Le bugie sull’Amazzonia fanno il gioco di Bolsonaro. Una cinica furbata delle star che si truccano con il verde

Da Ronaldo a Madonna: per difendere davvero la foresta pluviale bisogna sgombrare il campo dalle falsità. A partire dagli incendi, dalle foto, dai dati. E dai veri responsabili del saccheggio del territorio

fake news sugli incendi in Amazzonia

Se vogliamo davvero difendere, e semmai migliorare la foresta dell’Amazzonia, se vogliamo dare un contributo, anche il più piccolo, a un tema di grande rilevanza rispetto agli obiettivi Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile, dobbiamo essere capaci di uscire dal più rischioso e sprecone dei circoli viziosi. Ovvero l’avvitamento sulle fake news, il rincorrere sensazionalismi e catastrofismi che non hanno alcuna attinenza con la realtà, il non approfondire il complesso tema dell’Amazzonia nei suoi diversi aspetti. Una trappola mortale che crea danni enormi alle politiche necessarie per la sostenibilità, e anche un gioco su misura per tutti coloro i quali sull’ambiente non fanno altro che lucrare in termini di immagine, di popolarità, di pura speculazione da marketing. A partire dal micidiale sistema dello star system, dove attori hollywoodiani, popstar, calciatori pagati a suon di milioni di euro\dollari al giorno, spesso portatori simbolici di stili di vita assolutamente insostenibili, non fanno altro che cavalcare l’onda anomala delle emozioni. A colpi di tweet irresponsabili per numero di balle messe in circolazione sul web, e di foto taroccate che non corrispondono alla realtà del momento.

NOTIZIE FALSE SUGLI INCENDI IN AMAZZONIA

La comunità di Non sprecare è nata ed è cresciuta anche attorno a una convinzione: la sostenibilità si conquista, si rafforza e si difende, a tutto campo, anche con l’esercizio del rigore intellettuale, che significa onestà e buona fede della persona, senza voli pindarici nel catastrofismo di maniera e senza slogan che, a forza di ripetizioni stentoree, perdono qualsiasi forza e valore. Tra i nemici della sostenibilità, e dobbiamo dirlo forte e chiaro, ci sono anche coloro i quali, e sono davvero un popolo molto numeroso e molto potente, la cavalcano con cinismo e narcisismo. Altro che “salvare” il pianeta, l’Amazzonia, le foreste, gli alberi: questi sciagurati profeti della loro utilitaristica e perversa propaganda, altro non fanno che alzare un magnifico assist ai politici che remano contro qualsiasi provvedimento indirizzato a un mondo meno squilibrato. Il meccanismo è semplice: se tu urli cose non vere, se metti in circolazioni foto false, se parli per luoghi comuni e per sentito dire, per esempio di ciò che accade nella foresta dell’Amazzonia, altro non fai che il gioco di chi non vuole muovere un dito per proteggerla e rafforzarla. Diventi un suo alleato di fatto.

Le foto scattate dall’astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) Luca Parmitano e che documentano gli incendi che stanno devastando l’Amazzonia

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FAKE NEWS SUGLI INCENDI IN AMAZZONIA

Attorno a un territorio sterminato, l’Amazzonia (coperta da una foresta pluviale tropicale) ha una superficie di circa 7 milioni di chilometri quadrati, che non tocca solo il Brasile (ma anche Colombia, Perù, Venezuela, Equador, Bolivia, Suriname, Guyana e Guyana Francese), si gioca una partita molto importante sul tavolo dello Sviluppo sostenibile. Vincerla, e in ogni caso non perderla, non solo è possibile, ma bisogna farlo. Partendo da un tavolo sul quale servono uomini (compresi i militari che lavorano sul versante degli incendi) e soldi (piccolo come importo, ma significativo come valore, è lo stanziamento di 20 milioni di dollari da parte dei paesi del G7, rifiutato però dal presidente brasiliano Bolsonaro). Ma bisogna anche liberare il tavolo dalle fake news che continuano a circolare in Rete, moltiplicandosi ed espandendosi come un virus tossico. Ecco, solo come esempi, le 10 più gravi e più controproducenti per la battaglia per la sostenibilità.

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COSA SAPERE SULL’AMAZZONIA

Chi è davvero Jair Bolsonaro. Il presidente del Brasile ha conquistato molta popolarità, e molti voti, puntando, a proposito di Amazzonia e ambiente, sul negazionismo nazionalista. Ovvero: la foresta amazzonica non è a rischio, come dicono in tanti, compresi gli interessati e bugiardi cinesi, e i suoi problemi li risolve il governo e il popolo brasiliano. Non altri. Questa ovviamente, per noi di Non sprecare, è una linea politica sciagurata, senza respiro di lungo periodo, fatta su misura per proteggere tutti gli interessi dei proprietari terrieri, in particolare dei latifondisti brasiliani noti nel Paese sudamericano con la sigla “Bancada Ruralista”. Ma una volta chiarito il pericolo Bolsonaro e gli interessi che lo hanno fatto diventare così forte, è semplicemente assurdo, oltre che menzognero, dire, come risulta da un’enorme quantità di fake news in circolazione sul web, che Bolsonaro ha ordinato di dare fuoco alla foresta amazzonica. Cosa falsa, surreale, e perfetta per scatenare la seducente ironia del diabolico presidente, autodefinitosi, con efficace ironia, “il nuovo Nerone”.

