
Keith Gessen, The New Yorker, Stati Uniti www.internazionale.it
Il terribile traffico di Mosca ha una
pessima reputazione già da diverso
tempo, ma da un paio d’anni è
addirittura percepito come una
minaccia alla vita stessa della città.
All’inizio di dicembre del
2009, la prima nevicata invernale ha completamente
paralizzato la città. Andrej Kolesnikov,
che segue le vicende del Cremlino
per il quotidiano Kommersant ed è probabilmente
il giornalista della carta stampata
più noto del paese, non è riuscito a
raggiungere in tempo l’aeroporto per partire
con il primo ministro Vladimir Putin alla
volta di Nizhnij Tagil. Invece di riferire in
dettaglio le virili avventure di Putin nella
capitale metallurgica degli Urali, il giorno
dopo Kolesnikov ha raccontato ai lettori
l’odissea del suo viaggio verso l’aeroporto.
Il centro per l’analisi del traffico di Yandex,
il principale motore di ricerca del paese,
ha parlato del peggior ingorgo mai visto,
con macchine in coda per sei ore di fila.
Quella sera un famoso blogger, critico verso
il Cremlino, camminando lungo la Moscova
verso il centro della città, ha incontrato
l’autista di un’ambulanza in piedi accanto
al veicolo fermo. Stava lanciando
pigramente delle palle di neve contro la
banchina: era rimasto bloccato nel traffico
così a lungo che il paziente era morto.
L’allora sindaco Jurij Luzhkov, che negli
anni si è appropriato con la moglie di una
grossa fetta di Mosca, ha reagito con decisione:
ha dato tutta la colpa ai meteorologi,
colpevoli di aver sottovalutato la nevicata.
Servono previsioni più attendibili, altrimenti
saranno guai, ha minacciato. Ma nei
mesi successivi la neve ha continuato a
provocare il caos. In tre diverse occasioni
gli autisti degli spazzaneve sono stati attaccati
a colpi di arma da fuoco perché erano
andati a sbattere contro delle automobili.
Uno degli autisti è morto, ucciso da un poliziotto
fuori servizio.
I privilegi delle sirene blu
In realtà muoversi in auto in quel grande
labirinto circolare che è Mosca è incredibilmente
difficile, anche quando non c’è la
neve. Nell’ora di punta di un giorno nuvoloso
e molto freddo del febbraio del 2010,
la lussuosa Mercedes del vicepresidente
della Lukoil, la più grande compagnia petrolifera
del paese, si è schiantata a grande
velocità contro una piccola Citroën. Gli occupanti
della Mercedes se la sono cavata
con qualche graffio, ma la Citroën si è accartocciata
come fosse di carta. La donna
al volante e sua nuora, entrambe medici
sono morte. L’incidente ha fatto scoppiare
un grosso scandalo. La polizia ha sostenuto
che la colpa era della Citroën, ma le associazioni
degli automobilisti hanno subito
trovato dei testimoni pronti a giurare che la
Mercedes si era spostata nella corsia centrale
d’emergenza, riservata alle ambulanze
e alle macchine della polizia, invadendo
poi la corsia opposta. Sono anni che a Mosca
questi macchinoni, con la sirena sul
tettuccio, ignorano i semafori rossi, usano
le corsie d’emergenza e tormentano gli altri
automobilisti. In teoria, alcune di quelle
macchine hanno il diritto di farlo perché
appartengono a una delle agenzie per la
sicurezza federale, ai deputati della Duma
o a Putin in persona. Ma spesso si tratta
semplicemente di persone ricche e con le
conoscenze giuste. A pochi giorni dall’incidente,
il rapper Noize MC ha inciso un pezzo
sferzante, intitolato Mercedes S-666, in
cui paragona il vicepresidente della Lukoil
coinvolto nell’incidente, un uomo
dall’aspetto innocuo, a Satana: “Tutti quei
costumi da diavolo non servono a un cavolo./
Mascherarsi è inutile, io sono inimitabile.
Lavoro a un livello che non raggiungeranno
mai./Ho una valigia piena di grana
che mi tira fuori dai guai”. Il ritornello dà
voce al conflitto di classe alla radice del
problema: “Levatevi dai piedi, luridi contadini./
C’è un nobile sulla strada”.
