L’illusione della droga «buona»

Si dira’: ma anche noi un tempo, quando eravamo bambini, giocavamo a guardie e ladri o indiani e cowboys, con finte sparatorie e finte uccisioni. Anche noi mettevamo in scena confronti tra buoni e cattivi, situazioni emotivamente coinvolgenti, forse per esorcizzare le nostre paure, forse per allenarci giocando alla vita, forse perche’ non c’e’ gioco …

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Si dira’: ma anche noi un tempo, quando eravamo bambini, giocavamo a guardie e ladri o indiani e cowboys, con finte sparatorie e finte uccisioni. Anche noi mettevamo in scena confronti tra buoni e cattivi, situazioni emotivamente coinvolgenti, forse per esorcizzare le nostre paure, forse per allenarci giocando alla vita, forse perche’ non c’e’ gioco senza un minimo di incertezza e di brivido. Ancora oggi questi giochi con i dovuti aggiornamenti fanno parte del repertorio standard dei piu’ piccoli.

Non necessariamente pero’ chi gioca a guardie e ladri e’ figlio, fratello o nipote di malviventi o di poliziotti e carabinieri. Tantomeno ci si aspetta che i bambini impegnati in accanite battaglie spaziali o tra indiani e cowboys rappresentino esempi casalinghi. In un meraviglioso film di Rene’ Cle’ment del 1952, Giochi proibiti, Paulette, la piccola protagonista, in piena seconda guerra mondiale sfugge ai colpi della mitragliatrice per inseguire il suo cagnolino. Al contrario dei suoi genitori, che restano uccisi, lei si salva ma anche il cagnolino muore. La bimba vaga da sola finche’ non incontra un altro bambino, Michel, figlio di contadini, che la porta a casa sua. Michel che al contrario di Paulette ha nei confronti degli animali un comportamento sadico aiuta Paulette a dare sepoltura alla bestiola e tra i due si instaura una profonda amicizia cementata da un gioco proibito: costruire un cimitero per gli animali rubando le croci alle tombe del camposanto locale. Il gioco e’ il modo di rispondere alla brutalita’ della guerra e, nel caso di Michel, anche all’insensibilita’ della vita famigliare.

Il gioco ci aiuta a crescere, a mettere in scena le nostre insicurezze, a esprimere le nostre fantasie, a gioire, a rischiare entro limiti accettabili, a stare con i coetanei, a muoversi fisicamente e mentalmente, ad arricchire e meglio tollerare una realta’ quotidiana non sempre piacevole. Ma il gioco infantile non e’ piu’ tale quando diventa piatta imitazione, riproduzione accurata nei dettagli di cio’ che si vede, anzi si subisce, nella realta’ quotidiana in casa o nel proprio quartiere. Bambini che interpretano papa’ e mamma che litigano, si insultano, si picchiano non stanno giocando. Bambini che confezionano finte dosi di cocaina non stanno giocando. Piccoli avviati al peggiore degli apprendistati che prevede una precoce uscita dall’infanzia e un altrettanto prematuro ingresso in una infinita adolescenza. Il tutto, a proposito di cocaina, in un periodo in cui e’ ancora diffusa la ingiustificata illusione che questa droga sia, per cosi’ dire, diversa dalle altre. Da droga dei ricchi, come la si riteneva un tempo, e’ diventata sostanza sempre piu’ facilmente disponibile per quasi tutte le borse.

I numeri sono allarmanti ma ancora piu’ allarmante e’ la percezione di minore pericolosita’ di questa droga, quasi una supina accettazione della sua normalita’. Se la usano in tanti, qualcuno puo’ pensare, vuol dire che non e’ altro che un efficace aiutino a superare le difficolta’ della vita. Non ci si puo’ meravigliare se, in questa diffusa ignoranza sui gravissimi danni dell’uso di cocaina, prosperino Paesi produttori, intermediari e spacciatori, per non parlare di quei poveri bambini che confezionano finte dosi imitando cio’ che vedono in casa o nel quartiere e ai quali non si puo’ chiedere che si rendano conto di cosa stanno imparando da chi, per denaro, e’ pronto a togliere loro anche l’infanzia.

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