Italia ad andamento lento

Dal 1909, anno in cui la Trento-Malè fu inaugurata ufficialmente, sono trascorsi un secolo e due anni. Nata come tramvia, la linea era la più lunga ferrovia elettrificata in esercizio nell’intero impero austroungarico.  Progettata dagli austriaci, vide presto accrescere la propria importanza per lo sviluppo economico e sociale della zona, perché riuscì a sottrarre persone […]

Dal 1909, anno in cui la Trento-Malè fu inaugurata ufficialmente, sono trascorsi un secolo e due anni. Nata come tramvia, la linea era la più lunga ferrovia elettrificata in esercizio nell’intero impero austroungarico.  Progettata dagli austriaci, vide presto accrescere la propria importanza per lo sviluppo economico e sociale della zona, perché riuscì a sottrarre persone e merci all’isolamento delle loro valli permettendo loro di raggiungere con facilità il capoluogo di Trento e la grande direttrice commerciale del Brennero.

Gestita, fino al termine della Grande Guerra, dalle ferrovie dello Stato austriache, cui subentrarono quelle italiane, la Trento-Malè (che oggi si spinge fino a Marilleva) fu affidata a una società privata nel 1936. Dopo la seconda guerra mondiale, l’esercizio venne assunto dalla Società concessionaria Ferrovia Locale Trento-Malè, che si trovò davanti una situazione drammatica. La guerra, com’è ovvio, aveva causato gravi danni alle infrastrutture rendendo indispensabile il rifacimento integrale della linea. Qualcuno fece obiezioni, ma la consapevolezza dell’utilità per le zone interessate vinse, assieme alla decisione di trasformare l’originaria tramvia in ferrovia vera e propria. Così, nel 1953 si cominciò a costruire un nuovo tracciato ferroviario lungo 56 chilometri che, tra alterne vicende tecniche e burocratiche, fu completato nel 1964.

Dalla Val di Non alla Val di Sole, fra distese di vigneti, la ferrovia elettrica a scartamento ridotto Trento-Malè offre un itinerario affascinante e suggestivo. Abbandonato il capoluogo, il binario s’inerpica in mezzo a lunghi filari di viti, che ben presto lasciano il posto alla colture intensive della regina del Trentino: la mela. Una volta, il lento avanzare del treno era scandito da un caratteristico suono simile a un muggito: perciò, il trenino della Val di Non erano localmente soprannominato "vaca nonesa", cioè mucca nonense, dal nome della vallata. Oggi sui binari sfrecciano moderne automotrici elettriche del tipo leggero, silenziose, spaziose, con pavimento ribassato per facilitare l’accesso dei passeggeri.

Gli altopiani che fanno da scenario alla Trento-Malè sono solcati da innumerevoli corsi d’acqua (il maggiore è il Noce, affluente dell’Adige), che nel corso dei milleni hanno inciso profonde gole, per superare le quali la ferrovia è costretta ad affacciarsi su ponti arditi. Uno dei punti più affascinanti del tragitto si trova all’inizio della Val di Non, quando il treno oltrepassa un orrido transitando su un ponte sospeso fra l’imbocco dei due tunnel della Rocchetta.

Risalendo lungo la valle, giostrandosi tra pendenze medie del 20 per mille e massime del 50, la linea raggiunge un altro caratteristico precipizio: la forra di Santa Giustina. Qui il Noce ha scavato, nella roccia alta più di 140 metri, una feritoia lunga e stretta, che la ferrovia supera impegnando un ponte in cemento armato a campata unica lungo 78 metri, realizzato nel 1959 in seguito alla costruzione della diga di Santa Giustina, che diede origine all’omonimo lago artificiale.

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