I fattorini del cibo a domicilio sono i nuovi schiavi del non lavoro (foto e video)

Una manciata di euro a consegna. Zero protezione sanitaria e assicurativa. Più soldi se rischiano correndo con la pioggia. E per le società un giro d'affari di 400 milioni di euro, solo in Italia. E una sfacciata politica di greenwashing.

SFRUTTAMENTO LAVORATORI CONSEGNE A DOMICILIO

Il racconto filmato di un bravo giornalista di Repubblica.it, che per un mese ha fatto il rider per Deliveroo, numero uno al mondo per la consegna del cibo a domicilio, è uno spaccato inquietante sul significato di questa attività. Uno sfruttamento puro, per una mancia-manciata di denaro, la bellezza di 5 euro (lordi) a consegna.

Mentre guardavo il filmato, è arrivato alla nostra redazione un comunicato stampa, da parte di Deliveroo, che annuncia il suo stile green e sostenibile. Come? Consentendo ai suoi rider di acquistare e-bike con il 20 per cento di sconto. Ma che bravi! Roba da Premio Nobel per l’Ecologia o per l’attività nota come greenwashing, quando un’azienda malandrina vuole ricostruirsi una verginità attraverso marketing green poco attendibile. Come appunto in questo caso. Il 20 per cento di sconto lo può ottenere chiunque per acquistare una e-bike, e non ha certo bisogno della raccomandazione, con annesso sfruttamento, di Deliveroo. E non è certo con qualche bici elettrica che si diventa un’azienda sostenibile.

Piuttosto il modo con il quale l’attività di consegna di questi poveri rider è organizzata e retribuita, dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, che queste società sono insostenibili. Per un motivo fondamentale: quello che loro offrono non è lavoro. Semmai si tratta di “lavoretti”, mal pagati, senza alcuna copertura né sanitariaprevidenzialeassicurativa, e senza lo straccio di una delle mille conquiste fatte dai lavoratori in tutto il mondo dopo secoli di battaglie civili. Un indecente passo indietro, nell’era del non lavoro, della sua perdita di senso, di significato, di identità e dunque di valore, anche economico. Lavoro azzerato e affari miliardari per chi lo sfrutta, in questo caso sotto il segno del popolarissimo cibo.

(Il video reportage realizzato da Fabio Butera, giornalista del quotidiano La Repubblica)

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FOOD DELIVERY

L’ultima accelerazione della febbre compulsiva per il cibo, sempre e dovunque, anche senz’anima e senza piacere, si chiama food delivery, ovvero la consegna a domicilio attraverso la piattaforma del web e le relative app. Da parte delle società che ormai presidiano questo gigantesco mercato (400 milioni di euro quest’anno, con una previsione + 50 per cento entro il 2019), da profitti record, è in pieno svolgimento una corsa ad alzare l’asticella dell’offerta. Siamo passati dalla pizza al sushi, dal pollo alla cacciatora al menù vegano e vegetariano, senza farci mancare nulla, sempre a casa o sulla scrivania di un ufficio, di una qualsiasi cucina etnica.

Tutto questo con una narrazione, priva di senso critico e gonfiata da giornali, tv, chef e santoni del cibo, nella quale ci celebra la modernità e l’utilità di questo servizio. Per il quale in campo ci sono le società in grado di valorizzare la tecnologia; i poveri cristi che sbarcano il lunario sfacchinando nelle consegne, li chiamano rider; e circa 10 milioni di italiani affamati, pronti a ingoiare cibo a colpi di smanettate e clic sul web.

(Credits: www.hollandfoto.net / Shutterstock.com)

SFRUTTAMENTO LAVORATORI FOODORA

Se andiamo a vedere da vicino i tre protagonisti del nuovo settore della gig economy (letteralmente “economia dei lavoretti”), forse celebrata con eccessiva indulgenza, scopriamo una somma di furbizie, di sprechi e anche di macroscopiche ingiustizie. I grandi player del settore sono colossi internazionali (nulla a che vedere con il made in Italy, ovvero il cibo per eccellenza): si chiamano Deliveroo, Foodora, JustEat, e ovviamente nel club non poteva mancare il numero uno della gig economy, Uber, con l’etichetta gastronomica di Uber EATS.

