Verdi in Italia, perché sono scomparsi. Mentre in Europa non sono mai stati così forti

Analisi di un’estinzione, caso unico in Europa. Dieci anni fa i Verdi italiani avevano 24 deputati e sanatori. Adesso zero. Servirà una nuova generazione

nuovo partito dei verdi in italia

I Verdi in Italia sono come un’isola. Ben popolata, ma senza il mare e le onde che la circondano riescano davvero a bagnarla. Risultato: forse la più grave, e anche la più trascurata dai media, anomalia del nostro quadro politico. La quasi totale assenza di una rappresentanza politica di un movimento ambientalista. Uno spreco che paghiamo caro, quando poi si tratta di prendere decisioni, e non solo fare annunci, relative all’Agenda 2030 dell’Onu sullo Sviluppo sostenibile.

VERDI IN ITALIA

La nostra isola fa parte di un arcipelago, gli altri paesi europei, dove invece l’onda verde monta e arriva dappertutto. Nell’ultimo caso, le elezioni amministrative in Francia, l’onda si è rovesciata in importanti città francesi, da Bordeaux a Strasburgo, da Marsiglia a Lione, dove i sindaci sono diventati verdi, sostenuti da alleanze molto trasversali. Abbiamo già raccontato in questo articolo le loro storie, comuni ad altri leader europei, ma vale la pena sottolineare la forte presenza femminile e la radicalità delle proposte con le quali i sindaci verdi hanno vinto le elezioni in Francia. Michèle Rubirola, appena eletta sindaco a Marsiglia, è una signora sessantenne, medico di base nei quartieri poveri della città, che ha promesso di rendere gratuiti tutti i traporti pubblici a Marsiglia. Come è avvenuto in Austria. Léonore Moncond’hui, trentenne, ha strappato la cittadina di Poitiers ai socialisti con un programma nel quale compare anche una decisione rivoluzionaria in termini di scelte sul territorio: lo stop alle apertura di nuovi centri commerciali.

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VERDI ITALIANI

L’onda francese è arrivata dopo che i Verdi sono diventati una forza di governo in Irlanda, in Austria, in Finlandia. E in diversi land della Germania, dove ormai sono considerati il primo partito del paese. In generale tutta l’Europa è travolta dalle scosse  del nuovo ambientalismo, tranne l’Italia. I motivi di questa nomali sono diversi e non hanno nulla a che vedere con la sensibilità, o con lo scarso senso civico, dell’opinione pubblica. La questione climatica e i temi ambientali, secondo tutti i sondaggi d’opinione, sono in testa alle preoccupazioni degli italiani, prima perfino della paura per la disoccupazione e per i problemi economici del paese.

Pesa innanzitutto la scarsa credibilità delle classi dirigenti dei Verdi. Il caso più clamoroso è sicuramente quello di Alfonso Pecoraro Scanio, per sette anni (dal 2001 al 2008) presidente della Federazione dei Verdi e per due volte, con Giuliano Amato e con Romano Prodi, ministro dell’Ambiente. Travolto dagli scandali,  ai quali però, bisogna riconoscerlo, sono anche seguite alcune sentenze assolutorie, Pecoraro Scanio è uscito dal giro della politica attiva ed è tornato a occuparsi di ambiente attraverso una piccola nicchia associativa.

PARTITO VERDE IN ITALIA

Nel frattempo il tracollo della rappresentanza dei Verdi è stato spaventoso. Ancora agli inizi del Duemila potevano contare su 12 deputati e 12 senatori, a fronte di un primo ingresso in Parlamento nel 1987 con 13 deputati, quasi tutte donne. Di tutto ciò, sul piano della rappresentanza politica, dal 2008 non c’è più traccia. Zero.

Tornano in mente, a proposito della scarsa credibilità e del poco ossigeno che circola nelle classi dirigenti dei Verdi, le parole di Alex Langer, padre nobile dell’ambientalismo italiano e presidente dei Verdi europei: «Scontiamo un’alta litigiosità interna, tanta burocrazia da partitino e l’assenza di una leadership riconoscibile all’esterno». Era il 1993. E i Verdi nel 1989, mentre il vento soffiava sulle loro vele, proprio per i vari personalismi avevano fatto la sciocchezza di presentarsi alle Europee, con due liste, Verdi e Verdi Arcobaleno. Nonostante questo erano riusciti a portare a casa 1,3 milioni di voti, pari al 6,2 per cento. Altri tempi. Il timbro della burocrazia, talvolta abbinato anche a pratiche amministrative molto opache, avvolge per decenni l’universo verde italiano. Con la maglietta green si crea un ceto politico capace di occupare, a scacchiera, gli assessorati all’Ambiente nei comuni, nelle province e nelle regioni. E anche i consigli di amministrazione di tutti i parchi, nazionali e ragionali, e delle comunità montane dove ricadono territori particolarmente appetibili per la speculazione.

