Parla il dantista Vittorio Sermonti: «Nella scuola troppi privilegi»

La valutazione degli insegnanti è giusta perché consentirebbe di premiare, con la carriera e lo stipendio, i più bravi. Sindacati corporativi e famiglie protettive. Attenti all’eccesso di linguaggio tecnologico, nasce così una generazione di analfabeti di ritorno.

VITTORIO SERMONTI INTERVISTA –

«Il punto critico è che ormai in Italia merito e privilegio tendono a coincidere, è questo l’aspetto centrale dello scontro sulla riforma della scuola…»: il professore Vittorio Sermonti, numero uno tra i dantisti ed ex insegnante del Liceo Tasso di Roma, parte da qui per la sua analisi su un controverso cambiamento che non riguarda soltanto la formazione, ma in generale la società italiana.

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  • La parte più contestata della riforma riguarda la valutazione, che i sindacati non accettano. Eppure esiste in tutta Europa…

Infatti: non bisogna arrendersi rispetto a questa resistenza. Il riconoscimento del vero merito, che presuppone la valutazione, è indispensabile per una società aperta. A partire dalla scuola.

  • Come spiega le resistenze sindacali?

Il sindacato in Italia ha scritto pagine gloriose, ma adesso vive di rendite di posizione. Come direbbe Enrico Berlinguer, ha esaurito la sua spinta propulsiva. E tende a difendere il suo poco potere.

  • Veramente nella scuola non è poco.

Ma è utilizzato molto male, con una logica di pura conservazione.

  • Le chiedo: chi meglio di un preside può valutare il lavoro dei professori di una scuola?

Nessuno. Certo, esistono anche presidi cattivi e imbecilli: ma il sindacato ha sempre sostenuto l’autonomia delle scuole e il preside è al centro di questo meccanismo.

  • Tra l’altro nell’ultima proposta del governo accanto al preside ci sarebbero anche altri insegnanti.

Una ragionevole mediazione. Ho qualche dubbio, invece, sulla presenza in queste commissioni dei un rappresentante delle famiglie. I genitori spesso non sanno nulla di quello che avviene nella scuola e hanno una tendenza protettiva nei confronti dei loro figli che diventa perfino criminale. Comunque, una valutazione con pesi e contrappesi è già un passo avanti.

  • In generale è giusto dare più soldi a un insegnante bravo rispetto al collega che lavora poco?

È sacrosanto. Se la carriera e lo stipendio di un docente dipendono solo dall’anzianità si rischia di stratificare e cristallizzare l’ignoranza. Ma a proposito degli insegnanti mi faccia dire una cosa…

  • Prego.

La scuola italiana è disastrata, e lo sappiamo. Ma posso dirle, per esperienza diretta, che esistono tanti bravi insegnanti, autentici eroi, che si aggiornano e studiano con i propri mezzi. Hanno passione per il loro lavoro, e non hanno smarrito “l’eros pedagogico”, il rapporto di amore tra chi insegna e chi impara.

  • Ne ha incontrati davvero tanti, nella sua esperienza, di insegnanti forniti di “eros pedagogico”?

Sì, e nei luoghi più imprevisti. Per esempio, in un liceo scientifico di Palermo ho scoperto un professore che insegnava Dante come si fa in poche università italiane. La sua passione contagiava allievi e altri insegnanti: un motivo in più per premiarla.

  • Infatti: gli studenti sono i primi a percepire le qualità di un professore e, se ci sono, a esserne affascinati.

Ricordo che al liceo Tasso di Roma, dove ho insegnato per anni, arrivò un’ondata di professori che si erano laureati con il saluto fascista e con tesi di infimo livelli. Autentici ignoranti. Bene: la rivolta degli studenti nel liceo, all’alba della contestazione nelle scuole, partì proprio dal rifiuto e dalla mancanza di stima per quei professori.

  • Sappiamo che ancora oggi esistono tante buone scuole: ma questa conoscenza appartiene a una minoranza di privilegiati che piazzano i loro figli perfino nelle sezioni con i docenti bravi. Ecco, secondo me, la vera scuola di classe.

È quello che le dicevo: il merito che tende a coincidere con il privilegio. Una minoranza di famiglie benestanti, e fornite di relazioni e informazioni, sa dove mettere i propri figli. Un meccanismo ingiusto, lo specchio di una società chiusa e corporativa.

  • Intanto le statistiche internazionali ci dicono che gli studenti italiani hanno competenze molto basse in matematica come nell’analisi logica.

Paghiamo il prezzo di un aggiornamento della scuola che si è realizzato in modo sbagliato.

  • Cioè?

La riforma Gentile privilegiava le materie umanistiche, e mortificava quelle scientifiche. A colpi di leggi e di nuovi programmi abbiamo rovesciato il paradigma, scivolando nell’eccesso opposto e rincorrendo un’esasperata specializzazione. Il risultato è che oggi gli studenti sono più ignoranti.

  • Eppure le tecnologie dovrebbero alzare il livello generale dell’apprendimento.

Alt, qui il discorso sarebbe lungo, ma per semplificare considero demagogica e controproducente la creazione del mito degli apparecchi elettronici per gli studenti. Saranno pure bravi a smanettare con il computer, ma a forza di banalizzare il linguaggio con sms e messaggini, sono diventati degli analfabeti di ritorno. Persone che non sono più capaci di strutturare un discorso con una corretta sintassi.

  • E questo, secondo lei, è il prezzo dell’aggiornamento della scuola rispetto all’impostazione della riforma Gentile?

La scienza è sempre un’avventura della conoscenza, e la necessità di sapere con completezza cose specifiche va parte della sua evoluzione. Ma c’è un limite. Ricordo il discorso di inizio anno di un preside di Yale che diceva ai suoi alunni: la società richiede specializzazioni in continua mutazione, ma iniziare troppo presto questo percorso di specifiche e singole competenze è dannoso.

  • Perché?

Perché la specializzazione che oggi sembra insostituibile, magari tra vent’anni non garantisce alcun accesso al lavoro, è obsoleta. Al contrario di altre conoscenze. Ricordo il finale del discorso del preside di Yale che diceva ai ragazzi: volete studiare fisica nucleare all’università? Allora imparate a suonare il violoncello, allargherà i vostri orizzonti.

  • Per concludere, c’è un altro, pesante limite che riguarda sia la scuola sia l’università  in Italia: non fanno salire l’ascensore sociale.

Una scuola schiacciata da interessi corporativi, poco aperta al merito, non riconosce pari opportunità e quindi promozione sociale. Con un effetto che, prima o poi, si rovescia nella società e nella stessa qualità della democrazia che rischia di degenerare in quella che Platone definiva  oclocrazia, ovvero il governo dei peggiori.

(Fonte immagine: Facebook)

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