Un mese dopo, di lunedì mattina, due
giovani donne del Caucaso si sono fatte
saltare in aria in due luoghi diversi del centro
città all’ora di punta. La prima nella fermata
della metropolitana della Lubjanka,
proprio sotto il quartier generale dell’Fsb, i
servizi segreti federali, la seconda in un’altra
stazione della stessa zona. I soccorsi si
sono mossi in fretta. Era impensabile che
le ambulanze riuscissero a farsi largo nel
traffico per raggiungere l’ospedale, perciò i
feriti più gravi sono stati trasportati in elicottero.
Ma dal momento che tra le due
esplosioni erano passati 40 minuti, la
stampa ha cominciato a chiedersi perché la
metro non fosse stata evacuata subito dopo
la prima bomba. La reazione di un portavoce
del trasporto pubblico moscovita è stata
immediata: “Non avete idea di
cosa sarebbe successo se avessimo
chiuso un’intera linea”. Meglio
rischiare un altro attentato
piuttosto. “Per quanto riguarda i
trasporti la città è sull’orlo del baratro”,
mi spiega Mikhail Blinkin, un esperto
di traffico. “Prima o poi Mosca smetterà
semplicemente di esistere come un’unica
città. In futuro vivremo in città diverse. Le
persone abiteranno in quartieri diversi, e
in qui niente da dire. Il punto è che non saranno
più in grado di spostarsi da un quartiere
all’altro.”
Era la primavera del 2007 quando mi
sono reso conto per la prima volta della
gravità del problema. Stavo bevendo un
caffè da Cofee Bean, sulla Sretenka, a due
passi dalla Lubjanka e dal quartier generale
della Lukoil. Un tempo a Mosca non era
possibile procurarsi un caffè. Né con le
buone né con le cattive. Quindi non mi importava
se quello appena ordinato non era
buono e costava quattro dollari. O meglio,
certo che mi importava, ma non potevo farci
nulla. Insomma, ero intento a sorseggiare
il mio caffè da quattro dollari quando a
un tratto nella strada davanti al bar è apparsa
mia sorella in macchina, bloccata nel
traffico. Qualche tempo prima aveva comprato
una Honda Element blu, che sembra
una versione a motore della macchina di
Fred Flintsone, con il guidatore in posizione
curiosamente eretta. Più avanti la Sretenka
incrocia l’Anello dei giardini (Sadosovietico
sembrò sul punto di decidersi, al
potere arrivò Stalin. E con lui il carattere
medievale di Mosca non subì mutamenti
sostanziali. Gli stalinisti, però, costruirono
giganteschi viali che partivano dal Cremlino
e si sviluppavano in ogni direzione come
raggi del sole. Di macchine ne circolavano
pochissime. Ma in compenso queste grandi
arterie garantivano ai leader sovietici un’ottima
visuale durante le parate militari.
Poi è arrivato il capitalismo. Le leggi sul
cambio di residenza, che in epoca sovietica
rendevano quasi impossibile trasferirsi a
Mosca, hanno smesso di essere applicate
rigidamente, proprio mentre la periferia
dell’impero era in preda al caos, alla povertà
e alla violenza etnica. Ben presto è diventato
chiaro che quanto aveva perso in autorità
politica, Mosca l’aveva recuperato – e
con gli interessi – in potere economico. Alla
fine degli anni novanta nella capitale c’erano
più persone provenienti dalle ex repubbliche
sovietiche di quante ce ne fossero
quando l’Unione Sovietica era uno stato
unitario. Arrivavano dalla Russia rurale,
dall’Asia centrale e dall’Ucraina per scappare
dalla povertà, dal Caucaso per sfuggire
alla guerra. Tutti volevano una macchina.
In materia, il piano della città era di non
avere nessun piano. La pianificazione era
roba da socialisti. Con il capitalismo sarebbe
stato il mercato a sistemare tutto.
