L’Italia resta osservata speciale in Europa per le polveri sempre oltre i limiti

L’anno scorso ci ha salvato la pioggia, che in autunno ha spazzato via polveri e gas. Quest’anno vedremo che tempo farà. All’appuntamento con lo smog di novembre, comunque, non ci presentiamo ancora con le carte in regola. Ce lo ricorda la Commissione europea, che contro l’Italia ha aperto un procedimento d’infrazione per non aver adottato, […]

L’anno scorso ci ha salvato la pioggia, che in autunno ha spazzato via polveri e gas. Quest’anno vedremo che tempo farà. All’appuntamento con lo smog di novembre, comunque, non ci presentiamo ancora con le carte in regola. Ce lo ricorda la Commissione europea, che contro l’Italia ha aperto un procedimento d’infrazione per non aver adottato, dal 2005 a oggi, le misure necessarie contro l’inquinamento. Ce lo ricordano ancor meglio i colpi di tosse dei nostri figli, dei nonni, forse anche i nostri. Il ritornello è sempre lo stesso: le città sono intasate di auto, il riscaldamento dovrebbe essere più pulito, grazie al metano, ma non lo è ancora abbastanza, lo smog è in calo eppure continua ad annebbiare il cielo metropolitano. È sufficiente guardare un’immagine satellitare dell’Europa per rendersene conto: sullo stivale, soprattutto all’altezza della Pianura padana, nei mesi invernali galleggia una nuvola scura, la famigerata brown cloud, che non accenna a spostarsi.

L’Italia, insomma, vorrebbe essere verde ma fa davvero fatica. I trend fotografati nell’ultimo dossier Ecosistema Urbano di Legambiente svelano un Paese incapace di dare il colpo di reni: «Non c’è innovazione, le amministrazioni locali hanno avuto paura di cambiare passo, per esempio nel governo della mobilità, dove non solo le pedonalizzazioni, ma persino le corsie preferenziali per i mezzi pubblici, che sono a costo zero, sono bloccate», afferma il presidente Vittorio Cogliati Dezza. Le città “meno insostenibili” sono al Nord (Belluno, Bolzano e Venezia) mentre di lacune e pecche abbonda il Sud, soprattutto la Sicilia. A Bari, Catania e Palermo, per esempio, gli abitanti salgono sui bus meno di 100 volte l’anno. Milano, invece, vince a sorpresa l’Oscar per il trasporto pubblico: è l’unica città italiana dove quasi la metà degli spostamenti urbani, il 47%, avviene su un mezzo pubblico (Stoccolma è al 70%). Tra i parametri negativi, nei capoluoghi italiani, spiccano lo smog e la densità automobilistica: 63,7 auto ogni 100 abitanti, contro le 32 di Londra, Parigi e Berlino.

«Come conseguenza della manovra economica saranno fatti tagli spaventosi al trasporto pendolare, dai treni agli autobus, ma contemporaneamente il governo ha rinnovato gli sgravi fiscali per 400 milioni di euro all’autotrasporto. In questo quadro, è dura attuare una politica "verde" solo basandosi sugli stili di vita individuali», denuncia il vicepresidente di Legambiente Andrea Poggio. Le città soffocano e si muovono in ordine sparso, spesso con agende di breve periodo e senza alcun tipo di coordinamento nazionale. Da Milano a Palermo, le istituzioni cittadine fanno e disfano politiche ambientali. Qualche volta i risultati arrivano, spesso si ricomincia più volte daccapo per cercare la formula magica che soffi via smog e puzza. La travagliata storia dell’Ecopass a Milano o l’altalena sulle corsie preferenziali dei bus a Palermo sono soltanto gli esempi più evidenti delle fragili politiche comunali. «All’Italia mancano due cose fondamentali per rientrare nei ranghi», conclude Poggio. «Una maggiore attenzione nelle scelte di consumo e politiche di più lungo periodo». Qualche segnale positivo, a dire il vero, c’è: la moltiplicazione per quattro dell’uso della bicicletta negli spostamenti urbani; la diminuzione del tasso di motorizzazione tra i residenti delle metropoli italiane, in prima linea Milano; la migliore qualità dell’aria di Bolzano, costretta in un fondovalle che rischia sempre di trasformarsi in catino di smog; le piste ciclabili delle città padane, come Ferrara, Ravenna, Parma, Reggio Emilia, Lodi. Complessivamente, però, l’Italia è molto indietro rispetto al Centro e Nord Europa: anche in quelle aree che come la Pianura Padana soffrono di condizioni meteo-geografiche sfavorevoli, dove gli inquinanti restano intrappolati a poche centinaia di metri dal suolo, il cambio di passo è già avvenuto, rapido e profondo.