I veri numeri sugli incendi. Bisogna essere precisi su questi dati, e non è complicato, visto che sono messi a disposizione in modo ufficiale e con estremo rigore dall’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe), l’ente brasiliano il cui direttore, Ricardo Galvao, tra l’altro è stato licenziato da Bolsonaro. Gli incendi negli ultimi tempi, per esempio nella prima metà del 2019, sono in aumento, e questo non si discute. Ma attenzione: la tendenza generale delle fiamme in Amazzonia è decisamente orientata alla diminuzione. Nel 2018, per esempio, i roghi monitorati dall’Inpe furono 132.872: molto meno dei 217.238 del 2017 e dei 393.915 del 2007. Gli incendi dell’agosto del 2019, il mese dell’allarme globale, sono meno della metà di quelli registrati nel 2007. Con questi numeri parlare dell’Amazzonia che brucia e si sta distruggendo, è semplicemente falso.

Chi accende davvero le fiamme. Non è difficile scoprirlo: chiunque, dai piccoli ai grandi proprietari terrieri, ha interesse a ridurre lo spazio della foresta pluviale tropicale per utilizzarlo a fini economici, ovvero alla famosa economia agricola che auspichiamo sia sempre più sostenibile (altro punto dell’Agenda Onu 2030). Lo spazio sottratto alla foresta serve ad aumentare i suoli per l’agricoltura intensiva ma anche per antiche e tradizionali (molto sostenibili) forme di coltivazione. Ancora: sono suoli preziosi per la coltivazione della soia, un prodotto strategico nell’economia brasiliana.

Se vogliamo sintetizzare l’analisi del saccheggio dell’Amazzonia, attraverso la deforestazione selvaggia, risultano evidenti i tre snodi fondamentali del fenomeno. Il primo è la lobby dei grandi proprietari terrieri-allevatori di bovini, sempre alla ricerca di pascoli per nutrire le loro mandrie. Da qui nasce il 70 per cento della distruzione delle foreste, e gli interessi in gioco sono almeno equivalenti, come importanza, all’enormità dello spreco di risorse naturali: il Brasile, ricordiamolo, è diventato, proprio grazie agli allevamenti in Amazzonia, il primo esportatore di carni al mondo, controllando circa un quarto del totale di questo mercato. Al quale si aggiunge anche, per restare nell’ambito degli allevamenti nella foresta amazzonica, la crescita dell’industria dei pellami. 

Il secondo blocco di interessi a favore della deforestazione, mette insieme, come abbiamo visto, produttori di soia (altro boom del Brasile: la sua produzione è aumentata del 312 per cento negli ultimi 10 anni), con grandi coltivatori di mais e canna da zucchero

Terza fonte dei saccheggi di suoli, anche a colpi di incendi: i ricercatori di spazi per estrazioni minerali. Oro, ferro, rame e bauxite: tutti materiali che non mancano in Amazzonia. Al punto che, la percentuale di deforestazione legata a queste attività (attorno al 10 per cento) è in continuo aumento e l’industria mineraria brasiliana si aspetta un bel regalo da Bolsonaro in Amazzonia. Ovvero il via alle esplorazioni minerarie e poi alla produzione, nella riserva naturale più importante dell’Amazzonia, la Renca (National Reserve of Copper and Associates), che si estende per oltre 45mila chilometri quadrati, una superficie pari all’intera Danimarca. 

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Non tutti speculano. Se ci fosse meno superficialità e malafede sulla questione Amazzonia, sarebbe altrettanto facile, affidandosi al rigore di chi conosce bene e studia da sempre questo sterminato territorio, che non tutti i proprietari terrieri che accendono i roghi in Amazzonia sono uguali. Ci sono grandi speculatori, sicuramente. Ma ci sono anche popolazioni indigene che, da secoli, attraverso incendi controllati della biomassa vegetale, in aree limitate, mettono a cultura nuovi terreni in modo stabile, fertilizzano il terreno con le ceneri e dunque in modo naturale, operano una sana e sostenibile rotazione tra spazi destinati a foreste e spazi destinati e colture, e viceversa. Questi roghi, ripetiamolo per i sordi: controllati e circoscritti, appartengono a un’idea di sviluppo sostenibile e di agricoltura sostenibile. E non il contrario.

Il surriscaldamento non ci azzecca nulla. Un’altra gigantesca fake news, che circola in modo pervasivo e ossessivo in Rete e talvolta anche in dibattiti pubblici, è quella di mettere in relazione gli incendi in Amazzonia con il surriscaldamento climatico. Non c’è rapporto tra due fenomeni, che pure hanno entrambi aspetti molto gravi e preoccupanti dal punto di vista ambientale e per l’equilibrio dello sviluppo sostenibile. Confondere i piani, significa aprire false piste per le soluzioni necessarie sulle quali tutti, anche chi vive a migliaia di chilometri di distanza dall’Amazzonia, dobbiamo lavorare.

