Se in inverno fa più freddo del normale, la colpa è dell’estate precedente. Se è stata più calda della media, la conseguenza è il crollo delle temperature invernali. Almeno nell’emisfero settentrionale. È la conclusione alla quale sono giunti un gruppo di scienziati americani sotto la guida di Judah Cohen, i cui risultati sono stati pubblicati su Environmental Research Letters.
RISCALDAMENTO – Gli studiosi hanno analizzato gli ultimi due inverni (2009-2010 e 2010-2011) particolarmente rigidi nell’est degli Stati Uniti, nel Canada meridionale e in gran parte del nord Europa, che secondo gli esperti non possono essere spiegati semplicemente con la variabilità climatologica. Il raffreddamento invernale, dicono in sostanza i meteorologici, è da mettere in relazione con il forte riscaldamento al quale sono state sottoposte le regioni artiche nei mesi di luglio, agosto e settembre, riscaldamento che poi è proseguito anche in autunno e che ha causato lo scioglimento record della calotta artica marina. Aria più calda e mari polari liberi dai ghiacci hanno determinato una maggiore quantità di umidità nell’atmosfera delle latitudini più elevate aumentando la propabilità di intense precipitazioni nevose più a sud in Europa e in Asia. La ricerca ha infatti messo in luce come negli ultimi vent’anni la copertura media nevosa in Eurasia è aumentata.
NEVE – L’incremento della copertura nevosa fa mantenere nella fase «negativa» l’Oscillazione artica, il sistema che regola l’andamento della pressione delle medio-alte latitudini. Nella fase «negativa» le alte pressioni restano sopra l’Artico e spingono l’aria gelida alle medie latitudini, facendo registrare temperature polari nel Canada settentrionale e negli Usa. Lo studio mette infatti in luce l’importanza finora sottostimata della copertura nevosa per avere corrette previsioni meteo a lunga scadenza.
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