Nei primi anni dell’era postsovietica
Mosca si è riempita di chioschi, di bancarelle
di generi alimentari e di vecchiette che
vendevano calzini per strada. Poi sono arrivati
i grandi uffici, i megastore e perfino i
condomini di lusso. Gli spazi che un tempo
erano riservati alle strade o alle nuove stazioni
della metro sono stati ceduti all’edilizia
privata. Blinkin ricorda che pochi mesi
prima del crollo del comunismo ricevette
dal governo sovietico l’incarico di calcolare
la crescita del numero delle automobili in
circolazione nei 25 anni a venire. “Conoscevamo
i dati sulla motorizzazione di diversi
paesi del mondo, e così prevedemmo esattamente
quello che sarebbe successo”, racconta.
E a Mosca è successo che il numero
di macchine è passato da 60 ogni mille abitanti
nel 1991 a 350 nel 2009. “Eravamo
orgogliosi della nostra lungimiranza. Poi,
qualche tempo dopo, conobbi dei tizi che
vendevano macchine straniere e che avevano
fatto una previsione di marketing senza
usare nessuno dei nostri modelli internazionali.
Erano arrivati alle nostre stesse
conclusioni”.
Blinkin non sembra avere troppa stima
per i commercianti di auto, ma nei primi
anni novanta tra loro c’erano alcune delle
voe koltso), che disegna intorno al Cremlino
un cerchio del raggio di circa due chilometri
e mezzo e segna il conine del centro
storico. Per buona parte della sua lunghezza
ha dodici corsie e in alcuni punti addirittura
diciotto. Eppure è spesso bloccato dagli
ingorghi. All’incrocio tra l’Anello e la
Sretenka, un poliziotto controllava il semaforo
per cercare di snellire il traffico. Tutto
inutile. E così ecco mia sorella, a circa sei
metri da me. Sembrava seduta a un altro
tavolo del caffè. Mentre quell’attimo si dilatava,
io continuavo a sorseggiare il mio
caffè. Quando il semaforo è finalmente
scattato e mia sorella è avanzata di qualche
metro, sembrava quasi che si fosse spostata
al tavolo accanto. Se il caffè fosse costato
di meno, gliene avrei comprato uno.
Una rivoluzione urbanistica
Ci sono voluti decenni, perfino secoli, per
arrivare a questo punto. I primi sovrani costruirono
Mosca come una serie concentrica
di cittadelle fortificate, con il Cremlino
al centro. Quando il governo abbandonò
Mosca per stabilirsi a San Pietroburgo,
all’inizio del settecento, la vecchia
capitale cominciò a crescere
senza una logica, come un enorme
bazar. In epoca postrivoluzionaria,
quando i bolscevichi
riportarono il governo a Mosca
per allontanarsi il più possibile dai tedeschi,
emersero diverse ipotesi fantasiose
per cambiare la struttura della città: le
avanguardie immaginarono una Mosca
socialista piena di nitidi angoli retti, mentre
altri proposero più semplicemente di
abbandonare la città. Molti credevano che
il Cremlino, un simbolo della tirannia medievale
e del potere ecclesiastico nel cuore
della città, dovesse perdere il suo ruolo
centrale o peggio. Quando però il governo
menti più brillanti del paese. Il primo grande
patrimonio postsovietico non è stato
realizzato con il petrolio, il gas o il nichel.
L’ha accumulato Boris Berezovskij, un matematico
esperto nella teoria dei giochi,
commerciando in automobili.
Sulle rotaie del tram
Prima di essere costretto dal presidente
Dmitrij Medvedev a lasciare il suo incarico,
nel settembre del 2010, il sindaco
Luzhkov ha licenziato il responsabile del
dipartimento trasporti della città. Il funzionario,
qualche settimana prima, era stato
aspramente criticato per non essere riuscito
a risolvere il problema del traffico, proprio
come era successo ai tre dirigenti che
l’avevano preceduto negli ultimi sette anni.
Sono molti i problemi che Luzhkov ha ignorato
durante i suoi mandati, ma tra questi
sicuramente non c’era il traffico. Per dirla
tutta, a tratti si aveva l’impressione che il
sindaco non pensasse ad altro. Ogni volta
che andava all’estero tornava con una soluzione
magica per risolvere la questione
degli ingorghi, e quando aveva soldi da
spendere costruiva strade e scavava tunnel.
