
Nell’epoca di Google la
quantità d’informazioni
a disposizione è sterminata
e le persone tendono
a pensare che la memoria
umana sia diventata
obsoleta. Naturalmente chiunque studi
per un esame, voglia imparare qualcosa di
nuovo o cerchi di ricordare le password, sa
che non è così. Tutti vorremmo avere una
memoria di ferro. Il guaio è che la memoria
è come un muscolo: spesso è difficile mantenerla
al massimo della condizione. La
buona notizia è che finalmente gli scienziati
hanno capito il succo del problema.
Nel novembre del 2005 l’uomo d’affari
cinese Chao Lu è entrato nel Guinness dei
primati recitando a memoria 67.890 decimali
del pi greco in poco più di ventiquattr’ore.
Per memorizzarli ha impiegato circa
un anno. Come tutti i più grandi specialisti
della memoria, Chao Lu si è servito di una
serie di aiuti formali, cioè della mnemonica.
Per imparare a memoria una lunga serie
di numeri, per esempio, si possono associare
delle consonanti ai numeri dallo 0 al 9,
quindi dividere la sequenza in gruppi di
quattro cifre e convertire i numeri in parole,
aggiungendo delle vocali se servono. Questo
metodo mnemonico è noto come “sistema
fonetico”.
Un altro sistema consiste nel creare
un’immagine per ogni parola, associandola
a un percorso familiare o collocandola in
uno spazio all’interno di un “edificio mnemonico”
mentale. La creazione di una mappa
narrativa o mentale dove collocare i ricordi
si chiama metodo dei loci. Quando si
rifarà il percorso o si attraverseranno gli
spazi dell’edificio mnemonico, si richiameranno
alla mente le immagini, che possono
essere decodificate in una sequenza di numeri.
Questo metodo aiuta a ricordare un
elenco di parole in ordine sparso o l’ordine
di un mazzo di carte dopo averlo visto una
sola volta.
Alcuni campioni della memoria, però,
hanno abilità che quasi nessuno è in grado
di emulare. Un secolo fa, il giornalista russo
Solomon Šeresevškij fu oggetto di studio
per la sua incredibile capacità di ricordare
lunghi elenchi di numeri e parole, con pochissimo
sforzo. Era in grado di ripetere una
lista di cinquanta cifre, anche in ordine inverso,
studiando solo tre minuti. Si scoprì
che oltre a usare la mnemonica, Šeresevškij
era aiutato dalla sinestesia. Per lui ogni numero
aveva una diversa personalità – l’1 era
un uomo fiero e ben piazzato, il 2 una donna
dal carattere vivace – mentre i suoni delle
parole evocavano colori e gusti molto vividi,
rendendole più facili da memorizzare.
Il metodo dei loci
La tecnica più antica per aiutare la memoria
è il metodo dei loci, inventato dai greci almeno
duemila anni fa. Oggi esiste una
grande varietà di metodi mnemonici, ma
qual è la loro reale utilità nella vita di tutti i
giorni? Due psicologi, James B. Worthen e
R. Reed Hunt, hanno provato a rispondere
a questa domanda nel loro ultimo libro
Mnemonology. “Abbiamo cercato di esaminare
tutti i casi”, spiega Worthen, della Southeastern
Louisiana university di Hammond.
Sfortunatamente molti metodi non
sono all’altezza della loro fama. Uno di questi
è il metodo della parola chiave, che spesso
s’insegna agli studenti di lingue. Per cercare
di ricordare una parola sconosciuta, si
crea un’immagine elaborata sulla base del
suono. Per esempio la parola bigote, che in
spagnolo significa bai, può essere associata
a un tipo un po’ bacchettone con i bai a
manubrio. Secondo vari studi questo metodo,
molto usato, è di poca utilità sia per gli
studenti esperti sia per i principianti. Pur
migliorando leggermente l’esattezza della
memorizzazione rispetto alla semplice ripetizione,
infatti, il sistema della parola
chiave rallenta la velocità con cui un termine
viene richiamato alla mente.
Il sistema fonetico, dove i numeri vengono
codificati in lettere, non è più efficace.
Sviluppato nel rinascimento, viene spesso
citato nei libri sulle tecniche per migliorare
la memoria, dove si raccomanda di usarlo
per creare frasi facili da ricordare per issare
nella memoria sequenze di numeri. Il metodo
fonetico aiuta la memoria, ma secondo
Worthen e Hunt è inutilizzabile in molte situazioni quotidiane. Inoltre, le rime e gli
acronimi che s’insegnano a scuola spesso
non funzionano, a meno che non siano particolarmente
arguti o indovinati.
Ma c’è un metodo che funziona meglio
degli altri. Secondo quasi tutti gli studi, il
metodo dei loci è utile non solo nelle gare di
memoria, ma anche per aiutare a ricordare
qualsiasi tipo di elenco, dalla lista della spesa
alla successione dei reali d’Inghilterra.
