Ripensare il capitliasmo2 L’etica e la crisi

Parto dalla affermazione apparentemente paradossale contenuta in un bellarticolo di Mario Pirani (la Repubblica del 17 giugno) secondo la quale la marea nera del Golfo del Messico e’ assimilabile alla crisi finanziaria mondiale. Ambedue sono pulsioni di un capitalismo sregolato. Nel primo caso la sregolatezza consiste nelluso ecologicamente ed economicamente dissennato di risorse scarse. Nel […]

Parto dalla affermazione apparentemente paradossale contenuta in un bellarticolo di Mario Pirani (la Repubblica del 17 giugno) secondo la quale la marea nera del Golfo del Messico e’ assimilabile alla crisi finanziaria mondiale. Ambedue sono pulsioni di un capitalismo sregolato. Nel primo caso la sregolatezza consiste nelluso ecologicamente ed economicamente dissennato di risorse scarse. Nel secondo, nel ricorso frenetico e altrettanto dissennato a risorse inesistenti: i risparmi delle generazioni future.

Nel primo caso il capitalismo si avvia a una crescita impossibile. Nel secondo, ad una altrettanto impossibile mercatizzazione del futuro. Quanto al primo, sono ormai sotto gli occhi di tutti le conseguenze: effetto serra, inquinamento, rifiuti. Il secondo e’ stato invece, fino a ieri, vantato come il piu’ prodigioso successo storico del capitalismo.

Il vero successo storico del capitalismo era stata la realizzazione, nei primi decenni del dopoguerra, in Occidente, di un patto tra capitalismo e democrazia, un compromesso socialdemocratico in Europa e liberaldemocratico negli Stati Uniti, che associava la promessa della prosperita’ economica a quella di una crescente equita’ sociale.

Quel compromesso e’ stato spazzato via dalla liberazione dei movimenti di capitale. La globalizzazione, che ne e’ risultata, ha rovesciato i rapporti di forza tra i Governi e le Multinazionali, tra il capitale e il lavoro, tra la politica e leconomia. Ha generato un enorme e crescente squilibrio tra redditi di lavoro e redditi di capitale. Questo squilibrio avrebbe potuto resuscitare i conflitti rovinosi. dellanteguerra. Furono evitati grazie a una mossa del cavallo: al ricorso massiccio e disinibito allindebitamento. Lindebitamento spinse i consumi americani ben al di la’ dei limiti della produzione ignorando, grazie alla impunita’ del dollaro, il problema del disavanzo. Lindebitamento provoco’ la straordinaria espansione delle attivita’ finanziarie fino al quadruplo del prodotto reale costituendo la base del nuovo super potere finanziario. La condizione di sostenibilita’ di questo colossale indebitamento era che il credito fosse continuamente rinnovato. Come leconomista Marc Bloch affermo’, il capitalismo sembrava essere diventato il solo regime in cui i debiti non erano mai rimborsati. Illusione. Come le onde del mare, che si accavallano luna sullaltra, anche le onde del debito erano destinate a infrangersi contro la riva. Alla fine del primo decennio del secolo, la piu’ devastante crisi degli ultimi ottantanni ha investito lAmerica propagandosi poi nel mondo.

Questa volta, la reazione e’ stata fulminea. Gli Stati hanno pagato i conti della crisi. Lindebitamento si e’ spostato dal privato al pubblico.

A differenza di quello privato, pero’, lindebitamento pubblico viene subito a galla. E laspetto piu’ grottesco e’ la sua denuncia da parte di coloro che ne sono stati beneficati. In queste condizioni si pone il problema di come disciplinare la finanza senza frenare la crescita. Frenare la finanza significa ridurre i debiti, il che e’ terribilmente difficile sia per lo Stato che deve fronteggiare la reazione politica ai tagli della spesa pubblica, sia per le imprese, una grande parte delle quali contano sul ricorso al credito per chiudere i conti. Ma soprattutto, frenare la finanza significa limitare drasticamente il potere delle banche di creare moneta, come hanno largamente fatto nelle piu’ svariate e dissimulate forme. Finora nessuno ci ha neppure provato. E infine, se anche si riuscisse a ridurre lindebitamento, dove trovare le risorse per finanziare gli investimenti necessari alla crescita? Temo che la scelta sarebbe quella tra rinunciarvi, accettando un lungo periodo di ristagno (vedi Giappone) o ricavare risorse dalla compressione dei redditi di lavoro e della spesa sociale. Non e’ cio’ che minaccia di verificarsi in Europa?

Resta la prospettiva piu’ improbabile: quella di riorientare leconomia verso uno sviluppo, come dice Pirani, ragionevole e compatibile ecologicamente e finanziariamente. Il che comporta grandi spostamenti nella attuale distribuzione di redditi rispetto a quella attuale, “paurosamente” squilibrata (vedi Scalfari su Repubblica del 23 giugno) e nella riallocazione delle risorse, tra beni privati e beni sociali. Ma anche, e soprattutto, un riorientamento etico. Certo, e’ possibile. Anzi, e’ necessario. Ma per chi ha passato tutta la vita a sostenere che questo e’ il vero problema, e’ difficile immaginare che il miracolo si compia nella parte che gli resta.

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