Aveva anche ingaggiato una guerra
senza quartiere contro i semafori: “Era
convinto che sbarazzandosi dei semafori
tutto si sarebbe risolto”, dice Blinkin. E in
effetti, sull’arteria centrale che dal Cremlino
va dritta (o almeno dovrebbe) fino
all’aeroporto di Sheremetevo, fuori città, li
ha eliminati quasi tutti. Ha voluto che molte
strade diventassero a senso unico, una
soluzione che una volta aveva ipotizzato
anche per l’Anello dei giardini. Ma non è
servito a niente. I moscoviti continuano a
comprare (o rubare, recuperare, ordinare
su eBay in Nordamerica) più auto di quante
ne possano circolare sulle strade fatte costruire
da Luzhkov.
La mossa più saggia sarebbe stata investire
nel trasporto pubblico per potenziare
la metropolitana, giustamente famosa ma
insufficiente per le esigenze della città, e
ripristinare quei tram sotto le cui ruote trova
la morte Berlioz, il presidente della Massolit,
all’inizio del Maestro e Margherita.
Luzhkov, invece, si è sempre mostrato
freddo nei confronti della metropolitana e
ostile ai tram. A Mosca il trasporto pubblico
è per i perdenti. Al contrario, ha speso
miliardi per ampliare l’Mkad, la circonvallazione
più esterna della città, e per completare
la costruzione del leggendario terzo
anello, di cui a Mosca si parlava dagli anni
sessanta: una superstrada tra l’Anello dei
giardini e l’Mkad. Secondo il centro di analisi
del traffico di Yandex, la terza circonvallazione
oggi è l’arteria più trafficata della
città.
“Nessuna città è mai stata costruita sugli
ingorghi”, mi spiega Vukan Vuchic,
esperto di mobilità della University of
Pennsylvania. “È impossibile!”. Vuchic ha
visitato Mosca a ottobre ed è rimasto molto
colpito, negativamente, da quello che ha
visto. “In centro ci sono strade di quattro o
cinque corsie in entrambe le direzioni”,
osserva. “Sembra impossibile che siano
congestionate, eppure lo sono!”.
Negli ultimi anni parecchi esperti hanno
dato il loro contributo per risolvere l’in-
cubo del traffico moscovita. L’autunno
scorso sono andato a pranzo con Kiichiro
Hatoyama, un giapponese esperto di mobilità.
Come ho scoperto in seguito, Hatoyama
è il figlio di Yukio Hatoyama, ex primo
ministro del Giappone. A Mosca insegnava
all’università statale, la Mgu. Abbiamo
cenato insieme allo Starlite Diner, un
ristorante americano rimasto in piedi dagli
anni novanta, nascosto in un piccolo parco
poco lontano dall’Anello dei giardini. Volevo
capire com’era possibile che una città
con dei viali così ampi avesse un traffico
così spaventoso. Hatoyama ha alzato tre
dita. “Sono tre i fattori principali che determinano
il traffico di una città”, ha detto.
Primo, il comportamento di chi guida.
Gli automobilisti sanno che, attraversando
un incrocio appena prima che scatti il rosso,
è possibile rimanere bloccati e creare
un ingorgo. Ma i russi se ne infischiano. Impazienti
e arrabbiati, occupano ogni centimetro
di strada rimasto libero. Gli automobilisti
russi, insomma, sono degli idioti. Ma
Hatoyama ha usato un’espressione diversa:
“Gli automobilisti russi non sono lungimiranti”.
Secondo, il sistema del traffico, cioè
l’organizzazione delle strade. La struttura
a raggiera di Mosca la pone in leggero svantaggio
rispetto a città come New York, con
le strade disposte a griglia. Ma questi svantaggi
non sono decisivi: anche Tokyo ha
una struttura radiale. Il problema principale,
secondo Hatoyama, è che a Mosca scarseggiano
le svolte a sinistra.
