Rivolta dei prefetti: una protesta contro se stessi. Come se fossero operai licenziati…

C’è qualcosa di surreale nella ribellione dei prefetti che dicono di essere stati abbandonati di fronte alla valanga dell’immigrazione. Vogliono essere tutelati dallo Stato e minacciano di scendere in piazza. Ma lo Stato non sono loro?

PREFETTI IN RIVOLTA –

Ci mancava solo il sindacato dei prefetti, pronto a scendere in piazza. Nell’Italia picaresca delle mille sigle sindacali, ovvero la rappresentanza ridotta a protezione corporativa, sempre sull’orlo delle rivolta rabbiosa, adesso scopriamo che anche loro, i funzionari pubblici che impersonano la presenza del governo sul territorio, hanno una sigla, il Sinpref, e un presidente, Claudio Palomba, da mettere in campo per alzare  le barricate. Come se fossero dei metalmeccanici in cassa integrazione, o dei precari della scuola in attesa da anni di un’assunzione.

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PROTESTA DEI PREFETTI D’ITALIA: COSA CHIEDONO –

I prefetti si sentono con il cerino in mano, soli e abbandonati, travolti da un clima di «enorme ostilità», di fronte alla valanga dell’immigrazione che nessuno riesce a contenere. Rivendicano di essere loro, solo loro, a fare i conti con un dramma epocale, e sono pronti a farsi sentire «in ogni sede». Prima di vederli con i cartelli appesi al collo in strada, e con il fischietto in bocca come in un qualsiasi corteo che si rispetti, i prefetti chiedono di essere «tutelati dallo Stato». E già, lo Stato. Forse in tanta foga ribellista hanno dimenticato un piccolo particolar, e cioè che lo Stato sono loro. I prefetti oggi travestiti da lavoratori, ben pagati, dalla protesta più facile del mondo: quella contro se stessi.

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