La sua efficacia è stata dimostrata anche
nelle prove a caldo. In un esperimento, un
gruppo di alunni delle scuole superiori ha
usato il metodo per memorizzare nel dettaglio
i contenuti di una lezione difficile, associando
le parole chiave degli argomenti
trattati dal relatore a una serie di spazi
all’interno di una mappa mentale.
Anche questa tecnica, però, ha qualche
svantaggio. Ci vuole parecchio tempo per
impararla e non è adatta per le informazioni
che si dovrebbero ricordare spontaneamente,
come le parole di una lingua straniera.
Inoltre, pur essendo efficace per ricordare
le lezioni impartite a voce, quando si
tratta di memorizzare un passaggio scritto
il metodo dei loci è equivalente alla ripetizione.
Quando arriva il momento degli esami
ognuno ha la sua particolare tecnica per ripassare
il programma. Alcuni studenti si
affidano a colorite mappe mentali. Altri
preferiscono le schede illustrate. La pratica
più comune è scrivere appunti e sottolineare
i passaggi più importanti di un libro. Ma
la tecnica più efficace è ripetere. Anche se
sono passati più di duemila anni da quando
Aristotele scrisse “ripetere continuamente
una cosa rafforza la memoria”, solo in tempi
recenti gli scienziati cognitivi hanno apprezzato
l’eicacia della cosiddetta retrieval
practice, cioè del ripasso mentale.
In un esperimento del 2008, Jefrey Karpicke
della Purdue university di West Lafayette,
in Indiana, ha chiesto a quaranta studenti
di imparare il significato di quaranta
parole swahili. Anche se non ricevevano riscontri
sulla correttezza delle loro risposte,
gli studenti a cui durante la lezione veniva
chiesto di ripetere le parole hanno superato
brillantemente l’esame la settimana successiva,
con un punteggio medio dell’80
per cento. Invece gli studenti che le avevano
studiate senza mai ripetere hanno totalizzato
un punteggio medio del 36 per cento.
Gli ultimi risultati di Karpicke, pubblicati a
gennaio, indicano che la retrieval practice è
più efficace di altri metodi di studio, come
disegnare complessi diagrammi a nuvola
per rappresentare le informazioni contenute
in un brano di testo.
Altri ricercatori hanno scoperto che gli
alunni delle scuole elementari, gli studenti
di medicina e i pazienti che affrontano la
riabilitazione cognitiva ottengono risultati
migliori quando mettono alla prova la memoria
a intervalli regolari. “I risultati sono
sorprendenti ed evidenziano vantaggi in
tutti i contesti”, spiega Andrew Butler della
Duke university di Durham, in North Carolina.
Ma nonostante gli evidenti vantaggi
della retrieval practice, quando Karpicke,
Butler e i loro colleghi hanno chiesto agli
studenti che metodo usavano per prepararsi
a un esame, meno della metà ha detto di
ripassare mentalmente o di usare altre forme
di autoverifica.
Pianiicare lo studio
Un tempo l’idea di poter imparare dormendo
apparteneva alla fantascienza. In Il
mondo nuovo di Aldous Huxley un regime
autoritario fa il lavaggio del cervello al protagonista
indottrinandolo nel sonno. Per un
certo periodo molti corsi fai da te si sono
basati sull’idea che fosse possibile imparare
una lingua straniera dormendo. All’inizio
gli esperimenti hanno evidenziato risultati
promettenti, anche se gli scettici sottolineavano
la possibilità che le cavie fingessero di
dormire durante le registrazioni. È certo però che da quando i ricercatori hanno cominciato
a misurare le onde cerebrali dei
partecipanti per assicurarsi che dormissero,
i risultati positivi sono praticamente
scomparsi. Ma la speranza di poter imparare
senza sforzo non è tramontata.
Secondo alcuni studi, non è necessario
prestare attenzione per ricordare qualcosa.
Nel 2010 Beverly Wright della Northwestern
university di Evanston, in Illinois, ha
chiesto a due gruppi di volontari di distinguere
tra due suoni dai toni quasi identici.
Un gruppo si è dedicato al compito per tutta
la durata dell’esperimento. I volontari del
secondo gruppo, invece, si sono esercitati
solo per la metà del tempo e hanno passato
il resto delle ore ad ascoltare passivamente
i suoni mentre svolgevano un compito scritto
che non aveva niente a che fare con
l’esperimento. Durante la verifica i due
gruppi hanno evidenziato più o meno lo
stesso livello di esattezza nelle risposte, a
patto che l’ascolto passivo avvenisse subito
dopo l’apprendimento attivo. “Nel giro di
mezz’ora gli effetti cominciano a diminuire
ed entro quattro ore spariscono del tutto”,
osserva Wright. Il risultato non cambia se la
stimolazione passiva avviene per prima.
Invece non è possibile saltare completamente
l’esercizio attivo: la stimolazione
passiva da sola non dà nessun vantaggio.