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Altra balla: l’ossigeno prodotto dalla foresta dell’Amazzonia. Il signor Cristiano Ronaldo, probabilmente il più forte calciatore al mondo, ha tutta nostra ammirazione quando gioca a pallone. È un artista del calcio, e come tale bisogna considerarlo. Ma questa simpatia si rovescia, e diventa perfino disprezzo per l’uomo e per il suo modo di stare al mondo, quando risulta evidente il gioco sporco, sporchissimo, che Ronaldo fa cavalcando, a suo uso e consumo, i temi ambientali. Urlando via tweet a milioni di persone che lo seguono in tutto il mondo una cosa falsa, e ripresa grazie alla popolarità di Ronaldo da milioni e milioni di persone, e cioè che “il mondo brucia”, il calciatore brasiliano ha messo sul tavolo un dato falso: la foresta amazzonica produce oltre il 20 per cento di tutto l’ossigeno del mondo. Dove lo ha letto? Quale cretino dei suoi collaboratori ha pensato bene di metterlo in Rete, magari solo per fare diventare Ronaldo più green e meno antipatico per tutti gli scandali sessuali che lo riguardano? Dove è finita la responsabilità, nell’uso della parola, di un personaggio che ha tanto seguito anche fuori dai campi di calcio? Anche un bambino, con una banalissima ricerca su Google, può scoprire la semplice verità: le stime affidabili dal punto di vista scientifico parlano di una quantità di ossigeno prodotto in Amazzonia non superiore al 6 per cento del totale mondiale. Dunque, l’Amazzonia non è, non è mai stata, e non sarà mai il “polmone del pianeta”.

La maldestra furbizia delle star che parlano di Amazzonia. Dietro Ronaldo, la fila della star che hanno messo in Rete messaggi catastrofici sul mondo che brucia con epicentro in Amazonia, c’è il meglio della speculazione hollywoodiana di stampo ambientalista: da Madonna a Leonardo Di Caprio. Anche loro, con estrema irresponsabilità, e senza un briciolo di buonsenso, hanno sprecato la forza della loro popolarità, per attizzare il fuoco delle fake news sull’Amazzonia. Sono andati giù, come delle spade, a mettere la loro firma e loro faccia per commentare foto di incendi devastanti nella foresta brasiliana. Peccato che si trattava di immagini di roghi di decenni fa, non attuali. Veri e propri fotomontaggi del più falso e spregiudicato ambientalismo di maniera. Distruttivo come i veri roghi.  

I veri interessi in Amazzonia. Sono tanti e andrebbero decifrati con maggiore rigore. Quando il presidente francese Macron, per esempio, attacca Bolsonaro e urla contro l’Amazzonia in fiamme, sta facendo anche gli interessi dei suoi elettori, produttori agricoli e allevatori francesi. Costoro, sul mercato globale, non vogliono la crescita dei prodotti, e quindi delle esportazioni, dei produttori agricoli brasiliani. Ognuno può leggere questo scontro tra interessi e tra politici come vuole, ma una cosa è certa: non beviamoci la favola che l’abilissimo presidente francese sia il nuovo paladino mondiale dell’ambiente e il persecutore degli incendiari brasiliani.

Il vero effetto “liberi tutti”. Soltanto facendo ordine e chiarezza su incendi, interessi, e suoli in Amazzonia, è possibile comprendere una parte molto preoccupante nell’agenda del futuro della maxi-foresta: l’effetto “liberi tutti”. Da un lato il devastante negazionismo di Bolsonaro, dall’altro versante il catastrofismo bugiardo, che il presidente brasiliano può facilmente smascherare, e la frittata è fatta: chiunque si sente libero, in Amazzonia, di togliere i tronchi più pregiati, e poi appiccare il fuoco per i propri, svariati interessi. Nello stato brasiliano del Parà si è arrivato perfino a celebrare, come se fosse una festa nazionale, il “Giorno del fuoco”, una sorta di invito nazional-popolare alla deforestazione selvaggia. Quella che fa davvero spavento.

Il cibo che serve. In questo scenario, non dimentichiamo mai, per completezza, un calcolo fatto dalla Fao, che fino a prova contraria non rema contro i 17 obiettivi Onu per lo Sviluppo sostenibile. In un mondo che presto sarà di 10 miliardi di uomini e donne, bisognerà comunque produrre il 50 per cento in più di cibo entro la fine del secolo. Se vogliamo sfamare tutti, e chiudere la vergognosa pagina di chi muore ancora di fame. 

(Nell’immagine di copertina, una delle foto pubblicate dall’astronauta italiano Luca Parmitano e che documentano la vastità degli incendi che stanno devastando la foresta amazzonica. Fonte: Twitter)

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