Massimo Agostini
ROMA
L’Unione europea dà una mano ai produttori di frutta, aumentando gli aiuti per sostenere il mercato. Ma intanto il «frutteto Italia», stretto nella morsa del crollo dei prezzi e dell’invasione di prodotto estero, rischia la chiusura.
Ieri, al Comitato di gestione di Bruxelles il commissario all’Agricoltura, Dacian Ciolos, ha annunciato di voler mettere a disposizione 227 milioni di euro (34,6 per l’Italia e ben 70,9 per la Spagna, 46,3 per la Polonia), a fronte dei 210 inizialmente previsti, per sostenere i ritiri di ortaggi in seguito alla crisi dei consumi provocata dall’epidemia da Escherichia coli. La Commissione ha quindi fatto sapere che a settembre – ma con effetto retroattivo dal 19 luglio – varerà un regolamento che prevede l’aumento del prezzo di riferimento per pesche e nettarine eccedenti. Il prezzo, cofinanziato al 50% dalla Ue, salirà a 26,9 centesimi il chilo, dagli attuali 16,49 centesimi per le pesche e 19,56 per le nettarine. Di questi prodotti l’Italia è leader mondiale con un raccolto medio annuo di circa un milione e 570mila tonnellate.
«Una prima risposta positiva alla grave crisi del comparto – ha commentato Paolo Bruni, presidente delle coop europee (Cogeca) – che però necessita di un intervento economico ulteriore». La richiesta, da avanzare in sinergia con le amministrazioni nazionali, per Bruni dovrebbe infatti prevedere un «innalzamento delle soglie di ritiro ad almeno 30 centesimi, totalmente a carico del bilancio comunitario».
Da circa un mese a questa parte il settore è piombato nel caos. L’offerta di prodotto da tutto il Mediterraneo si sovrappone a quello nazionale. E i prezzi alla produzione sono crollati: fino a 20 centesimi il chilo, nel caso delle pesche. La terza settima di luglio Ismea ha quotato le pesche 38 centesimi (-21,7% rispetto a un annio fa); 38 centesimi anche le nettarine (-35,9%); 12 centesimi le angurie (-47,1%); 64 centesimi le susine (-7,9%). Prezzi che in ogni caso non coprono i costi, che per le pesche si aggirano sui 40-45 centesimi.
In base a elaborazioni della Coldiretti su dati Sms consumatori, un prodotto come l’anguria viene pagato al produttore, nella media nazionale, 12 centesimi il chilo. Ma questo prezzo sale a 25 centesimi all’ingrosso, per raggiungere i 60 centesimi al consumo, con un ricarico dal campo alla tavola del 400 per cento. Nel caso delle pesche gialle, si passa dai 35 centesimi il chilo rilevati in media la scorsa settimana all’origine, a 68 centesimi all’ingrosso, fino a 1,90 euro nei punti vendita.
Da qui le manifestazioni di protesta indette in questi giorni in diverse città da organizzazioni agricole e cooperative. Con i produttori esasperati che tra Bologna, Torino, Lecce e Matera hanno distribuito gratuitamente alla gente migliaia di chili di pesche, albicocche, angurie e meloni. Intanto, per promuovere il consumo di frutta durante le vacanze, ieri al ministero delle Politiche agricole è stata presentata l’iniziativa «Pesche in spiaggia». Dal 13 al 28 agosto, con la regìa del Centro servizi ortofrutticoli e le Capitanerie di Porto, sulle spiagge di Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia sarà distribuita frutta a 500mila potenziali consumatori.
Al di là dei fatti congiunturali, osserva il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, «occorre intervenire sulle strozzature e distorsioni che si verificano nel passaggio dell’ortofrutta dal campo alla tavola che sottopagano il nostro prodotto su valori insostenibili al di sotto dei costi di produzione e rendono troppo onerosi gli acquisti per i consumatori».
I motivi dello squilibrio del resto sono diversi. Il mancato accordo interprofessionale, cui si è aggiunto un accavallamento produttivo tra le diverse aree di produzione in Europa, ha favorito l’arrivo sugli scaffali della grande distribuzione di sempre maggiori partite di frutta d’importazione. La psicosi del «batterio killer» che ha colpito nei mesi scorsi l’Europa ha raffreddato ulteriormente i consumi. E poi il settore è interessato da abbandoni ed espianti che rendono difficile programmare l’offerta. Solo in Emilia Romagna, prima regione produttrice, negli ultimi dieci anni il numero delle aziende frutticole è crollato del 40%, le superfici del 22 per cento.
«Il problema, però, non è solo italiano – ricorda Patrizio Neri, di Fruitimprese (l’associazione degli importatori-esportatori) – i consumi vanno a rilento anche negli altri paesi, e i rapporti con la grande distribuzione sono spesso difficili anche per gli altri». La tensione è alta in tutta Europa. Ieri gli agricoltori e le cooperative riunite nel Copa-Cogeca, hanno condannato «i violenti attacchi a un carico di pesche e nettarine spagnole alla frontiera francese, causa della crisi che ha colpito il settore anche lì».