Via con vento: tramontato il nucleare l’Italia punta su eolico e fotovoltaico

Luigi dell’Olio La convocazione di una conferenza nazionale entro la fine dell’estate per chiamare a raccolta operatori e istituzioni con l’obiettivo di emanare il nuovo Piano nazionale dell’energia. È questa la promessa fatta dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, alla luce dell’esito del referendum del 12 e 13 giugno. Una consultazione che non solo […]

Luigi dell’Olio

La convocazione di una conferenza nazionale entro la fine dell’estate per chiamare a raccolta operatori e istituzioni con l’obiettivo di emanare il nuovo Piano nazionale dell’energia. È questa la promessa fatta dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, alla luce dell’esito del referendum del 12 e 13 giugno.
Una consultazione che non solo ha messo definitivamente fine ai propositi di ritorno al nucleare in Italia, ma ha anche scombussolato i piani del governo per raggiungere i traguardi europei fissati dal pacchetto «20-20-20» (taglio alle emissioni, produzione di rinnovabili e biocombustibili) entro il 2020 per ridurre l’effetto serra.
PUNTARE SULLE RINNOVABILI. Entro quella data infatti l’Italia dovrà portare la sua quota di energie rinnovabili sul consumo annuale al 17%, con la necessità di una crescita dell’incidenza di circa l’1% ogni anno, mentre i gas serra emessi dai settori non industriali, come agricoltura, rifiuti e trasporti, dovranno essere ridotti del 13% rispetto ai livelli del 2005.
Per raggiungere gli obiettivi, l’esecutivo aveva stabilito di modificare il mix di produzione elettrica riducendo in 10 anni la dipendenza dalle fonti fossili dall’attuale 83% al 50%, con la restante metà equamente divisa tra fonti rinnovabili (oggi al 19%, ma con due terzi riconducibili all’idroelettrico) e nucleare.
Ora che il nucleare è sparito dalla scena, ha assicurato il ministro, saranno proprio le rinnovabili a raccoglierne il testimone, con un contributo importante riservato all’efficienza nel campo del gas e delle reti di trasmissione. Abbiamo cercato di capire con alcuni esperti se davvero l’Italia può centrare questi obiettivi e a quale prezzo.

La naturale propensione dell’Italia per eolico e fotovoltaico

Sulle rinnovabili si addensano le maggiori speranze, perché hanno un maggior grado di accettazione sociale e per le particolari condizioni geografiche del nostro Paese, che lo rendono particolarmente appetibile agli occhi degli investitori internazionali.
Sul fronte del fotovoltaico, l’Italia ha vissuto una straordinaria accelerazione in tempi recenti, passando da una potenza installata di 1.142 megawatt a fine 2009 a quota 7 mila megawatt dopo 12 mesi. Una corsa motivata in buona parte dalla prospettiva di una riduzione degli incentivi. Una decisione presa dal governo attraverso due decreti – l’ultimo datato 5 maggio 2011 – con l’obiettivo di contrastare le speculazioni nel settore ed evitare che il boom del settore pesasse eccessivamente sulle bollette dei consumatori.
Il Quarto conto energia, destinato a restare in vigore fino al 2016, ha ridotto drasticamente gli incentivi pubblici, privilegiando i contributi per gli impianti domestici e le produzioni made in Europe, ha attirato le critiche dei produttori. Ma ha riportato un po’ di serenità nel settore dopo che la ridda di voci sulla riforma in arrivo aveva portato a una stasi dei nuovi investimenti nei primi mesi del 2011.
LO SFRUTTAMENTO DEL VENTO. Quanto all’eolico, sono appena stati pubblicati i dati 2010 curati dall’Aper, l’Associazione produttori energie rinnovabili, che pongono l’Italia al terzo posto in Europa (alle spalle di Germania e Spagna) nello sfruttamento dell’energia dal vento, con 5.797 megawatt di potenza complessiva installata, dei quali oltre 950 in linea con la crescita media degli ultimi sei anni.
Nel 2010, segnala tuttavia l’Anev, l’Associazione nazionale energia dal vento, ha finora visto una frenata del mercato in seguito alla revisione al ribasso dei certificati verdi, che sostengono il mercato al pari del Conto energia per quanto concerne il fotovoltaico.
A Carlo Durante, consigliere di Aper, Lettera43.it ha chiesto quale scenario attende l’Italia: «L’esito del referendum ha tolto la foglia di fico ai politici, che a questo punto non possono più dire di avere una politica energetica, un’idea insomma di come far crescere il Paese sotto questo aspetto». Inoltre secondo Durante «non si può pensare di modificare sensibilmente il mix energetico nell’arco di pochi anni».