Terzo, il sistema sociale, che si rispecchia
inevitabilmente sulle strade di ogni
città. Una notte, l’estate scorsa, ho preso
un taxi per tornare a casa. Era molto tardi e
le strade erano vuote. Mentre attraversavamo
piazza Pushkin, abbiamo notato un poliziotto
correrci davanti e salire su una garitta
dei vigili urbani all’incrocio successivo.
“Sta arrivando qualcuno”, mi ha annunciato
il tassista. Siamo rimasti fermi
davanti al semaforo rosso per qualche minuto.
Il silenzio era totale. Poi, dalla direzione
del Cremlino, è apparsa una colonna
di Mercedes nere e di suv che ci è sfilata accanto
ed è scomparsa nella notte. Sono
passati dieci secondi e il semaforo è diventato
verde. “È una struttura feudale”, ha
detto Hatoyama riferendosi al sistema di
privilegi accordati all’élite in materia di
traffico, “e causa parecchi problemi”. Nel
frattempo, abbassate le tre dita, era tornato
al suo sandwich.
Gli ho chiesto se c’è un altro luogo al
mondo dove esistono due pesi e due misure
per gli automobilisti diversi. Hatoyama
ha continuato a concentrarsi sul suo sandwich.
Quando finalmente ha risposto, ho
notato una certa soddisfazione nella sua
voce: “La Cina”.
Quasi un dissidente
Qualche anno fa Mosca cercò di istituire un
sistema di parcheggi a pagamento nel centro.
Era singolare, dopo tutto, che in una
delle città più care del mondo fosse possibile
posteggiare gratis. Le autorità dispiegarono
un esercito di uomini con divise
arancione per incassare i soldi. Ben presto,
però, apparvero i falsi parcheggiatori, con
le loro divise arancione d’ordinanza. E poi
i mezzi d’informazione svelarono che i veri
parcheggiatori consegnavano al comune
solo una parte delle cifre incassate. Alla ine,
il sindaco Luzhkov cedette alle pressioni
dell’opinione pubblica ed eliminò
i posteggi a pagamento.
Oggi a Mosca si parcheggia in
modo selvaggio. Le auto sono
sistemate agli incroci, sulle isole
pedonali, nei silenziosi cortili del
centro, nelle piazze storiche. Vuchic paragona
la città all’Austria degli anni settanta.
“Chi andava a Salisburgo per vedere la statua
di Mozart”, racconta, “non ci riusciva.
La città era un enorme parcheggio.” Da allora
gli austriaci hanno preso di petto il problema,
creando zone speciali per i posteggi,
migliorando la segnaletica e facendo
rispettare le regole. A Mosca, invece, le cose
peggiorano. In tutta la città ci sono segnali
di sosta vietata, ma difficilmente
qualcuno li rispetta. E le multe sono risibili.
Il risultato è che i pedoni passano un sacco
di tempo ad aggirare o scavalcare le auto, e
a volte sono perfino costretti a scendere dai
marciapedi invasi dalle auto.
Secondo Blinkin il problema del traffico
è il risultato dell’assoluta mancanza di cultura
della legalità e della pianificazione.
“Provate a parcheggiare sui marciapiedi a
Monaco o a Boston”, dice l’autore di Eziologia
e patogenesi del traffico di Mosca, uno
degli studi più importanti sull’argomento.
.
Mosca, spiega, ha caratteristiche sociali e
strutturali che rendono complicati gli spostamenti
in auto. I grandi viali, per esempio,
sono stati costruiti per ospitare le parate
militari. A New York, invece, esiste un
efficiente sistema stradale a due livelli: da
una parte ci sono le strade normali, dove i
pedoni hanno la precedenza, dall’altra
grandi le arterie a scorrimento veloce, dominate
dalle auto e vietate ai pedoni. Secondo
Blinkin, a Mosca non esiste nessuna
vera strada a scorrimento veloce. Perfino
sulla circonvallazione più esterna, quella
teoricamente destinata alle auto che vogliono
evitare la città, negli ultimi anni sono
spuntate decine di centri commerciali.
Il famigerato quarto anello non risolverà
nessuno di questi problemi. “Non si può
continuare a fare il girotondo in eterno”,
esclama Blinkin. “Prima o poi le
persone devono uscire. A quel
punto come si fa?”. Il vero problema,
però, è politico: chi ha amministrato
la città per quasi
vent’anni, il sindaco Luzhkov,
non è stato all’altezza del suo compito.