Come fanno i signori del cibo a domicilio a guadagnare una montagna di quattrini? Tecnologia, innovazione, idee giuste e perfino geniali rispetto alle potenzialità del mercato: nulla da obiettare. Se non fosse per il fatto che a questi pre-requisiti per un buon affare, si deve aggiungere l’ingrediente essenziale: il lavoro senza valore. Non riconosciuto come tale, e quindi sprecato e deprezzato fino alla soglia possibile, dopo la quale c’è solo lo schiavismo puro e semplice.

(Credits: Luca Lorenzelli / Shutterstock.com)

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FOOD DELIVERY IN ITALIA

Tutto il circo del food delivery, infatti, regge su un Far west degli ingaggi dei “dipendenti”, lavoratori che in farisaico gergo anglosassone vengono classificati on demand, e in più prosaico ma schietto italiano, altro non sono che lavoratori a cottimo. Senza un contratto degno di questo nome; senza le tutele per le quali è andato via un secolo, il Novecento, di battaglie sindacali e politiche, dalla sicurezza nei luoghi di lavoro alla copertura sanitaria dei lavoratori. E con infinite variabili, che cambiano da paese a paese, e da città a città, sul quanto e come viene retribuito il fattorino del cibo a domicilio. A Milano, per esempio, il rider guadagna il doppio rispetto a Torino, e il compenso, anche qui tutto in ordine sparso e secondo le specifiche convenienze delle società, può essere a consegna, a ora di lavoro, con o senza premi. Foodora, per esempio, dalla mattina alla sera e senza negoziare con nessuno, ha deciso di passare da un contratto su base oraria (5,7 euro all’ora) a una paga a prestazione (2,70 euro a consegna). Il web sul quale il colosso tedesco ha fatto la sua fortuna, questa volta però gli si è scagliato contro, e grazie alla protesta di gruppi di rider organizzati sui social, come Deliveroo Strike Rider e Deliverance Milano, i dirigenti di Foodora, che tra l’altro sono finiti in tribunale a trattare, hanno alzato la prestazione: 4 euro lordi a consegna. Uno sforzo economico sovrumano, bisogna riconoscerlo.

(Credits: nrqemi / Shutterstock.com)

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SFRUTTAMENTO FATTORINI CONSEGNE CIBO A DOMICILIO

Adesso non venitemi a dire che dai lavoretti si può passare poi a un lavoro più solido e magari a tempo indeterminato: condivido, ma non per questo dobbiamo tornare agli anni bui dei braccianti trattati come muli da soma. Non per questo possiamo accettare in silenzio e supini l’idea che i rider siano premiati, in caso di super veloci consegne nel fine settimana quando piove: in pratica un bonus sul rischio, e sullo spreco, della propria salute e perfino della pelle se, correndo per fare consegne a razzo, vai a sbattere con la bici contro un’auto che intanto non hai avuto il tempo di vedere bene. L’offerta del «bonus pioggia», infatti, arriva a 100 euro, ma devi riuscire a fare 40 consegne in tre ore. Sotto il diluvio. Fate i calcoli, e potete misurare da soli il livello del rischio di questa prestazione con «premio».

Infine, una parola sul terzo incomodo nel regno del cibo a domicilio: il consumatore. Anche qui, largo al politeismo alimentare, e ognuno decide liberamente come, dove e che cosa mangiare: quindi nulla da obiettare. Ma siamo sicuri che a forza di ordinare, a casa e in ufficio, verdure grigliate o spiedini con spezie indiane consegnate dai postini del food delivery, non perdiamo, e sprechiamo, qualcosa di essenziale del cibo? Per esempio, il piacere di condividerlo con un’allegra compagnia fuori di casa, o di prepararlo nel modo più semplice, più genuino, e più salutare che conosciamo. Con le nostre mani, e senza sprecare nulla.

(Credits: Catwalk Photos / Shutterstock.com)

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