
L’edificio era di quelli costruiti negli anni Novanta. Speculazione immobiliare, scarsa progettazione energetica, materiali di bassa qualità e alto impatto ambientale, le caratteristiche delle costruzioni di quel periodo. Oggi il quartier generale italiano della Ergo, multinazionale delle assicurazioni, è stato riqualificato e rappresenta uno dei rari esempi di edilizia commerciale recuperata in un’ottica sostenibile.
UN PREMIO INTERNAZIONALE – A fare scattare la molla per la riapertura dei cantieri nel 2007 fu una situazione contingente. «Il rivestimento di piastrelle della facciata esterna si staccava», spiega Niccolò Aste, docente del dipartimento Best del Politecnico di Milano. Ma non solo. «I muri erano stati progettati male. Con costruttore e architetto che si rimpallavano le colpe senza che l’azienda potesse rientrare dei danni». Una situazione tutta italiana. Che, per una volta, ha tuttavia visto un lieto fine. Zona Ripamonti, sud di Milano. La Ergo per risolvere il problema decide di rivolgersi a un team di architetti. Che, lavorando con la consulenza scientifica del Best, ossia del proprio dipartimento al Politecnico, oltre a risolvere il problema contingente, propongono al cliente di approfittarne per rendere l’edificio conveniente dal punto di vista energetico in poco tempo e a costi contenuti. La trattativa va a buon fine. E lo studio si aggiudica l’appalto. Ma non solo. Il progetto conquista pure il Zerofootprint re-skinning award, con menzione d’onore, unico a firma di italiani in una competizione internazionale sponsorizzata dal Green Building Council statunitense e dalle Nazioni Unite.
SPESE – «Prima del nostro intervento le bollette della sede si aggiravano sui centinaia di milioni di euro all’anno», continua Aste. In seguito a un energy audit durato tre mesi – ossia dopo aver individuato quali erano i motivi degli sprechi grazie a contatori e modelli di calcolo energetico per stabilire lo scorporo dei singoli consumi – si è passati alla fase progettuale. Risultato, dopo tre anni di lavoro, senza necessità di spostare la sede dell’azienda e senza rallentarne il lavoro – con un investimento di 2 milioni e 300 mila euro – l’edificio ha trovato una sua efficienza. «Siamo intervenuti solo sulle facciate», sottolinea Aste. «Abbiamo aumentato l’isolamento termico con lana di roccia e poliuretano. Poi, tra gli altri interventi eseguiti, abbiamo sostituito i vetri presenti con una tipologia che facesse filtrare la luce e non alzasse troppo le temperature interne d’estate». L’aspetto più interessante però è la realizzazione di un software di controllo solare che, attraverso algoritmi e una stazione meteo, controlla una serie di lamelle applicate sulla facciata in modo che si aprano o si chiudano per far filtrare più o meno luce a seconda delle esigenze. «Abbiamo unito il sistema teorico – l’algoritmo basato sulla traiettoria del sole – a un sistema empirico basato sulla stazione meteo presente sul tetto della costruzione». Poi pannelli fotovoltaici sulla facciata sud, con un sistema di produzione elettrica integrato.
RISPARMIO ENERGETICO – E se il risparmio energetico di Ergo è stato portato così al 40 per cento con soli tre anni di lavoro, i problemi nel settore della riqualificazione degli edifici commerciali non mancano. A partire dalle norme. «In Italia già nel 1991 avevamo una legge valida per l’efficienza energetica degli edifici. Ma sono mancati i decreti attuativi. Così abbiamo aspettato le direttive europee e poi ci siamo adeguati in ritardo anche a quelle», sottolinea Aste. Che aggiunge: «La legislazione fiscale per gli incentivi è talmente incerta e va così a singhiozzo che per le aziende diventa difficile programmare lavori di ammodernamento delle proprie sedi». A complicare il tutto anche gli scarsi investimenti in ricerca e la poca lungimiranza, «tipica del nostro Paese». E non rendono facili le cose nemmeno le «lobby sia di fabbricanti che di sedicenti archistar, quando cercano di imporre sul mercato un materiale rispetto a un altro nonostante non sia energeticamente conveniente». Il risultato è così sotto gli occhi di tutti. «Siamo indietro sul fronte della riqualificazione commerciale», conclude Aste con parole che sono supportate dai dati. Secondo le stime di settore infatti la riqualificazione italiana nell’ambito commerciale è ferma al 2 per cento degli edifici, un dato bassissimo soprattutto se lo si paragona con l’estero.
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PASSI IN AVANTI – In Gran Bretagna, da un’indagine condotta dal gruppo Skanska, emerge che già il 35 per cento degli imprenditori ha intrapreso attività di ristrutturazione o rinnovamento degli edifici gestiti. Con benefici sia per l’ambiente che per la salute di tutti, oltre che per le tasche dei costruttori stessi e dei proprietari delle attività. Nel caso di Ergo infatti l’abbattimento delle emissioni di CO2 è stato stimato intorno alle 291 tonnellate all’anno. Mentre un’altra ricerca inglese compilata da Cyrilsweett ha valutato che spendere 60 euro al metro quadro in più per migliorare il proprio edificio implica una riduzione delle emissioni di circa il 50%, con un ammortamento delle spese che parte già dal primo anno. Insomma, la riqualificazione conviene anche per gli uffici, oltre che per gli appartamenti. E va a vantaggio del portafoglio e dell’aria che respiriamo. Ma in Italia facciamo ancora fatica a comprendere questo concetto.