Blinkin ha poco più di sessant’anni. È
un uomo magro e pieno d’energia, con ispidi
bai brizzolati. Ha studiato nella prestigiosa
facoltà di matematica dell’università
statale di Mosca, ma a causa della misera
votazione ottenuta all’esame di storia del
Partito comunista, dopo la laurea è riuscito
a trovare lavoro solo in un istituto di ricerca
sul traffico. “Inizialmente sono rimasto
molto deluso”, racconta, “ma poi ho scoperto
che del tema del traffico si erano occupate
persone molto in gamba”. Per
vent’anni ha lavorato in due istituti di ricerca
sovietici per la pianificazione urbana, e
nel 1990 ha fondato un centro studi privato
sul traffico. Blinkin adora guidare. Quando
ci siamo conosciuti aveva una Mercedes
serie E color argento. Ma non sono mai riuscito
a convincerlo a farmi fare un giro.
“Oggi prendo la metro”, mi diceva ogni
volta che lo chiamavo per un incontro. “Bisogna
essere idioti per guidare in queste
condizioni.”
Negli ultimi anni Blinkin ha sostenuto
spesso posizioni scomode, e ormai comincia
a somigliare a un vero e proprio dissidente:
una sorta di Sakharov del traffico.
Eppure, in un paese dove i rappresentanti
dell’opposizione sono sistematicamente
banditi dalla tv e dai giornali, Blinkin ha
più visibilità di quanta riesca a gestirne.
“La settimana scorsa sono apparso in tv
quattro volte”, mi ha detto la prima volta
che ci siamo incontrati, “e ho perso il conto
delle interviste rilasciate”. Del resto, a Mo-
sca il traffico è uno degli argomenti più discussi
e attuali. Vuchic, che è nato a Belgrado,
è rimasto piuttosto sorpreso quando il
quotidiano Izvestija gli ha chiesto un’intervista.
“Non avrei mai creduto di finire sul
vecchio organo del Partito comunista”, ha
commentato.
Da uno a dieci
Come altre grandi metropoli, Mosca ha un
centro per il controllo del traffico provvisto
di grandi monitor puntati sui principali
snodi della città. Decine di impiegati tengono
d’occhio la situazione e comunicano
con gli agenti chiusi nelle garitte in strada
per informarli e dar loro istruzioni. Ho visitato
gli uffici del centro, una struttura davvero
impressionante. Schermi enormi,
poliziotti in divisa che controllano ogni cosa,
il traffico che scorre davanti ai loro occhi:
sono dettagli che restituiscono la vera
dimensione della metropoli e la fanno anche
apparire gestibile. Ma in un certo senso
era tutto un’illusione: i poliziotti possono
osservare, ma sono impotenti. La mia guida
mi ha indicato i monitor che riprendono
il traffico nei quartieri più poveri della città,
a sud e a est. “Sono queste le zone peggiori
per gli ingorghi?”, gli ho chiesto. “Tutte le
zone sono le peggiori”, ha borbottato dopo
aver riflettuto un po’.
Il principale concorrente della polizia
nel campo delle informazioni sul traffico è
Yandex, che nel 2006 ha cominciato a monitorare
la viabilità sul web e nel 2008 ha
creato un centro di analisi autonomo, Yandex
probki (in russo probka significa ingorgo).
Yandex probki pubblica periodicamente
un libro bianco sullo stato del traffico
e gestisce un blog di notizie sul tema. Ma
il suo compito principale è tenere aggiornata
una mappa con il lusso della circolazione
cittadina in tempo reale. La fluidità
del traffico viene indicata secondo una scala
che va da 1 (“le strade sono libere”) a 9
(“la città si è fermata”) e a 10 (“faresti meglio
a prendere la metro”). Probki ha circa
mezzo milione di visitatori al giorno solo a
Mosca.
