Obama: mai sprecare una crisi

“Dopo la tragedia del Golfo del Messico, lo status quo non e’ piu’ accettabile”. Barack Obama sfida il tabu’ della carbon tax, alzando una sovrattassa sul petrolio. E rimette in movimento tutte le riforme per l’ambiente, che sembravano arenate dopo il fallito vertice di Copenaghen. Obama applica al disastro della Louisiana il detto che uso’ […]

“Dopo la tragedia del Golfo del Messico, lo status quo non e’ piu’ accettabile”. Barack Obama sfida il tabu’ della carbon tax, alzando una sovrattassa sul petrolio. E rimette in movimento tutte le riforme per l’ambiente, che sembravano arenate dopo il fallito vertice di Copenaghen. Obama applica al disastro della Louisiana il detto che uso’ per la recessione: “Mai sprecare una crisi”.

La piu’ grave marea nera nella storia americana diventa l’occasione per rilanciare l’offensiva contro le lobby coalizzate delle “energie fossili”. Ad aiutare il presidente, involontariamente, sono stati i boss dell’industria petrolifera. I top manager delle tre compagnie responsabili per la gestione della piattaforma esplosa nel Golfo del Messico – Bp, Transocean e Halliburton – martedi’ si erano esibiti in un penoso scaricarabarile durante le loro deposizioni al Congresso, ciascuno cercando di attribuire le colpe agli altri.

Non e’ la prima volta che una catastrofe ambientale costringe l’America a cambiare regole. E proprio le maree nere sembrano scandire i tempi delle riforme. La prima volta accade nel 1969, quando una piattaforma esplode a 10 km al largo di Santa Barbara, in California. Centomila barili di greggio sparsi sulla West Coast. E da quel momento scatta un lungo blocco nei permessi per le nuove trivellazioni, in California e su altre coste americane. Nel 1989 il naufragio della superpetroliera Exxon Valdez al largo dell’Alaska e’ all’origine della legge che costringe le compagnie petrolifere a ripagare integralmente i danni alle popolazioni colpite, piu’ i costi dell’intervento pubblico.

Ora l’agonia della fauna e flora marina della Louisiana. Che Obama decide di usare come una leva. Cosi’ ieri e’ ripartito al Senato il disegno di legge di 1.000 pagine, fermo da otto mesi, che punta a ridurre le emissioni carboniche del 17% entro il 2020 (e dell’83% entro il 2050). La riforma deve introdurre il primo sistema nazionale di tetti alle emissioni di CO2 da parte dell’industria e delle centrali elettriche. I suoi firmatari John Kerry (democratico) e Joseph Lieberman (indipendente), hanno potuto rilanciarlo grazie alla ritirata della lobby petrolifera. Bp, Shell e ConocoPhillips hanno smesso di “remare contro”.

Eppure il disegno di legge introduce una novita’ che per loro e’ micidiale: il diritto per i singoli Stati Usa di porre il veto alle nuove trivellazioni. Questo potere vale per qualunque piattaforma offshore fino a 75 miglia nelle acque costiere, e viene esteso anche per le trivellazioni negli Stati confinanti. Dopo lo choc della Louisiana, e’ potenzialmente una moratoria generalizzata sulle nuove esplorazioni sottomarine. vero che lo stesso disegno di legge contiene un incentivo agli Stati: il 37,5% delle royalty sull’estrazione petrolifera in mare andra’ nelle loro casse.

Ma le immagini della marea nera nel Golfo, che Obama ha definito “un disastro ambientale immenso e senza precedenti”, hanno gia’ spinto molti governatori a dichiarare che negheranno ogni nuova autorizzazione. Il disegno di riforma Kerry-Lieberman ha ricevuto l’appoggio di 21 organizzazioni ambientaliste, la benedizione del Premio Nobel Al Gore e quella del Wwf. In un comunicato congiunto, queste organizzazioni hanno definito il progetto “un balzo in avanti verso il futuro energetico dell’America”.

Obama vuole sfruttare un clima favorevole nell’opinione pubblica, sensibilizzata dalle terribili immagini della chiazza nera che avanza verso le coste. Secondo un sondaggio del Shelton Group, un americano su otto “smettera’ di acquistare benzina Bp” come reazione spontanea per punire i colpevoli. E “uno su cinque ha l’intenzione di usare meno l’automobile per ridurre i consumi di petrolio”. Ma la storia insegna che queste reazioni “calde” dopo un disastro ambientale rischiano di non durare molto a lungo. Percio’ Obama ha una finestra di opportunita’ limitata per rilanciare la sua agenda di riforme e il progetto della Green Economy. Il lavoro da fare e’ notevole.

L’America continua a dipendere dal petrolio per il 37% di tutti i suoi consumi energetici, mentre le fonti rinnovabili ne soddisfano appena il 7,3%. La pressione fiscale sulla benzina resta tra le piu’ basse tra i paesi ricchi. Perfino il blocco totale delle nuove trivellazioni rischia di essere un rimedio illusorio, se il risultato finale fosse quello di delocalizzare l’estrazione offshore in paesi come la Nigeria, che di maree nere ne subiscono una ogni anno.

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