Ambientalisti e scienziati sono d’accordo su un punto. Le procedure d’infrazione europee sono aperte per l’Italia non tanto perché siamo inquinati, ma perché non stiamo dimostrando di avere politiche in grado di farci rientrare nei limiti, anche oltre gli anni fissati (il Pm10, per esempio, non dovrebbe sforare i 50 microgrammi al metro cubo, μg/ m3, per più di 35 giorni). Il professor Ezio Bolzacchini, docente di chimica ambientale all’Università Bicocca di Milano, rilancia: «Proprio perché in Italia abbiamo condizioni così sfavorevoli, dovremmo non soltanto emettere meno polveri, ma sviluppare le tecnologie per produrre energia e mobilità nel modo meno inquinante possibile. Per poi esportarle all’estero, creando un nuovo business». Come ha fatto la Germania nel campo delle rinnovabili. Bolzacchini è uno degli scienziati coinvolti nel progetto di ricerca della Provincia di Milano per valutare le migliori azioni integrate contro l’inquinamento atmosferico. La commissione, presieduta dal professor Ballarin Denti, dell’Università Cattolica di Brescia, sta analizzando un ampio ventaglio di interventi. «Si suddividono innanzitutto fra disinquinanti, cioè che tolgono un determinato composto dall’atmosfera, e anti-inquinanti, che prevengono che quel composto finisca in ambiente », spiega Bolzacchini. «In indoor il disinquinamento funziona: se ho un buon sistema di aspirazione e filtraggio posso evacuare le particelle presenti in una stanza. In ambiente esterno, invece, gli interventi disinquinanti non hanno un’efficacia reale».

Il lavaggio delle strade è utile per mantenere pulite e decorose le strade, ma non ci guarirà dalle polveri. Si deve dunque puntare sulle misure anti-inquinanti, e la lista è lunga. Ci sono quelle a carattere emergenziale, che scattano dopo un certo numero di giorni “oltre i limiti”, come il blocco del traffico, in particolare dei motori diesel senza filtro e benzina euro 0, o la riduzione del riscaldamento e del mass burning, la combustione della legna che anche se avviene a chilometri di distanza inonda le città di polveri. L’effetto di queste misure è immediato, ma limitato. «Agisco sulle sorgenti dell’inquinamento – traffico, riscaldamento e fotochimica – ma non per questo rientro nei limiti europei, perché li ho già superati. Non immettendo più inquinanti in atmosfera, evito l’effetto accumulo. Lo smog, però, non sparisce, soprattutto in un’area come la Pianura Padana che in inverno soffre una situazione meteorologica drammatica: lo strato di inversione di norma è bassissimo, tutto quello che si produce resta a 200-300 metri dal suolo e si schiaccia dall’alto verso il basso. Se non arrivano vento, pioggia o neve, lo smog resta lì», spiega Bolzacchini. «Il vento può riportare le concentrazioni da oltre 100 a 20 μg/m3, allora le misure emergenziali decadono e si riparte da capo».

La soluzione, dunque, deve essere più lungimirante. Gli scienziati indicano nelle misure di medio e lungo periodo la chiave di volta, e la possibile soluzione, per abbassare il cosiddetto «inquinamento di background», quello zoccolo duro che non se ne va mai via (in Pianura Padana arriva a concentrazioni di 30 μg/m3). Colpire le sorgenti non significa andare a piedi o vivere in case fredde. Può voler dire, invece, creare network di linee ferroviarie e metropolitane, o persino andare in automobile su reti viarie a scorrimento («perché quello che inquina di più sono le accelerazioni»). Significa abbandonare le caldaie a gasolio e scegliere il metano, il teleriscaldamento o il rinnovabile. Significa, infine, nuovi materiali, autoveicoli e impianti di generazione d’energia, che limitino le emissioni di inquinanti, e sistemi di produzione, nell’industria come nell’agricoltura, che calcolino anche le emissioni del particolato e dei suoi precursori.

Utopia? Le città soffocano e qualcuno arriva a suggerire che se nulla cambia, perfino spegnendo tutto, motori e caloriferi, non riusciremmo a rientrare nei parametri europei. «Non sarei così drastico ma certo l’inquinamento non diminuirebbe come ci si potrebbe aspettare», conferma Sandro Fuzzi, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna, che sta partecipando alla revisione delle direttive europee sulla qualità dell’aria. «Dagli anni Novanta, a livello mondiale, le concentrazioni di Pm10 in atmosfera sono diminuite, ma non quanto ci attendevamo dopo le normative adottate. Nei modelli scientifici non si è tenuto conto del particolato secondario, quello che si forma in atmosfera». Insomma, non basta regolare le sorgenti che producono il Pm primario, è necessario controllare tutte le emissioni, anche di quelle sostanze, come l’ammoniaca, che diventano precursori del particolato secondario. La mancanza di linearità fra ciò che s’immette in atmosfera e ciò che poi i nostri polmoni effettivamente respirano è ancor più evidente per l’ozono, inquinante secondario, che assieme al Pm rappresenta la prima fonte della mal’aria urbana. «L’inquinamento è soprattutto un problema di pianificazione ambientale: oggi è in discussione il modello di sviluppo economico», conclude Fuzzi. «Si possono formulare carburanti nuovi, migliorare i sistemi di combustione dei motori e via dicendo, ma quando si parla di razionalizzazione del traffico, della città, dell’ambiente, la scienza può dare solo consigli. Le decisioni finali sono politiche». E per ora, si fanno attendere.

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