Coronavirus, servono mascherine con materiale riciclabile. Altrimenti saremo sommersi da questo nuovo rifiuto

Le mascherine non sono riciclabili e vanno nella indifferenziata. Sono realizzate con troppi polimeri diversi, e fanno più danni della plastica usa-e-getta. La soluzione è cambiare il materiale di base e la catena di smaltimento

mascherine certificate e riutilizzabili

Lo smaltimento delle mascherine, come era prevedibile, sta diventando un problema molto serio. E rischia di andarsi a sommare ai tanti fronti aperti che ancora abbiamo nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti. A meno che non si coglie questa occasione, per trasformarla in un’opportunità ed evitare così pesanti, nuovi sprechi.

MASCHERINE RIUTILIZZABILI

Partiamo da un dato: allo stato attuale, e al netto delle posizioni più oltranziste, tutte le mascherine vanno smaltite nella raccolta indifferenziata con le precauzioni igienico-sanitarie che abbiamo raccomandato in questo articolo. Ma questo non risolve il problema, semmai lo aggrava.

Le previsioni sulle mascherine da gettare nei rifiuti oscillano dai 4 milioni al giorno (Università di Torino) ai 40 milioni (Università di Bologna). Cifre da brivido. Specie se consideriamo il fatto che le mascherine attualmente in commercio sono realizzate tutte con materiali non riciclabili: in particolare polimeri differenti, che dunque non possono essere oggetto di riciclo.

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MASCHERINE CERTIFICATE E RIUTILIZZABILI

E qui sorge il secondo problema che non è più di natura quantitativa, ma qualitativa. Dal secchio della nostra spazzatura indifferenziata dove finiscono le mascherine non riciclabili? Negli inceneritori, con il rischio molto probabile che, visti i volumi, gli impianti potrebbero andare in tilt. Con conseguenze catastrofiche per l’ambiente. Il Wwf ha calcolato che se soltanto l’1 per cento delle mascherine finisse in natura avremmo 10 milioni di mascherine a inquinare mari, fiumi, laghi e zone di verde urbano.

Come si esce da questo circolo vizioso? Con le tre R dell’economia circolare declinata sotto l’ombrello del Non sprecare: riutilizzare, riusare e riciclare. Nei primi due casi serve un’innovazione di prodotto, e qui esistono già esempi di aziende italiane che si sono attrezzate per mettere sul mercato mascherine che non siano usa-e-getta. Si tratta di prodotti da riutilizzare e riusare, attraverso il cambio di un solo pezzo, il filtro. E dopo un’operazione di lavaggio in acqua calda e con una semplice igienizzazione a base di alcol.

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MASCHERINE RICICLABILI

Più complesso, invece, è il passaggio produttivo verso le mascherine realizzate con materiali riciclabili, che in questo modo diventerebbero oggetto di una seconda vita, ma con altre funzioni. Qui è necessario intervenire sia sulla catena dello smaltimento, sia nei prodotti di base che vengono utilizzati. Due obiettivi possibili, due forme di innovazione, di prodotto e di processo, che sono sicuramente alla portata del sistema made in Italy. L’Enea, per esempio, sta studiando e sollecitando ulteriori passaggi in questo senso, l’utilizzo di un unico polimero per realizzare le mascherine. Se si arrivasse a questo traguardo le mascherine in circolazione sarebbero tutte, potenzialmente, riciclabili. E il loro capolinea non sarebbe più l’inceneritore di turno, ma una seconda vita. Come promette l’economia circolare.

MASCHERINE: TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE

 

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