A questo ceto politico verde, dove si mischiano ottime persone con corrotti e personaggi legati agli appalti e alla criminalità, manca poi un elemento di fondo: una vera coscienza ambientalista, una vera sensibilità, proiettata verso il futuro e non declinata solo con i verbi del passato, per lo sviluppo sostenibile. E manca perfino una buona conoscenza di base, non chiamiamola proprio cultura, della storia naturale e delle sue dinamiche.

PER APPROFONDIRE: Onda verde in Europa, sindaci in Francia, land in Germania e governo in Irlanda (foto)

DIFFICOLTÀ DEI VERDI IN ITALIA

A raccogliere i cocci di questa autentica estinzione della specie  restano poche voci, alcune anche molto generose, ma sempre nel deserto e nel vuoto che rende l’Italia anomala. Citiamo quelle che ci vengono in mente, scusandoci per tutte le altre dimenticate: Angelo Bonelli, Monica Frassoni, Grazia Francescato, Roberto Della Seta, Pippo Civati, Luigi Manconi, Edo Ronchi. Ognuno di loro fa qualcosa nell’area dell’ambientalismo militante, ma non esiste alcuna connessione reale e anche questo zoccolo duro di vecchia classe dirigente verde rischia l’irrilevanza. O peggio: una somma di piccole interdizioni per impedire a chiunque di ricostruire una casa comune dei Verdi in Italia.

Se i dirigenti di una forza politica esplicitamente verde non ci sono e non si vedono, servirà infatti una nuova generazione e ci sono tutte le condizioni affinché venga fuori, i partiti tradizionali cercano, in modo del tutto surrettizio e talvolta comico, di rincorrere il voto verde, invece in crescita, specie tra i giovani. Al momento i flussi elettorali dicono che questi elettori si sono rifugiati, in grande maggioranza, nel Movimento 5 Stelle e nell’area dell’astensione. Restano scoperti invece i più importanti partiti del centrosinistra e del centrodestra.

A sinistra, ogni tanto un vecchio dirigente di origine comunista e post comunista si sveglia la mattina e annuncia: «Dobbiamo dare un’anima ambientalista al nostro partito». Come se bastasse dare una pittata verde per risolvere il problema e diventare così la sponda degli elettori più sensibili a queste tematiche. Parole in libertà, e arrivederci alla prossima intervista per coccolare i Verdi.

NECESSITÀ DI UN PARTITO VERDE IN ITALIA

A destra, le cose vanno ancora peggio. I partiti di quest’area sono inchiodati al vecchio schema da secondo Novecento così sintetizzato da un ministro conservatore tedesco: «I verdi sono come l’anguria. Verdi fuori e rossi dentro». Nulla di più vecchio e superato. Come dimostra il fatto che proprio in Germania, in diversi land, e in interi paesi dell’Europa del Nord, come l’Austria, i Verdi sono alleati organici di governi di centrodestra. E dettano l’agenda delle scelte politiche. Ovviamente esistono alcune eccezioni, come l’attività della parlamentare Michela Vittoria Brambilla con la sua Lega italiana per la difesa degli animali e dell’Ambiente. Ma anche qui il limite è politico: la Lega conta come associazione e non incide certo nelle proposte politiche e nell’azione quotidiana del centrodestra. Stesso discorso per alcuni amministratori locali di centrodestra che, sul territorio, sono molto sensibili ai temi dello Sviluppo sostenibile, ma non hanno alcun potere di incidere sulle politiche nazionali. Quelle decisive.

D’altra parte, a fronte di tanti annunci su improbabili svolte green in Italia, e anche questo è un elemento che spiega l’estinzione dei Verdi, il ministero dell’Ambiente è sempre stato considerato di serie B. Sul piano dei contenuti e dal punto di vista delle persone che ne hanno avuto la responsabilità. Siamo arrivati all’assurdo che un governo di centrosinistra, la cui mission, a parole, era quella di modernizzare l’Italia, ha preferito sacrificare uno dei suoi uomini più preparati sui temi ambientali, Ermete Realacci, per dare la poltrona di ministro dell’Ambiente al commercialista di uno dei leader della maggioranza.

I ministri dell’Ambiente che hanno lasciato una traccia in Italia si contano davvero sulla punta delle dita. Quanto ai contenuti, anche qui basta dare uno sguardo all’Europa per rendersi conto dell’abisso che ci separa dai nostri partner. In Italia la competenza più importante che viene riconosciuta al ministero dell’Ambiente è quella di firmare certificazioni, come la Via (Valutazione di impatto ambientale), per opere pubbliche e investimenti privati. Un grande potere burocratico, non c’è dubbio, ma nulla di significativo dal punto di vista politico. Con il rischio che tra una firma e l’altra ci scappi anche l’imbroglio green.