Gli uffici di Yandex probki occupano un
basso edificio moderno alle spalle della
stazione ferroviaria di Kursk. Per raggiungerli
prendo un pulmino che fa la spola con
la stazione della metropolitana. La mappa
con il traffico cittadino fa bella mostra di sé
su un grande schermo al plasma proprio
sopra la reception. In una stanzetta al piano
superiore sono seduti tre uomini. Come
in una versione in miniatura del centro di
controllo della polizia, stanno davanti ai
monitor dei computer e tengono d’occhio
le immagini riprese da un centinaio di videocamere
posizionate in vari punti della
città. Quando lo ritengono necessario, possono
spostare le videocamere per seguire
meglio gli avvenimenti e controllare i lussi
su una grande carta stradale.
Ma il centro può contare anche su strumenti
più sofisticati. Come mi spiega Maria
Laufer, responsabile di Yandex Maps,
piazzare videocamere in tutta la megalopoli
avrebbe un costo proibitivo. Per monitorare
il lusso del traffico, in molte città si
usano dei sensori incorporati nel selciato,
ma a Mosca è difficile che sopravvivano al
clima rigido e ai continui lavori stradali resi
necessari dal maltempo. Così, spiega Laufer,
Yandex ha escogitato un metodo che
coinvolge direttamente gli automobilisti.
Grazie al sistema dei siti wiki, aggiornati
dai loro stessi utilizzatori, gli utenti hanno
cominciato a mandare le informazioni via
telefono o sms. Con il costante aumento
degli automobilisti che usano smartphone
con gps integrato, Yandex ha distribuito
agli utenti un proprio software per fare in
modo che le informazioni potessero essere
inviate direttamente ai server dell’azienda.
Il sistema è cresciuto, e oggi è in grado di
dare un quadro sempre più ampio e preciso
della situazione del traffico.
Mentre faccio il giro dell’ufficio comincia
a nevicare. Poco dopo un impiegato entra
nella sala conferenze con il portatile in
mano. “È arrivato a dieci!”, annuncia, riferendosi
all’indice che misura il traffico. “È
passato da cinque a dieci in un’ora e mezza!”.
Il pulmino della Yandex che mi riaccompagna
alla stazione della metropolitana
rimane bloccato nel traffico poco prima
di imboccare l’Anello dei giardini.
Sempre in coda
Nei suoi momenti di slancio poetico, Blinkin
cita L’autostrada del sud, il racconto di
Julio Cortázar su un gruppo di persone che,
tornando a Parigi dopo un weekend, rimane
bloccato in un ingorgo mostruoso.
Ascoltandolo, ripenso al
racconto di Vladimir Sorokin La
coda, scritta all’epoca della stagnazione
brezhneviana. Anche
qui si parla di una fila interminabile,
composta da persone che aspettano
davanti a un negozio il loro turno per comprare
qualcosa, anche se nessuno sa esattamente
cosa.
Abbiamo già visto tutto. Le auto incolonnate
sulle affollate strade di Mosca ricordano
le file che un tempo si formavano
ai negozi dove erano in vendita cappotti
polacchi, scarpe cecoslovacche e, ovviamente,
carta igienica. Ora, più comodamente,
le persone bloccate in coda aspettano
il semaforo verde. Sono disposte a tollerare
ogni genere di umiliazioni pur di continuare
a guidare. Qualche tempo fa il mio
amico Ljonja, un avvocato d’azienda, è stato
fermato dalla polizia e accusato di guida
in stato di ebbrezza. In realtà non tocca un
goccio d’alcol da 15 anni. Un’altra volta ha
trovato la sua macchina intrappolata nel
cortile dove aveva parcheggiato, perché in
sua assenza i condomini avevano fatto costruire
un cancello. Non trovando nessuno
a cui chiedere informazioni, Ljonja è stato
costretto a smantellare il cancello da solo,
usando degli utensili che tiene in macchina.
Eppure continua a guidare. E viaggiando
con lui nella sua comoda Mercedes CL
non è difficile capire perché. Dalla macchina
di Ljonja si ha una diversa prospettiva
sulle cose. Fuori, la città è sporca, piena di
fango e di gas di scarico. Ma nella Mercedes
si sta comodi, sprofondati nei sedili di
pelle. La città è violenta, caotica e antidemocratica.
