Furti di rame in Italia: ci rubano tre treni al giorno

I furti di rame nelle ferrovie sono diventati un'attività criminale su scala nazionale: soltanto nel 2012 sono stati 1.956

Un saccheggio quotidiano e impunito. I furti di rame in Italia si sono trasformati in una delle nuove attività criminali, su scala nazionale, che nel silenzio generale sta gonfiando le tasche di bande e clan della malavita. Le Ferrovie dello Stato hanno denunciato, per il 2012, 1.956 furti con 5.426 treni coinvolti, e soltanto in Campania, da gennaio a maggio del 2013, sono stati bloccati mille treni che hanno accumulato 700 ore di ritardo.

Un tempo le linee più colpite erano quelle dell’Alta velocità, adesso invece il 70 per cento dei furti avviene nei percorsi tradizionali, e quindi le vittime principali del saccheggio sono diventati i pendolari. A Roma, in appena due giorni, le Ferrovie hanno denunciato furti di rame per un valore di 45mila euro e venti treni dei pendolari sono stati bloccati.

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In pratica, l’intera rete ferroviaria nazionale è sotto pressione, con un doppio danno per la comunità. Di natura economica, e in questo caso pagano le imprese, e di natura sociale, considerando i disagi dei viaggiatori e i rischi che corrono in termini di sicurezza, e in questo caso pagano i cittadini.

I numeri delle Ferrovie potrebbero essere replicati per altre grandi aziende, vittime dello stesso fenomeno, come Telecom e l’Enel. Ma il punto, a parte i danni economici e sociali, è che di fronte a una sfida frontale allo Stato non esistono barriere né in termini di prevenzione né in termini di repressione. Probabilmente i furti di rame sono stati finora sottovalutati, considerandoli quasi fisiologici, e non è stata studiata alcuna rete di protezione per le imprese e per gli utenti.

Non è stata ancora compresa la portata dirompente di questa attività criminale che ormai funziona come un orologio. Il rame rubato ha un valore attorno agli 8mila euro a tonnellata e viene venduto, senza particolari problemi, sui mercati internazionali, a partire dai paesi dell’Est, dalla Cina e dall’India, dove è molto alta la domanda di “oro rosso”. Già, oro, perché si tratta di un componente che poi viene utilizzato, per esempio, nelle produzioni dei telefonini di ultima generazione e dei videogiochi. E proprio la pista internazionale dovrebbe portare a indagini investigative a tappeto, chiedendo una collaborazione alle autorità dei paesi dove il rame è collocato.

E qui veniamo al secondo aspetto della resa. La magistratura non sembra particolarmente interessata a colpire il fenomeno, forse perché si tratta di inchieste che non hanno una significativa ricaduta mediatica, e si limita a un’attività di routine. Finiscono così nelle maglie della giustizia gli ultimi protagonisti della filiera del saccheggio: giovani ladri, colti in flagrante, che dopo una notte in carcere vengono poi rilasciati in attesa di un processo. Come se avessero rubato un motorino. E invece si tratta della manovalanza di organizzazioni criminali che hanno trovato un’altra fonte di guadagni illeciti, molto redditizia e poco rischiosa. Lo scandalo, a questo punto, non è solo la raffica quotidiana di furti, ma innanzitutto il fatto che nessuno provi a rallentarla.

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