Innovazione e ricerca, l’Europa boccia l’Italia

Poca innovazione, pochi laureati, pochi investimenti in ricerca e innovazione, scarsa collaborazione tra pubblico e privato. Questa è stata l’Italia negli ultimi anni. Ad affermarlo è lo IUS 2011, l’indagine europea sull’innovazione presentata ieri a Bruxelles da Antonio Tajani e Maire Geoghegan-Quinn. Dal lungo documento di cento pagine che compone l’indagine, emerge un quadro in […]

Poca innovazione, pochi laureati, pochi investimenti in ricerca e innovazione, scarsa collaborazione tra pubblico e privato. Questa è stata l’Italia negli ultimi anni. Ad affermarlo è lo IUS 2011, l’indagine europea sull’innovazione presentata ieri a Bruxelles da Antonio Tajani e Maire Geoghegan-Quinn.

Dal lungo documento di cento pagine che compone l’indagine, emerge un quadro in chiaro scuro che vede il bel paese rimandato a settembre nella maggioranza delle materie prese in esame. Sono pochi i settori a salvarsi. Ma è l’intera Europa a non eccellere: la crescita c’è ma è lenta rispetto agli obiettivi fissati. Solo il nord Europa e la Svizzera si salvano a pieni voti. Per Geoghegan-Quinn, i problemi maggiori restano i pochi investimenti e la burocrazia. Speranza per i nuovi piani del governo Monti.

Quattro gruppi. La classifica IUS ha diviso i 27 paesi dell’unione europea in quattro grandi fasce: i "leader dell’innovazione", gli "inseguitori", gli "innovatori moderati" e quelli "modesti". È la Svezia a guidare il quartetto di testa, seguita da Danimarca, Germania e Finlandia. Solo sedicesima l’Italia, nel gruppo degli innovatori moderati: l’unico grande paese a collocarsi nell’area medio bassa, con Spagna e Grecia.

Gli indicatori d’innovazione. Sono otto gli indicatori presi in esame dallo studio per calcolare il livello di innovazione: tra questi l’istruzione nazionale, la qualità del

 

sistema di ricerca, il livello dei finanziamenti, la quantità di nuovi brevetti e gli effetti economici conseguenti. Il rapporto dimostra come per collocarsi nelle parti più alte della classifica tutti gli aspetti debbano crescere in modo armonico e integrato: eccellere in uno non serve.

I dati italiani. L’indagine inizia parlando della scuola e della formazione, con un dato positivo per l’Italia: quello del numero di soggetti tra i 25 e i 34 anni in possesso di un dottorato. Il nostro paese registra 1,6 dottori ogni mille persone, leggermente al di sopra della media europea (1,5), e dimostra anche un buon andamento di crescita negli ultimi 5 anni (10%). In questo campo, si rivela inoltre una sostanziale parità tra uomini e donne. Scadente, però, la capacità di attrarre studenti da aree extra europee e creare mobilità: solo poco più del 5% degli aspiranti dottori proviene da fuori Europa, contro una media generale attorno al 20%.

Ma quando l’obiettivo si sposta a valutare il numero delle persone tra i 30 e 34 anni in possesso di una laurea, l’Italia crolla al quintultimo posto: sono meno di 20 italiani su cento ad averla, contro 33,6 europei e più di 40 francesi, inglesi e spagnoli. La crescita c’è, ma è inferiore alla media UE. Più colte le donne: un dato che si registra in ben 26 paesi su 27, al quale fa eccezione la sola Germania.

Nemmeno l’istruzione secondaria riserva buone sorprese. Circa 76 ventenni italiani su cento hanno un diploma, contro 79 europei. Anche in questo caso il numero di donne diplomate supera quello degli uomini: rivelando in generale un’Europa femminile più colta di quella maschile.

Le pubblicazioni scientifiche. Dopo aver analizzato il livello culturale dei paesi, l’indagine passa al setaccio la qualità del sistema di ricerca e la sua capacità di interagire con l’estero. In Italia il numero di pubblicazioni scientifiche effettuate in collaborazione internazionale si rivela di poco sopra la media. Sotto la soglia europea, invece, quello delle pubblicazioni tra le più citate al mondo. Poco sviluppate, in particolare, le collaborazioni accademiche tra imprese e istituzioni, che portano a meno di 25 pubblicazioni scientifiche ogni milione di abitanti, contro le 40 europee.

Ricerca e sviluppo. In quello che il rapporto definisce come uno degli indicatori chiave per la competitività e la salute futura dell’intera Unione, l’Italia è in difficoltà. I nostri investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, infatti, si sono fermati attorno allo 0,6% del PIL contro lo 0,75% europeo, con un tasso di crescita tra i più bassi di tutta l’eurozona. Anche gli investimenti a rischio e quelli privati hanno scarseggiato: restando sempre ben sotto rispetto la media dell’unione e registrando un andamento in calo, probabilmente anche a causa della crisi. Piccola ripresa solo per quanto concerne le esportazioni dei prodotti nel settore, di poco sopra la media europea.

Anche nel campo dei marchi registrati e dei brevetti l’Italia naviga in acque agitate: sia per quanto riguarda il comparto in generale, sia nei brevetti specificamente rivolti al settore della sanità e dei cambiamenti climatici. Questi due ambiti sono definiti come molto importanti a lungo termine: per contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione nel vecchio continente.
Bene solo lo storico settore del design italiano, che costituisce ancora un tassello importante del tessuto nostrano.

Piccole e medie imprese. A salvare l’Italia dalle zone negative dei grafici sembra ancora una volta il comparto delle piccole e medie imprese, che da sempre costituiscono una parte considerevole del sistema economico nazionale. Il rapporto mostra che circa il 35% delle PMI italiane ha sviluppato internamente nuovi prodotti e tecnologie, contro il 30% europeo, e in generale opera attivamente nel settore. Il comparto delle imprese che innovano al proprio interno registra anche il secondo miglior tasso di crescita in assoluto.

Male, però, la cooperazione reciproca. Se in Europa 11 PMI su 100 lavorano a stretto contatto con le altre nello sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie, con punte di 25 nel Regno Unito, in Italia sono solo sei.

Il futuro. Dal riassunto dei dati si vede un’Italia che negli ultimi anni ha visto una crescita lieve e quasi sempre al di sotto della non eccellente media europea, con isolate aree positive. Un sistema poco capace di investire in ricerca e innovazione e di collaborare. Insomma, un’Italia che ha mostrato ancora una volta una buona intelligenza individuale ma una scadente intelligenza collettiva, come ebbe a dire Rita Levi Montalcini.

Il nuovo governo, nel frattempo, ha impostato specifici piani di crescita – descritti lunedì scorso a Repubblica dal ministro Profumo – con l’obiettivo di ribaltare proprio le tendenze negative descritte dal rapporto IUS 2011. Un incontro interministeriale sul tema è previsto già domani. L’Europa sembra mostrare segnali di ottimismo, ma il tempo è poco.

 

 
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