: "Contrariamente a quanto si crede – spiega il Massimo Comparotto, presidente dell’OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali) – la principale causa di deforestazione sono gli allevamenti dei bovini e non il taglio del legname. Per fornire carne all’occidente sono stati distrutti in pochi anni milioni di ettari di foresta in tutto il mondo. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti a pascolo siano in via di desertificazione: l’allevamento intensivo distrugge il suolo, perché la coltivazione di cereali per animali richiede le monoculture, che impoveriscono il terreno".
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