Oltre agli incentivi, necessario un nuovo assetto organizzativo

In una situazione come quella prospettata da Durante, negli ultimi giorni si è tornato a parlare dell’eventualità di nuovi incentivi per lo sviluppo di eolico e solare, ma per il consigliere di Aper ritiene che non servano solo nuovi fondi per crescere, piuttosto un nuovo assetto organizzativo.
«Occorre cambiare mentalità e capire a come sfruttare al meglio i progressi della tecnologia», ha spiegato.
Visto che l’energia prodotta non può essere stoccata, come ha illustrato Durante, allora è possibile scegliere strade alternative, come «l’integrazione tra eolico e idroelettrico in modo che lo stesso impianto, nelle ore di sovrapproduzione, possa dirottare la propria capacità per i pompaggi idroelettrici».
Inoltre è necessario «superare le strozzature che oggi caratterizzano lunghi tratti delle reti di trasmissione», visto che solo nel 2010 sono stati collegati 180 mila nuovi impianti tra fotovoltaico ed eolico, «spezzando gli oligopoli dei gestori».
PRIVILEGIARE LA PRODUZIONE DISTRIBUITA. Anche Walter Huber, presidente dell’Istituto per le tecnologie innovative di Bolzano ha commentato che «in Italia ci sono le condizioni ideali per lo sviluppo dell’eolico, del fotovoltaico e, in misura minore, delle biomasse e del geotermico», quest’ultimo particolarmente diffuso in Toscana.
«Tuttavia non si può reggere lo sviluppo del settore se non si cambia il modo di concepire le reti», ha proseguito Huber, «oggi sono in mano a grandi distributori: occorre un salto concettuale che consenta di privilegiare la produzione distribuita».
Un concetto, quest’ultimo, dibattuto anche a livello nazionale e che viene identificato con l’espressione «smart grid»: «La produzione di energia pulita oggi finisce nella rete nazionale, ma avrebbe più senso che fosse in grado in primo luogo di soddisfare i consumi del territorio, per poi riversare in rete solo l’eventuale eccedenza».

Biomasse, energia pulita, ma non per la filiera

Un discorso differente concerne le biomasse, che sono sì una fonte pulita di produzione energetica, ma a patto di riuscire davvero a garantire la cosiddetta filiera corta tra produzione e consumo. Così, per esempio, se si pensa di utilizzare materia prima proveniente da altri Paesi occorre considerare il costo per l’ambiente delle emissioni generate durante i trasporti, prima di parlare di energia pulita.
Il tema delle infrastrutture riguarda anche le fonti tradizionali. Romani ha manifestato l’intenzione di ridurre l’import dall’estero, facendo dell’Italia un hub per lo stoccaggio di petrolio e gas. Un obiettivo che non appare un miraggio, a patto di mettere sul piatto risorse importanti per questa voce.
Il venir meno del nucleare rimette in gioco anche il gas. Su questo fronte si punta innanzitutto sulla carta dell’efficienza, in modo da accrescere il rapporto tra produzione (e importazione) e impatto sull’ambiente. Romani ha chiarito che il governo punterà in particolare ad aumentare le produzioni di gas nell’offshore italiano dove il Paese «vanta un primato mondiale in termini di sicurezza».
L’OPPOSIZIONE DELLE COMUNITÀ LOCALI. I fronti aperti nel territorio nazionale riguardano in particolare il mar Jonio e quello al largo delle Isole Tremiti: in entrambi i casi, la posizione delle comunità locali è di netta chiusura.
«Lo sviluppo dei rigassificatori, con la conversione del gas in liquido, seguita dal passaggio opposto, è fondamentale per ridurre la dipendenza da un solo Paese, a maggior ragione se questo è soggetto a frequenti tensioni sul piano geopolitico», ha spiegato Tommaso Salonico, co-managing partner dello studio legale Freshfields. «Ovviamente però occorre prendere tutte le precauzioni per evitare che le comunità locali siano esposte a rischi».
A livello internazionale le maggiori aspettative sono riposte negli sviluppi dello shale gas: gas naturale, in prevalenza metano, che si trova nel sottosuolo. «I passi in avanti compiuti sul fronte dell’estrazione aprono nuove prospettive, soprattutto negli Stati Uniti, dove sono in corso accertamenti per comprendere l’impatto dei lavori per l’estrazione sull’ambiente», ha aggiunto Salonico.
L’Eia, l’Agenzia americana dell’energia, stima che nel 2015 il 45% del fabbisogno nazionale di gas verrà soddisfatto dalle rocce, mentre in Europa le esplorazioni muovono solo ora i primi passi. Frenate dalle proteste delle comunità locali e dalla carenza di fondi, che sono poi le due grandi incogniti sugli sviluppi futuri dell’energia in genere.

 

 

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