Anche in Svizzera si tratta l’uscita dal nucleare

di Pierluigi Mennitti La decisione tedesca di uscire dal nucleare nel prossimo decennio comincia a produrre effetti anche negli altri stati di lingua tedesca. Dopo Berlino, anche la Svizzera si pone sulla stessa strada, con il voto espresso dal Consiglio nazionale. Sul tavolo della Camera bassa elvetica, tre mozioni vicine alle posizioni espresse poco tempo […]

di Pierluigi Mennitti

La decisione tedesca di uscire dal nucleare nel prossimo decennio comincia a produrre effetti anche negli altri stati di lingua tedesca. Dopo Berlino, anche la Svizzera si pone sulla stessa strada, con il voto espresso dal Consiglio nazionale. Sul tavolo della Camera bassa elvetica, tre mozioni vicine alle posizioni espresse poco tempo fa dal governo che aveva anticipato la volontà di abbandonare l’atomo a tappe entro il 2034.
Come ha raccontato la Neue Zürcher Zeitung del 9 giugno, «le mozioni parlamentari presentate da Verdi, Partito borghese democratico (Bdp) e Partito popolare democratico (Cvp), questi ultimi due di maggioranza, chiedevano nello specifico di non rilasciare nuove concessioni per la costruzione di centrali atomiche e di stabilire interventi a favore di politiche energetiche alternative come lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’incentivazione del risparmio energetico».
L’USCITA SARÀ GRADUALE. Con questo escamotage, la Camera bassa ha di fatto ricalcato la linea dell’esecutivo di uscita graduale dal nucleare: man mano che i reattori in funzione raggiungeranno il cinquantesimo anno di attività, verranno spenti e nessun nuovo impianto ne sostituirà la produzione. La Svizzera ricava oggi dai suoi 5 reattori nucleari il 40% del fabbisogno energetico nazionale, gran parte della quota rimanente è affidata alle centrali idroelettriche.
LA PROPOSTA DEI SOCIALISTI. In una ulteriore votazione è stata bocciata una proposta dei socialisti, che auspicava un percorso più accelerato, anticipando a 40 anni il limite di funzionamento degli impianti: in questo caso, i due reattori di Beznau sarebbero stati spenti immediatamente.

Solo i liberali astenuti

Nel complesso, la posizione filo-governativa è stata appoggiata da tutti i partiti presenti in Consiglio nazionale, «con l’esclusione dei liberali dell’Fdp, che si sono astenuti in quanto, pur contrari a nuovi reattori, volevano evitare il divieto esplicito verso qualsiasi nuova tecnologia, e dei nazionalisti dell’Svp», che in apertura di seduta avevano chiesto un rinvio della discussione per permettere al governo di presentare un piano dettagliato sulle misure da adottare da oggi al 2034.
GLI IMPIANTI NON SOSTITUITI. È questo, infatti, il lato debole della decisione svizzera. «L’approvazione del Consiglio nazionale», ha scritto il quotidiano di Zurigo in un articolo di commento, «ha lasciato in verità parecchi punti oscuri. È stato chiarito che i tre impianti più vecchi (Beznau I, II e Mühleberg) non verranno sostituiti da alcun nuovo impianto alla fine della loro carriera, fra meno di dieci anni. E tuttavia non è possibile riconoscere nella decisione parlamentare una logica consapevole, dal momento che sarebbe stato necessario accompagnarla con misure concrete in direzione di una nuova politica energetica alternativa».
IL POST-NUCLEARE: QUESTIONE SPINOSA. In tal senso, secondo l’autorevole quotidiano svizzero, la classe politica non ha ancora voluto affrontare le questioni più spinose che la scelta post-nucleare comporterà: «In un campo in cui, dalla produzione che riguarda la scelta dei i siti, alle infrastrutture di trasporto che prevedono la costruzione di una rete, fino all’utilizzazione che richiederà autorizzazioni per la costruzione dei nuovi impianti, nulla è possibile senza il coinvolgimento e l’accordo tra federazione e cantoni, lo stato dovrebbe sgombrare per tempo gli ostacoli.
Ne va di mezzo anche la sicurezza di approvvigionamento energetico del Paese». L’impressione che ne ha ricavato la Neue Zürcher Zeitung è che «nel caso della scelta anti-nucleare i politici si stiano comportando nella stessa maniera poco conseguente adottata in materia di difesa del clima: da un lato vengono scritti nelle leggi ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni, dall’altro si evita di indicare le misure concrete necessarie per raggiungerli. L’uscita dall’atomo ha dei costi ma il governo sembra suggerire agli elettori che tutto sia possibile e non costi quasi nulla».

 

 

 

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