ESEMPIO EUROPEO PER I VERDI ITALIANI

Negli altri paesi europei le cose stanno molto diversamente. In Francia, come in Germania, il ministro dell’Ambiente è di fatto un vero e proprio vice premier, al quale fanno capo tutte le scelte, comprese quelle delle politiche sociali, legate alla sostenibilità. In Austria, nello stesso dicastero dell’Ambiente ricadono le politiche energetiche e quelle dei trasporti. Capite bene quale differenza di peso separi l’Italia dal resto d’Europa, e come sia difficile con un ministero dell’Ambiente ridotto a sportello per pratiche varie anche solo immaginare una ripresa di peso politico dei Verdi.

Infine, nell’estinzione dei Verdi pesa ciò che viene prima e dopo la politica in campo ambientale. Parliamo di un universo di movimenti e associazioni con milioni di iscritti e migliaia di volontari all’opera. Macchine organizzative di grande portata come Legambiente, il WWF e il Fai. È singolare come in questi ambienti si riproducano, in termini più contenuti ma altrettanto devastanti, gli stessi vizi dei Verdi in politica. Quelli richiamati dalla profezia di Langer. Un’alta litigiosità, una corsa sfrenata ai posti di capi e capetti, tanta burocrazia, poche proposte davvero di ampia portata, una competizione che blocca qualsiasi fecondazione e impedisce un passaggio, in altre epoche quasi naturale, dal movimentismo alla politica attiva nelle sedi istituzionali della rappresentanza.

Possiamo immaginare una scadenza entro la quale l’anomalia italiana, paese di elettori verdi senza una rappresentanza di degno ceto politico di Verdi,  venga riassorbita? Che cosa ci aspetta anche considerando i temi in agenda, dal surriscaldamento climatico alle politiche per ridurre le diseguaglianze e rendere i paesi davvero più sostenibili?

NUOVO PARTITO DEI VERDI

L’ottimismo della volontà ci porta a dire che di fronte a una crescita così impetuosa  dei parti Verdi in Europa, l’Italia non potrà a lungo restare un’eccezione. Vedremo presto fatti e volti nuovi. E una spinta arriverà, come al solito, dal basso, come è avvenuto sulla scena mondiale grazie all’attivismo del movimento personificato dalla giovanissima Greta Thunberg. Una spinta a presidiare questo campo della rappresentanza arriva anche dall’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), presieduta dal professore Enrico Giovannini. Con la sua capacità di mettere insieme 270 istituzioni e reti della società civile sui temi della sostenibilità, al momento l’ASviS è il polo più importante che esiste in Italia su queste tematiche.

In compenso, per chiunque abbia fegato e cuore per spendersi con l’obiettivo di costruire un nuovo partito dei Verdi in Italia due cose devono essere chiare. La prima: serve una rappresentanza ad hoc, e non una testimonianza all’interno di un singolo partito politico. Secondo: un programma di base già esiste. È scolpito nei 17 goal dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Da qui bisogna partire, e qui bisogna arrivare per dare anche all’Italia ciò che esiste in tutta Europa.

AGENDA POLITICA DEI VERDI

I 17 goal del programma Onu per lo Sviluppo sostenibile sono stati determinanti nella trasformazione genetica dei verdi. In tutta Europa. È andata così spegnendosi la lunga stagione dell’ambientalismo politico fatto solo di veti e rifiuti, con un tocco di cannabis e arcobaleno, e si è fatta strada una visione ecologica a 360 gradi. Più moderata, più pragmatica, ma anche con molta voglia di governare, di entrare nelle stanze dei bottoni. Approfittando della frammentazione degli altri partiti politici che apre grandi spazi a una forza politica ispirata alla sostenibilità-Onu.
Che cosa c’è oggi nell’agenda politica dei Verdi in Europa? I punti condivisi, comuni a tutti i partiti che hanno questa etichetta, sono la protezione dell’ambiente, il rapporto con la natura e la lotta ai cambiamenti climatici. Su questi temi la piattaforma è comune.
Poi esistono le differenze, riconducibili anche a storie diverse. In Germania, per esempio, la tecnologia del 5G, con i relativi investimenti, non è vista come un pericolo, ma come un passaggio ineludibile di una società sempre più digitale. In Francia, invece, i dubbi sul 5G sono molto diffusi, specie nei piccoli centri del paese, mentre per i verdi francesi è fondamentale il ritorno in Europa delle produzioni industriali delocalizzati (i tedeschi si accontentano di rivedere nel vecchio continente l’industria farmaceutica e l’agricoltura).
Un altro livello di differenze tra i verdi europei è legato alla collocazione geografica. Nel Nord Europa (Finlandia, Svezia, Danimarca e Gran Bretagna) i verdi sono concentrati sulle battaglie ambientali, a partire dal cambiamento climatico. Nei paesi del Centro Europa (Olanda, Belgio, Austria e Lussemburgo) accanto alle preoccupazioni ambientali ci sono quelle per i diritti civili. Nell’Europa meridionale quello che resta dei partiti verdi è molto concentrato sui temi delle disuguaglianze economiche e sociali. In ogni caso, siamo sempre nel perimetro dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile firmata dall’Onu.

Le foto sono tratte dalla pagina Facebook Federazione Verdi.

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