Ma nella Mercedes si può ascoltare
la radio Eco di Mosca, dove commentatori
liberal discutono dei problemi della
libertà di stampa in Russia. Nella capitale
ci sono luoghi molto peggiori dove restare
intrappolati.
Negli ultimi anni, gli automobilisti sono
diventati uno dei gruppi sociali più attivi
della città. Si sono organizzati per far licenziare
i vigili corrotti e chiedere strade migliori.
Dopo l’incidente provocato
dall’auto del vicepresidente di
Lukoil, un gruppo di automobilisti
ha attaccato dei secchielli di
plastica blu sui tetti delle loro
macchine, a mo’ di sirena, per
protestare contro l’uso sfacciato dei lampeggianti
sulle auto dei banchieri e dei dirigenti
delle aziende petrolifere. È stata
una delle iniziative civiche di maggior successo
degli ultimi anni. E ha perfettamente
senso: i proprietari di automobili sono
l’unica categoria sociale che si è affermata
nel paese negli ultimi vent’anni. Forse sta
finalmente emergendo una nuova classe
media, composta da proprietari con degli
interessi da difendere, ma anche frustrata,
egoista e nevrotica.
Metro o macchina?
La mattina degli attentati alla metropolitana,
il 29 marzo 2010, Mosca era nel caos.
Solo i mezzi dei servizi d’emergenza riuscivano
a muoversi. Le fotografie scattate sulla
banchina della metropolitana pochi minuti
dopo l’esplosione mostrano dei medici
curvi sui feriti tra una montagna di macerie.
Quando Blinkin ha elogiato l’efficienza
dei soccorsi su un blog tradizionalmente
duro con il Cremlino, è stato sommerso di
critiche. “Anch’io sono stato colpito dalla
loro rapidità”, ha osservato qualcuno, insinuando
che dietro agli attacchi ci fosse un
complotto del Cremlino. “Sembrava che
sapessero già cosa sarebbe successo e dove”.
Ho chiesto ai miei contatti della Yandex
qual era la situazione del traffico quel giorno.
Mi hanno risposto con un’email dettagliata.
“Dopo la prima esplosione alla
Lubjanka (ore 7.56) nelle strade adiacenti
si sono formati degli ingorghi. Dopo la seconda
esplosione (ore 8.36), la congestione
si è aggravata, rimanendo a livelli di guardia
ino alle 11 circa. Solitamente, invece,
nei giorni feriali il traffico raggiunge il picco
alle nove del mattino e poi comincia a
diminuire”.
Anche le due giornate seguenti sono
state più congestionate del solito, perché
molte persone che abitualmente usano la
metro hanno deciso di prendere la macchina
per andare al lavoro. Ma prima o poi le
cose dovevano cambiare. Il 2 aprile, infatti,
concludevano gli analisti della Yandex, “la
città è tornata alla normalità”.
Era vero. Qualche giorno dopo i giornali
hanno scritto che i figli di due importanti
burocrati moscoviti erano stati coinvolti in
una rissa. Il figlio del prefetto era rimasto
bloccato nel traffico nella sua Lexus, quando
l’auto è stata graffiata dalla bicicletta su
cui correva il figlio di un alto funzionario
del comune. Allora il ragazzo nella Lexus è
sceso dalla macchina e ha sbattuto per terra
il ciclista, uno studente di scienze politiche.
Il quale, sentendosi umiliato, si è allontanato,
ha trovato da qualche parte una
mazza da baseball – non è chiaro se a casa
sua o in un negozio di articoli sportivi – ed è
tornato indietro sul luogo dell’incidente. Il
figlio del prefetto era ancora bloccato nel
traffico. Lo studente, allora, ha cominciato
a fracassare i finestrini della Lexus. Quando
l’automobilista è sceso di nuovo dall’auto,
il figlio del funzionario l’ha colpito rompendogli
una mano. Il sito di notizie più
visitato a Mosca, Lifenews.ru, ha pubblicato
una foto del figlio del prefetto con una
vistosa ingessatura. Era un giovanotto
dall’aria simpatica e indossava una t-shirt
rosa con la scritta Dolce & Gabbana.