Anche se lo studio di Wright si concentra
su un compito molto specifico, secondo
la ricercatrice gli studenti che imparano
una lingua o i musicisti che studiano un motivo
possono ottenere un beneficio da questo
mix di studio attivo e ascolto passivo.
Per esempio si può passare mezz’ora a parlare
una lingua e poi un’altra mezz’ora ad
ascoltare un podcast nella stessa lingua
mentre si gioca con la Wii.
Uno dei modi più semplici per ricordare
il più possibile senza sforzi eccessivi è pianificare
il tempo dello studio. Numerosi esperimenti
hanno dimostrato che andare a
dormire subito dopo aver imparato un nuovo
dato o una nuova abilità aiuta il cervello
a rinforzare le tracce della memoria, a prescindere
che si tratti di un profondo sonno
notturno o di un pisolino pomeridiano. Anche
gli intervalli tra le diverse sedute di studio
sono importanti. Si impara molto di più
ripassando dopo una pausa che non cercando
di memorizzare tutto in una volta sola.
Perfino la lunghezza dell’intervallo tra un
ripasso e l’altro influisce sul livello dell’apprendimento.
Hal Pashler, dell’università
della California di San Diego, ha individuato
un particolare “momento ottimale” per
ripassare. Secondo i suoi esperimenti, il ripasso
deve avvenire entro un lasso di tempo
compreso tra il 10 e il 20 per cento dell’intervallo
tra lo studio della materia e la successiva
verifica. Per esempio, chi si prepara
per un compito in classe che si terrà tra ventiquattr’ore,
dovrebbe ripassare dopo due o
quattro ore dal primo studio. Così con le
stesse ore di impegno otterrà un risultato
migliore di almeno il 10 per cento.
Ma spesso abbiamo difficoltà perfino a
ricordare le ordinazioni per un giro di drink
al pub. Questo succede perché la nostra
memoria a breve termine in media è in grado
di assimilare solo tra le cinque e le sette
informazioni alla volta. Questa barriera limita
quasi tutto quello che vorremmo fare
con il nostro cervello. I tentativi degli scienziati
cognitivi di migliorare la memoria breve
non sono quasi mai andati a buon fine.
Alcune persone addestrate a portare a termine
compiti specifici, come ripetere lunghe
serie di numeri, spesso sono riuscite a
migliorare i loro risultati limitatamente
all’obiettivo assegnato, ma non sono state
in grado di ripetersi in altri contesti. Di conseguenza,
i ricercatori hanno cominciato a
valutare i risultati di esperimenti più articolati
e impegnativi.
Forza di volontà
Jason Chein della Temple university di Filadelia,
in Pennsylvania, usa un software che
insegna alle persone a rispondere alle domande
su una serie di frasi e simultaneamente
a ricordare le ultime due parole di
ciascuna frase. È difficile sviluppare delle
scorciatoie cognitive che permettano di gestire
due fonti contrastanti d’informazioni,
quindi il cervello è costretto a modificare i
suoi meccanismi. L’idea è che questi cambiamenti
aiutino a migliorare la memoria.
Le tecniche di Chein aumentano la capacità
massima della memoria a breve termine di
circa il 15 per cento durante un periodo di
addestramento di cinque settimane. La
memoria breve riesce ad assimilare otto informazioni
invece che sette. Cosa significhi
questo in concreto per l’intelligenza, però,
è oggetto di dibattito. Alcuni ricercatori dubitano
che una migliore memoria breve sia
utile in campi cognitivi diversi. Altri sottolineano
che la memoria breve è alla base di
una vasta gamma di abilità cognitive, come
il ragionamento logico e aritmetico, la capacità
verbale e la comprensione durante la
lettura. Tra l’altro, molti studi indicano che
queste capacità mentali migliorano quando
si esercita la memoria.
Anche se non si è più studenti da tempo,
con un po’ di sforzo la memoria può ancora
fare meraviglie. Quest’anno John Seamon
della Wesleyan university di Middletown,
in Connecticut, ha pubblicato i risultati di
un esperimento condotto su un settantenne
che ha cominciato a esercitare la memoria
a 58 anni. Questo ex professore delle superiori,
che nell’esperimento è chiamato JB,
oggi è in grado di recitare tutte le 60mila
parole del Paradiso perduto di John Milton
con una precisione incredibile. In precedenza
JB non aveva evidenziato nessuna
particolare predisposizione alla memorizzazione.
Non si è servito di metodi mnemonici,
ma ha contato solo sulla sua forza di
volontà e su più di tremila ore di esercizio
quotidiano. “Tutti possono farlo, con il
tempo e lo sforzo necessario”, sostiene Seamon.
Non è mai troppo tardi per imparare.
Anche se Milton non fa per voi e non avete
la perseveranza di JB, queste tecniche dovrebbero
aiutarvi a sfruttare al massimo la
memoria con il minimo sforzo, a prescindere
dall’età.
Fonte: Internazionale